Solo il tempo di morire- Paolo Roversi

SINTESI DEL LIBRO:
Questa roba ti manda in paradiso! E il bello è che non devi
nemmeno schiattare! No piccola, sto parlando da solo, non devi
rispondere. Tu continua così, brava.»
Agostino Ebale è uno dei primi a capire la nuova aria che tira.
A fiutare l’affare. Succede quando a Milano arriva la neve. Non
quella che cade dal cielo, fredda e bagnata, che non interessa a
nessuno, l’altra da spararsi su per il naso e sballare, che vale un
sacco di quattrini. E che ti scalda l’anima.
La vede apparire fugacemente prima al Santa Tecla e al Pum
Pum, poi al Parco delle Rose e al Big Bang, e via via in tutti gli
altri locali. Perfino nei cessi del Sesso&Piattole si comincia a
sniffare da pazzi.
Tutti ne sembrano contagiati. Entusiasti. La bamba tira su il
morale, eccita, ti dà coraggio, ti fa andare a mille, ti fa ballare e
scopare tutta la notte.
Agostino osserva quel mondo che va fuori di testa per la
polvere bianca e si rende conto che il fenomeno è solo agli inizi
ma presto scoppierà. La cocaina piace troppo e bisogna
approfittarne visto che di roba ne arriva ancora poca a Milano
mentre il numero di viziosi aumenta di giorno in giorno.
A cominciare da me, pensa Ebale, chiuso nel cesso di un locale,
mentre si fa una bella striscia e una ragazza inginocchiata ai suoi
piedi, per una riga equivalente, gli elargisce un servizietto coi
fiocchi. Ha i pantaloni calati e la camicia aperta. Suda.
La botta arriva subito. Dritta al cervello come una scarica
elettrica, come un punteruolo da ghiaccio ficcato in fronte. Afferra
la testa della tipa e la tiene ferma, quasi la soffoca, perché in quel
preciso istante il suo piacere esplode ed è un godimento doppio.
Assoluto.
«Questa roba è fantastica» sussurra spingendo via la donna.
«Milano impazzirà per la bamba, vorrà esserne inondata. E io
devo essere della partita.»
2.
Il mattino è sempre un incubo. E lui non vuole più saperne di
doversi alzare all’alba dopo essersi coricato nemmeno due ore
prima. Non è vita quella.
«Fanculo!» sbotta. «Non ce la faccio più a fare il pezzente!
Davvero non ci riesco.»
Francesco solleva gli occhi dalla pila di accessori in plastica
che sta sistemando sullo scaffale e li posa sul fratello. Lo guarda
come se fosse un extraterrestre.
«Cosa hai detto?»
«Che ho chiuso con questa roba. Basta!»
«Ma questa roba, come la chiami tu Agostino, ci dà da vivere!»
«Ci pagano una miseria e ci fa solo sopravvivere. I bei dané,
come dicono qui, si fanno in un altro modo. Mica ammucchiando
questa merda!»
Francesco scuote la testa. Non vuole innervosirsi. È abituato
alle sceneggiate del fratello ma stavolta non intende assecondarlo.
Ha dovuto metterci lui la faccia col padrone della ditta per farlo
assumere e ora, dopo nemmeno una settimana di lavoro, Agostino
già pensa di piantare tutto.
«Ma di cosa ti lamenti, si può sapere? Qui hai un futuro.»
«Sì, come no. Se continuo anche un solo giorno di più a fare
questo schifo di mestiere mi ridurrò il cervello in pappa.
Guardami, lo vedi cosa sto facendo? Sto appendendo dei tappetini
a una gruccia! E prima ho allineato su quello scaffale una dozzina
di portasapone. Ti pare un lavoro questo?»
«Stai farneticando!»
«Sei tu che non capisci come va il mondo, Francé! L’hai capito
che qui vendiamo cessi, sì?»
«Vendiamo accessori per il bagno!» ribatte il fratello rosso in
viso. «E poi cosa conta? L’importante è che ci paghino lo stipendio,
no?»
