Lotte sociali –  Victor Hugo

SINTESI DEL LIBRO:

GIORNATA DEL 23
Quando arrivai alla Camera dei pari, erano le tre precise, il generale Rapatel
uscendo dal vestibolo mi disse:
— La seduta è finita.
Andai alla Camera dei deputati. Nel momento in cui la mia carrozza
passava dalla via di Lilla una colonna serrata ed interminabile di uomini in
borghese, in blouse ed in berretto, camminando l'uno a braccetto dell'altro, tre
per tre, sboccava dalla via Bellechasse e si dirigeva verso la Camera. Vedevo
l'altra estremità della strada chiusa da una fitta fila di fanteria di linea, l'arma
al braccio. Sorpassai la gente in blouse che era confusa a delle donne e che
gridava: — Viva la Riforma! — Viva la linea! — Abbasso Guizot! —
Costoro si fermarono ad un tiro di fucile circa dalla fanteria. I soldati aprirono
i ranghi per lasciarmi passare. I soldati discutevano e ridevano. Uno di essi,
molto giovane, alzava le spalle.
Non sono andato più in là della sala dei Paesi Perduti. Era gremita di
gruppi affannati ed inquieti. Thiers, de Remusat, Vivien, Merruau (del
Costituzionale) da una parte; dall'altra Emilio de Girardin, d'Althon-Shée e de
Boissy; Franck-Carré, d'Houdetot, de Lagrenèe. — Armand Marast traeva
d'Alton vicino a se, — De Girardin mi ha fermato mentre passavo; poi
d'Houdetot e Lagrenée, Franck-Carré e Vigner ci hanno raggiunti. Si è
discusso. Io ho detto loro:
— Il gabinetto è gravemente colpevole. Egli ha dimenticato che in tempi
come i nostri, vi sono degli abissi a destra e a sinistra e che non bisogna
governare rasentando troppo le cime. Certo, egli si è detto: — Non è che una
sommossa, e si è tranquillizzato. Si è creduto sicuro, ed eccoci daccapo! Ma,
e poi, chi è che sa dove può finire una sommossa? È vero; le sommosse
rafforzano i gabinetti, ma le rivoluzioni rovesciano le dinastie. E qual giuoco
imprudente! rischiare la dinastia per salvare il ministero! La situazione tesa
serrò il nodo ed oggi è impossibile scioglierlo. La corda si può rompere e
allora tutto andrà alla deriva. La sinistra manovrò imprudentemente e il
gabinetto follemente.
La responsabilità è di tutti. Fu una follìa per questo ministero confondere
una questione di polizia con una questione di libertà e opporre lo spirito del
cavillo allo spirito di rivoluzione! Mi fa l'effetto di colui che manda degli
usceri con della carta bollata ad un leone. Le arguzie di Hèbert di fronte alla
sommossa! un bell'affare!…
Mentre dicevo questo un deputato è passato vicino a noi ed ha detto:
— Il ministero della marina è preso!
— Andiamo a vedere! mi dice Franc d'Houdetot.
*
* *
Siamo usciti. Abbiamo attraversato un reggimento di fanteria che vigilava
all'imboccatura del ponte della Concordia. Un altro reggimento sbarra l'altro
lato. La cavalleria carica, sulla piazza Luigi XV, dei gruppi immobili e
minacciosi, i quali, all'avvicinarsi dei cavalieri, fuggono come uno sciame.
Nessuno sul ponte, tranne un generale in uniforme, con la croce di
commendatore al collo; il generale Prévot. — Egli passa al gran trotto e ci
grida:
— Ci attaccano!…
Allorchè abbiamo raggiunto la truppa ch'era all'altro lato del ponte, un
capo di battaglione a cavallo, tutto gallonato, e dalla figura grossa e
bonacciona, ha salutato d'Houdetot.
— Che cosa c'è? gli ha chiesto Franc.
— C'è, ha risposto il comandante, che sono arrivato a tempo!
È questo capo di battaglione che ha liberato il palazzo del Parlamento
quando, stamani alle sei, la sommossa lo aveva invaso.
Siamo scesi fin sulla piazza. Le cariche di cavalleria turbinavano intorno a
