I sonnambuli- Hermann Broch

SINTESI DEL LIBRO:
Il 2 marzo 1903 fu un brutto giorno per il trentenne August Esch,
impiegato di commercio; aveva litigato con il principale ed era stato
mandato a spasso ancor prima che gli si offrisse il destro di
licenziarsi. E così si irritava non tanto per il licenziamento quanto per
il fatto di non essere stato più pronto. E ne avrebbe avute da
cantargli sulla faccia a quell’uomo, che non sapeva nemmeno cosa
succedesse nella sua ditta, che si fondava sui suggerimenti di un
Nentwig, e non sospettava neppure che quel Nentwig intascava
senserie ogni volta che poteva; e magari egli chiudeva gli occhi a
bella posta, perché quel Nentwig doveva essere a conoscenza di
qualche porcheria. Si era proprio lasciato sopraffare da loro come un
imbecille! Gli avevano rimproverato in modo schifoso un errore di
registrazione, e adesso che ci pensava non era affatto un errore! Ma
quei due urlando lo avevano investito così brutalmente che tutto era
degenerato in uno sciocco scambio di ingiurie, nel corso del quale si
era visto licenziato di colpo. Naturalmente allora non gli era venuto in
mente altro che la citazione del Gotz, mentre ora ne avrebbe
azzeccate di ogni sorta. — Signore, — sì, signore, — avrebbe
dovuto dire, e intanto guardargli le punte dei piedi; ed Esch diceva
adesso con sarcasmo fra sé e sé: «Ha un’idea, signore, di come
vadano le cose nella sua ditta?...» sì, così avrebbe dovuto parlare,
ma ormai era troppo tardi. Poi si era ubriacato ed era andato a letto
con una ragazza, ma era stato inutile: la rabbia era rimasta, ed Esch
inveiva dentro di sé mentre, lungo il Reno, andava verso la città.
Udì dei passi alle sue spalle e quando si volse vide Martin che,
puntando contro il legno il piede della gamba storpia, se ne arrivava
in gran fretta, dandosi lo slancio fra le due grucce. Ci mancava
ancora quel tipo lì dietro! Esch avrebbe preferito continuare per la
sua strada con il rischio di prendersi un colpo di gruccia sulla testa -
si sarebbe meritato che l’accoppassero! - ma sentì che era una
bassezza farsi rincorrere dallo storpio, e così si fermò. Inoltre doveva
cercarsi un posto e Martin, che conosceva tutti, forse avrebbe potuto
indicargli qualcosa. Lo storpio lo aveva raggiunto; lasciò penzolare la
gamba rattrappita e disse semplicemente: Buttato fuori? — Dunque
lo sapeva già anche lui! Esch rispose inviperito: Buttato fuori! - Hai
ancora denaro? - Esch alzò le spalle; per qualche giorno ce la
faceva. Martin stette un po’ a pensare: — Forse ho un posto per te.
— Sì, ma nella tua organizzazione non entro. - Lo so, lo so, ti senti
superiore a questo... be’, ma ci verrai! Dove andiamo? — Esch non
aveva una meta e perciò salirono alla trattoria di mamma Hentjen.