«Non fa per me.»
«Cosa non fa per te? Avere un lavoro rispettabile? Non dirmi
che preferisci tornare a quei tuoi traffici da...»
«E invece sì! Meglio essere qualcuno da criminale che nessuno
da onesto.»
Sono le ultime parole che Ebale proferisce prima di volgere le
spalle al fratello e uscire per sempre da quel negozio.
Francesco non ce la fa più a trattenersi, a non urlargli dietro, a
non gridare quello che l’altro non vuol sentire: «Sì, vai. Vai pure.
Bravo! Ma ricordati che hai una moglie e un figlio da mantenere!»
Agostino non si volta. Se ne ricorda eccome di Gloria e Matteo!
Ma in quel momento non gli importa. Forse ancora non ha ben
capito come funziona lì al Nord. Oppure l’ha compreso benissimo.
Da quando è arrivato, del resto, è stato come se un vortice
l’avesse risucchiato ma soltanto ora gli sembra di poter provare a
nuotare dopo che, per tanto – troppo – tempo, si è accontentato di
galleggiare. Adesso ha scoperto la neve. Il futuro è tutto lì e lui
deve solo capire come entrarci.
Ancora prima che metta piede in casa, Gloria è già sul sentiero
di guerra. Francesco deve averle telefonato, il bastardo.
«Davvero hai mollato il lavoro? Ma sei scemo?» lo accoglie
urlando sulla porta. «Lo sai che io sono a casa col bimbo! Come
faremo a tirare avanti?»
«Qualcosa m’inventerò» taglia corto Agostino infilandosi in
bagno.
«Oh, certo! Le tue portentose idee...»
Ebale, però, non ascolta più. Quelle sceneggiate, ormai, sono
all’ordine del giorno.
Quando sei un poveraccio, pensa sedendosi sulla tazza, non sei
mai felice. Il problema è tutto lì. Se i soldi non danno la felicità,
figuriamoci la miseria!
E lui di miseria se ne intende. Occhi neri come la pece, naso
tozzo e capelli ricci. Piccolo di statura, Agostino Ebale al Nord c’è
finito controvoglia quando era ragazzino. Una decina d’anni
prima, suo padre aveva detto basta ed erano tutti emigrati a
Milano dalla Sicilia. Avevano subito iniziato a chiamarlo terrone.
Ma quello era il meno. Mai il sole, sempre freddo e poi la gente,
Dio mio, lo salutavano appena con un gesto del capo, nemmeno
buongiorno e buonasera si meritava.
Gli Ebale erano scappati in fretta e furia da Catania perché il
padre doveva sfuggire dai debiti e dagli strozzini. In un’alzata
d’ingegno disperata si era portato dietro lui, la moglie e il fratello.
Dopo un giorno e una notte di treno ecco che dal sole dell’isola
erano stati catapultati nella nebbia di Cesano Maderno, periferia
nord di Milano. Un palazzone popolare, grigio e azzurrino, dove,
stipati in tre stanze, sarebbero vissuti senza elettricità.
Finite le scuole medie, Agostino aveva provato a integrarsi in
quel nuovo mondo, a portare qualche soldo a casa per dare una
mano. Per un anno aveva lavorato come operaio in una fabbrica
metalmeccanica ma non sopportava sentirsi dare degli ordini dai
capireparto così aveva mollato. Quindi si era messo a lucidare
mobili ma da quando la cera era stata sostituita dai prodotti
chimici che rendevano più rapido il lavoro, non si guadagnava più
bene. Senza contare che gli si riempivano le mani di bolle e
puzzavano da morire. Abbandonato anche quello. Si ripeteva
sempre che lui non era fatto per faticare. Ciò che Agostino
adorava davvero era andarsene a spasso ma, soprattutto, ballare.
Tutto quello che guadagnava lo spendeva in qualche locale sulla
strada per Como o nei dancing intorno a Milano.
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