Il bacio perduto – Lara Adrian

SINTESI DEL LIBRO:
Camminava in mezzo a loro senza essere notata: una pendolare
come tanti altri nell'ora di punta pomeridiana che arrancava nella
neve caduta di fresco quel febbraio, diretta alla stazione ferroviaria.
Nessuno prestava la minima attenzione alla donna minuta nella
giacca a vento troppo grande, col cappuccio tirato, e la sciarpa che
le nascondeva la faccia fin sotto gli occhi, che osservava la folla di
pedoni umani con acuto interesse. Troppo acuto, sapeva, ma non
poteva farne a meno.
Non vedeva l'ora di essere là fuori in mezzo a loro, impaziente di
trovare la sua preda.
Dalle cuffiette del lettore mp3 portatile, il fragoroso martellare di
musica rock le risuonava nella testa. Non era suo. Era appartenuto a
suo figlio adolescente... a Camden. Il dolce Cam, che era morto solo
quattro mesi prima, una vittima della guerra sotterranea di cui ora
anche Elise stessa faceva parte. Era lui la ragione per cui si trovava
qui, ad aggirarsi per le strade affollate di Boston con un pugnale
nella tasca della giacca e una lama dal filo in titanio assicurata alla
coscia. Ora più che mai, Camden era la sua ragione di vita.
La sua morte non poteva rimanere impunita.
Elise attraversò a un semaforo e procedette lungo la strada verso
la stazione. Poteva vedere le persone parlare mentre le superava, le
loro labbra che si muovevano in silenzio, le loro parole - ancora più
importante, i loro pensieri - smorzate dai testi aggressivi, dalle
chitarre urlanti e dal pulsare ritmico del basso che riempiva le sue
orecchie e le riverberava nelle ossa. Non sapeva di preciso cosa
stesse ascoltando, né aveva importanza. Tutto quello che le
occorreva era il rumore, forte e che durasse abbastanza a lungo per
farla arrivare al luogo della caccia.
Entrò nell'edificio, solo un'altra persona in una fiumana di umanitÃ
in movimento. La luce si riversava da tubi fluorescenti sul soffitto.
L'odore di sudiciume di strada, umidità e troppi corpi assalì il suo
naso attraverso la sciarpa. Costretta a dividersi attorno a lei, la folla
semovente la superò da entrambi i lati, e molti la urtavano o la
spintonavano via nella loro fretta di prendere il treno successivo. Più
d'uno le rivolse un'occhiataccia nel passare, indirizzandole improperi
per essersi fermata così di colpo in mezzo ai piedi.
Dio, quanto detestava tutto questo contatto, ma era necessario.
Trasse un respiro per calmarsi, poi allungò una mano in tasca e
spense la musica. Il frastuono della stazione si riversò su di lei come
un'onda, avviluppandola con il chiasso di voci, lo strascichio di piedi,
il traffico di fuori e il fragoroso raschiare metallico del treno in arrivo.
Ma questi rumori non erano nulla paragonati agli altri che la
sommersero ora.
Pensieri orrendi, cattive intenzioni, peccati segreti, aperte ostilità ...
Tutto quanto si rimestava attorno a lei come una tempesta nera, la
corruzione umana che la cercava e si faceva strada martellando nei
suoi sensi. Come sempre, la prima folata di vento malefico la fece
barcollare, quasi sopraffacendola. Elise ondeggiò. Combatté la
nausea che montò dentro di lei e cercò di fare del suo meglio per
sopportare quell'assalto psichico.
Che puttana! Spero che la licenzino...
Dannati turisti campagnoli, perché non tornate da dove siete
venuti...
Idiota! Levati di mezzo oppure giuro che ti sbatto a terra...
È la sorella di mia moglie; e allora? Non è che lei non ci abbia
provato con me tutto questo tempo...
Il
respiro di Elise stava accelerando a ogni secondo, mentre
un'emicrania le sbocciava nelle tempie. Le voci nella sua mente si
mischiarono in un chiacchiericcio incessante, quasi indistinguibile,
ma lei resistette, facendosi forza mentre il treno arrivava e le porte si
aprivano per far uscire un nuovo mare di persone sul binario. Si
riversarono tutto attorno a lei, altre voci che si aggiungevano alla
cacofonia che la stava facendo a pezzi dall'interno.
Quei miserabili accattoni dovrebbero fare lo stesso sforzo per
cercare un maledetto lavoro...
Lo giuro, se mi mette di nuovo una mano addosso lo uccido, quel
figlio di puttana...
Correte, bestiame! Correte di nuovo ai vostri recinti! Creature
patetiche... Il mio Padrone ha ragione: vi meritate di essere schiavi...
Gli occhi di Elise si spalancarono. Le si gelò il sangue nelle vene
l'attimo in cui la sua mente registrò quelle parole. Era questa la voce
che attendeva di sentire.
Quello che era venuta qui per cacciare.