noi. All'angolo del ponte un dragone alzava la sciabola sopra ad un operaio.
Non credo che lo abbia colpito. Del resto, il ministero della Marina, non era
niente affatto preso. Un assembramento aveva gettato una pietra contro un
vetro del palazzo e ferito un curioso che guardava dall'interno. Nulla più.
Scorgemmo delle vetture arrestate e disposte come per una barricata nel
gran viale dei Campi Elisi. D'Houdetot ha detto:
— Laggiù comincia il fuoco! Osservate; vedete il fumo?
— Bah! ho risposto, è il fumo della fontana. Quel fuoco è dell'acqua. — E
ci siamo messi a ridere.
Tuttavia laggiù il popolo aveva fatto tre barricate con delle sedie. La
pattuglia dei Campi Elisi era accorsa per distruggerle. Il popolo ha respinto i
soldati a sassate costringendoli a rientrare nel corpo di guardia. Il generale
Prèvot ha mandato allora una squadra di guardie municipali per dar man
forte. La squadra è stata circondata ed è stata costretta a rifugiarsi coi soldati.
La folla ha bloccato il posto. Un uomo, presa una scala, è montato sul tetto
del corpo di guardia, ha afferrato la bandiera, l'ha stracciata e l'ha gettata al
popolo. Per liberare il posto ci è voluto un battaglione.
— Diavolo! diceva Franc d'Houdetot al generale Prévot che ci raccontava
tutto questo, una bandiera presa!
Il generale ha risposto vivamente:
— Presa, no! Rubata, sì!
È sopraggiunto Pietro Lacaze dando il braccio a Napoleone Duchatel, tutti
e due molto allegri. Essi hanno acceso il loro sigaro al sigaro di Franc
Houdetot, e ci hanno detto:
— Sapete?… Genoude ha consegnato il suo atto d'accusa da solo. Non gli
si è lasciato sottoscrivere l'atto d'accusa della sinistra. Egli non ha voluto
essere smentito, e adesso, ecco il ministero fra due fuochi. A sinistra tutta la
sinistra, a destra, De Genoude.
Poi, Napoleone Duchatel ha ripreso:
— Dicono che Duvergier de Hauranne è stato portato in trionfo.
Eravamo tornati sul ponte. Passava Vivien; egli ci ha subito abbordati. Col
suo cappello a larghe falde ed il suo pastrano abbottonato sino alla cravatta ha
l'aria di una guardia di città.
— Dove andiamo a finire?… mi ha detto. Tutto quello che accade è molto
grave!
Ciò che è certo si è che in questo momento si sente tutta la macchina
costituzionale come sollevata. Essa non riposa più sul suolo. Si ode lo
scricchiolìo.
La crisi si complica in tutta l'Europa rumoreggiante.
Non per questo il re sarà meno tranquillo e meno allegro. Tuttavia non
bisogna scherzar troppo con questo giuoco. Tutte le partite che vi si
guadagnano non servono che a fare il totale della partita che poi si perde.
Vivien ci raccontò che il re aveva gettato nel suo cassetto un progetto di
riforma elettorale, dicendo:
— Questo è per il mio successore!
— È la frase di Luigi XV, aggiunse Vivien, quando credeva che la riforma
fosse il diluvio universale.
Sembra certo che il re abbia interrotto Sallandrouze, allorchè questi gli
portava le condoglianze dei progressisti, e che gli abbia domandato
bruscamente:
— Vendete molti tappeti?
A questo ricevimento dei progressisti il re ha scorto Blanquì e si è diretto a
lui, dicendo graziosamente:
— Ebbene? signor Blanquì; che cosa dicono? che cosa succede?
— Sire, ha risposto Blanquì, debbo dire al re che nei dipartimenti e
particolarmente a Bordeaux, vi è molta agitazione. La truppa percorre la
campagna…
— Ah, ha interrotto il re; ancora delle agitazioni!…
Ed ha voltato le spalle a Blanquì.

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