Nella Kastellgasse Martin si fermò: - Ti hanno dato un benservito
decente? — Devo andarlo a prendere. A Mannheim, alla
Mittelrheinische, hanno bisogno di un cassiere di battello o qualcosa
di simile... se non ti importa lasciare Colonia... - Entrarono. Era un
locale buio e abbastanza vasto, già da secoli osteria dei battellieri
renani; ma di quel lungo passato non restava ormai che l’affumicata
volta a botte. Le pareti dietro i tavoli erano rivestite di legno scuro
fino a mezza altezza, e lungo la parete era incastrata una panca. In
alto, sulla cornice, c’erano delle mezzette di Monaco e si poteva
vedere anche una torre Eiffel di bronzo; la torre Eiffel era adorna di
una bandierina nera, bianca e rossa dove, a guardar meglio, si
potevano decifrare le sbiadite lettere d’oro delle parole: «tavola
riservata». Fra le due finestre c’era una pianola con gli sportelli
aperti, che scoprivano il rullo delle note e il congegno interno. In
realtà gli sportelli dovevano star chiusi e chi desiderava godere la
musica avrebbe dovuto introdurre un nichelino; ma mamma Hentjen
non era una spilorcia, e quindi al cliente bastava mettere mano al
meccanismo tirando la leva; tutti i clienti di mamma Hentjen
sapevano come servirsi dell’apparecchio. Di fronte alla pianola, il
lato più corto del locale, in fondo, era tutto occupato dal banco, e
dietro il banco c’era il grande specchio, fra le due vetrine con le
variopinte bottiglie di liquori. La sera mamma Hentjen, quando aveva
preso il suo posto al banco, ogni tanto si voltava per tastare davanti
allo specchio l’acconciatura bionda, che stava come un piccolo,
rigido pan di zucchero sulla grossa testa rotonda. Sul banco c’erano
alcuni bottiglioni di vino e di acquavite; perché i liquori variopinti delle
vetrine venivano chiesti di rado. Infine, tra banco e vetrina, era
discretamente inserita una vaschetta di zinco con rubinetto.
Il locale non era riscaldato e quel gelo puzzava. I due uomini si
stropicciarono le mani, e mentre Esch si lasciava cadere
pesantemente su una panca, Martin manovrò la pianola che
riversò mugghiando nell'aria fredda della stanza la Marcia dei
gladiatori. Nonostante il frastuono presto si udirono dei passi su una
scricchiolante scala di legno, e presso il banco la porta a battente
senza serratura si aprì a una spinta della signora Hentjen. Indossava
ancora l’abito mattutino da lavoro, con un grembiulone di cotone
turchino legato davanti alla gonna, e non aveva messo nemmeno il
busto che portava di sera, cosicché i seni pendevano come due
sacchi nella blusa di fustagno a grossi quadri. Soltanto l’acconciatura
si ergeva, rigido e corretto pan di zucchero, sul volto smorto e
inespressivo, di età indefinibile. Ma tutti sapevano che la signora
Gertrud Hentjen aveva trentasei anni e da molto, molto tempo —
secondo un calcolo recente da almeno quattordici anni - era vedova
del signor Hentjen, la cui fotografia ingiallita faceva bella mostra di
sé sopra la torre Eiffel, tra la licenza dell’esercizio e un paesaggio
lunare, tutti e tre in belle cornici nere con fregi dorati. E benché il
signor Hentjen con la sua barbetta caprina avesse l’aria di un povero
lavorante sarto, la vedova gli si manteneva fedele; per lo meno non
si poteva dire nulla sul suo conto, e se qualcuno arrischiava degli
onesti approcci, lei osservava sprezzante: - Già, la trattoria gli
farebbe comodo! Ma che! preferisco mandarla avanti da sola.
- Buon giorno, signor Geyring; buon giorno, signor Esch, - disse:
— come sono mattinieri oggi! — Siamo in piedi da un pezzo,
mamma Hentjen, rispose Martin: — chi lavora vuole anche
mangiare! - e ordinò formaggio e vino; Esch, a cui il vino della vigilia
intorpidiva ancora la bocca e lo stomaco, prese dell’acquavite. La
signora Hentjen sedette accanto ai due uomini e si fece raccontare
le novità; Esch era taciturno, e sebbene non si vergognasse affatto
del suo licenziamento, lo irritava che Geyring la facesse tanto lunga.
— Già, un’altra vittima del capitalismo, — concluse il suo racconto il
sindacalista: — ma adesso bisogna tornare al lavoro; naturalmente il
barone qui può starsene a scaldare la panca —. Saldò il conto e
volle pagare anche l’acquavite di Esch - ... bisogna assistere i
disoccupati. ... - prese le grucce, che erano appoggiate accanto a lui,
puntò il piede sinistro contro il legno, e uscì dandosi lo slancio fra il
toc-toc dei bastoni.
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