Non conosceva il nome della sua preda, ma sapeva ciò che era:
un Servo. Come gli altri della sua specie, una volta era stato umano,
ma adesso era qualcosa di meno. La sua umanità era stata
prosciugata da quello che lui chiamava Padrone, un potente vampiro
a capo dei Ribelli. Era per colpa loro - dei Ribelli e di quel malvagio
che li guidava in una guerra sempre più feroce all'interno della razza
vampirica - che l'unico figlio di Elise era morto.
Dopo essere rimasta vedova cinque anni fa, Camden era tutto ciò
che le era rimasto, tutto quello che aveva importanza nella sua vita.
Con la sua perdita, aveva trovato un nuovo scopo. Una
determinazione incrollabile. Era quella determinazione a cui si
appoggiava adesso, che ordinava ai suoi piedi di muoversi
attraverso la fitta calca, in cerca di colui al quale stavolta l'avrebbe
fatta pagare per la morte di Camden.
La testa le girava per il bombardamento incessante di pensieri
orrendi e dolorosi, ma alla fine riuscì a estrapolare il Servo. La
precedeva di diversi metri, la testa coperta da uno zuccotto nero, il
suo corpo avvolto in una sbrindellata giacca mimetica di un verde
sbiadito. L'animosità fuoriusciva da lui come acido. La sua
corruzione era così completa che Elise poteva sentirne il sapore
come bile in fondo alla gola. E non aveva scelta se non stargli
attaccata, aspettando l'opportunità di fare la sua mossa.
Il Servo uscì dalla stazione e si diresse lungo il marciapiede a
passo rapido. Elise lo seguì, con le dita avvolte strette attorno al
pugnale nella sua tasca. Qui fuori, con meno persone, quel
frastuono psichico si era attenuato, ma il dolore del sovraccarico
nella stazione era ancora presente, e le penetrava il cranio come
uno spuntone d'acciaio. Elise tenne gli occhi fissi sulla sua preda,
accelerando mentre lui lasciava la strada per infilarsi in una filiale
FedEx. Lei arrivò alla porta a vetri e scrutò oltre il logo dipinto per
vedere il Servo attendere in fila per lo sportello.
«Mi scusi» disse qualcuno alle sue spalle col suono di una vera
voce, e non col brusio di parole che stavano ancora riempiendo la
sua testa. «Sta entrando o cosa, signora?»
L'uomo dietro di lei diede una spinta alla porta nel dirlo, tenendola
aperta per lei in attesa. Elise non aveva intenzione di entrare, ma ora
tutti la stavano guardando - incluso il Servo - e avrebbe attirato più
attenzione su di sé se si fosse rifiutata. Elise entrò nel locale ben
illuminato e simulò all'istante interesse per alcuni pacchi da
spedizione in mostra nella vetrina.
Con la coda dell'occhio osservò mentre il Servo aspettava in fila il
suo turno. Era irritabile e violento, e i suoi pensieri schernivano i
clienti davanti a lui. Infine si avvicinò al bancone, ignorando il saluto
dell'impiegato.
«Un ritiro per Raines.»
L'impiegato digitò qualcosa in un computer, poi esitò un secondo.
«Un momento.» Si diresse a una stanza sul retro, solo per tornare
un attimo più tardi scuotendo la testa. «Non è ancora arrivato.
Spiacente.»
Una sensazione di furia si diffuse dal Servo, serrandosi come una
morsa attorno alle tempie di Elise. «Cosa vuol dire 'non è arrivato'?»
«Una grossa nevicata ha colpito buona parte di New York la
scorsa notte, perciò molte delle spedizioni di oggi sono state
posticipate...»
«Si suppone che questa merda sia garantita» ringhiò il Servo.
«Sì, è così. Può avere indietro i suoi soldi, ma deve riempire un
reclamo...»
«Al diavolo il reclamo, idiota! Mi serve quel pacco. Ora!»
Il
Padrone mi farà la pelle se non mi presento con questa
consegna, e se me la strapperà , tornerò qui e a te strapperò quei
maledetti polmoni.
Elise rimase senza fiato alla veemenza di quella minaccia
inespressa. Sapeva che i Servi vivevano solo per servire chi li aveva
creati, ma la lasciava sempre sbigottita sentire fino a quale orribile
profondità giungeva la loro devozione. Niente era sacro per la loro
razza. Le vite non significavano nulla, che fossero umane o della
Stirpe. I Servi erano spaventosi quasi quanto i Ribelli, la fazione di
criminali assetati di sangue della nazione vampirica.
Il Servo si sporse sopra il bancone, con i pugni serrati da entrambi
i lati. «Ho bisogno di quel pacco, coglione. Non me ne vado senza.»
L'impiegato indietreggiò, la sua espressione all'improvviso
diventata cauta. Afferrò il telefono. «Ascolti, amico, come le ho
spiegato, non c'è nient'altro che possa fare per lei. Dovrà tornare
domani. Ora è meglio che se ne vada prima che chiami la polizia.»
Inutile pezzo di merda, mugugnò il Servo dentro di sé. Certo che
tornerò domani. Aspetta solo che torni per te!
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