Se consideri le colpe- Andrea Bajani

SINTESI DEL LIBRO:

 Credo sia successo anche a te, la prima volta che sei arrivata
qui. Che c’era un uomo, appena oltre la zona franca del
recupero bagagli, che ti aspettava col tuo nome scritto sopra
un foglio bianco. E una a una guardava le facce tentando di
indovinare quella giusta da associare al suo cartello. L’uomo
che aspettava me premeva contro la transenna alzando il
foglio piú in alto di tutti, e piú che una procedura
d’accoglienza, con quei cartelli in aria, sembrava una
manifestazione di dissenso. Poi ci siamo riconosciuti, io che
sono andato verso di lui e lui che ha piegato in quattro il
foglio e l’ha fatto sparire nel taschino. Sopra c’erano scritti il
tuo nome e il tuo cognome, come fossi tu a dover arrivare e
non io che venivo fin lí per vederti finire sotto terra.
Ci siamo stretti la mano per presentarci e poi non ci siamo
detti nulla. Mi ha detto soltanto che si chiamava Christian, e
poi ha guardato in basso. Sulla mano mi è rimasto impresso
il contatto con quella pelle dura, una mano che sembrava
presa in prestito, tanto era estranea alla faccia mite che non
mi guardava. Benvenuto in Romania, ha aggiunto poi
prendendomi le valigie. Siamo rimasti fermi qualche istante
a pochi metri dalle porte scorrevoli, io che non mi decidevo a
uscire e le porte che si aprivano e si chiudevano al passaggio
delle persone. Benvenuto in Romania, mi aveva detto,
eppure in quell’aeroporto romeno io vedevo soltanto italiani
in transito, uomini e donne sbrigativi che correvano trafelati
dietro a borse e valigie a rotelle. Che erano gli stessi con cui
avevo volato fino a pochi minuti prima, gli stessi che avevano
cominciato a urlare nel telefono appena l’aereo si era
fermato sulla pista, gli stessi che avevano continuato a
urlare dentro la navetta, e che poi erano scomparsi col loro
bagaglio a mano mentre io andavo ad aspettare la valigia. In
mezzo a quella gente di corsa una volta c’eri anche tu.
Christian è rimasto per un po’ accanto a me, fermi tutti e
due in quella zona di transito. Ma poi ha preso l’iniziativa, mi
ha detto Mi segua e si è incamminato verso l’uscita, ha
infilato l’apertura delle porte. Visto da dietro, con le spalle
larghe e il collo incassato, si capiva la durezza delle mani.
Quando ho alzato la testa Christian già non c’era piú, l’ho
visto sparire dall’altra parte della strada, la gente che
continuava a passare, l’altoparlante a dire Aeroportul
Otopeni e poi snocciolare arrivi e partenze in tutte le lingue
del mondo. Cosí sono andato anch’io contro la porta a vetri,
il gusto ogni volta di vederla aprirsi un attimo prima di
finirci contro. Mi sono ritrovato fuori, il sole mi è scoppiato
in faccia, e la Romania era quella lí. Ho cercato Christian in
mezzo al via vai, ma i lampi sui parabrezza erano troppo
violenti per riuscire a guardarci attraverso. D’un tratto me lo
sono visto di fianco, per qualche istante ci eravamo stati
accanto senza saperlo, tutti e due a cercarci dall’altra parte
della strada. Poi abbiamo attraversato cercando dei varchi in
mezzo al traffico, infilandoci tra le macchine in coda, le mani
sui cofani per protezione. Abbiamo girato per un po’ tra le
auto in sosta, Christian non si ricordava dove aveva
parcheggiato. Quando ha visto la macchina ha accelerato il
passo. L’ha fatta lampeggiare col telecomando, ha sistemato
metodicamente le mie borse dentro il bagagliaio. Accanto a
noi c’era una vecchissima Dacia dall’aria sfiancata,
sembrava rimasta ferma lí da cinquant’anni. Il parcheggio
era pieno di quelle macchine che parevano incagliate, come
biciclette rimaste legate ai pali, i proprietari già morti da
tempo e la gente che ci passa accanto.
Ha voluto che mi sedessi dietro, mi ha detto Per favore,
aprendo la portiera. Poi per buona parte del viaggio è
rimasto in silenzio, io gli guardavo la nuca, l’attaccatura dei
capelli, gli cercavo la Romania addosso, qualche traccia di
te. Ogni tanto mi guardava dentro lo specchietto, mi diceva
Mi dispiace per sua madre. Pronunciava quelle parole in un
italiano limpido, un accenno di estraneità piú nello sguardo
con cui le diceva che nella forma con cui venivano fuori.
Aveva una faccia messa a lutto, come se quel viaggio
cominciato all’aeroporto facesse già parte della tua
cerimonia funebre. Christian è stato il tuo autista per molti
anni. Ogni volta che sei atterrata a Bucarest lui si è
presentato all’aeroporto, ti ha aspettato poco oltre la
transenna e poi ti ha liberato dei bagagli. Ogni volta ti ha
fatto salire dietro, ti ha cercato una buona frequenza alla
radio, e senza bisogno che tu aggiungessi altro ti ha portato
in azienda. La sera ti è venuto a prendere e ti ha
accompagnato a casa. Da allora la macchina è rimasta la
stessa, il tuo nome stampato sulla fiancata assieme a quello
del tuo socio. Tu stavi seduta dove ora sto seduto io, vedevi
quello che adesso vedo io, la città finire di colpo, e noi tutt’a
un tratto allo scoperto in una campagna uguale per
chilometri.

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