Il bacio che non ti ho dato – Angela Contini

SINTESI DEL LIBRO:
L
a sala è gremita di gente, le luci stroboscopiche accecanti.
Siamo a fine giugno e comincia a fare caldo sul serio. Corpi
sudati mi si strofinano addosso e l’aria condizionata sembra non
funzionare affatto. Mi sono già pentita per aver accettato di
accompagnare Giorgia a questa festa.
«Avanti, si tratta di un paio di giorni a Bologna. La mia migliore
amica dei tempi dell’università compie trent’anni e non posso
assolutamente mancare, ma sai quanto odio viaggiare da sola. Ti
prego, accompagnami, Stella», ha insistito qualche giorno fa e non
ho potuto fare altro che accontentarla. Sono troppo buona, lo dico
sempre.
Non ho avuto il tempo di visitare Bologna. Non appena siamo
arrivate abbiamo incontrato subito l’amica di Giorgia, che ci ha
coinvolte nella sistemazione della sala che ha affittato per la festa
del suo compleanno. Di nuovo ho detto sì.
Pensavo che mi sarei divertita e invece mi sono ritrovata a passare
un intero pomeriggio ad appendere festoni e palloncini colorati alle
pareti. Troppi palloncini, neanche fosse la festicciola di una
dodicenne. Giuro che, a un certo punto, non mi sarei stupita di
vedere anche degli scivoli gonfiabili.
Nonostante tutto la festa non è male, mi dico ora che sono qui, se
provo a ignorare il caldo, la gente e le luci. E i palloncini. C’è da
mangiare, da bere, molto da bere, e io ho indosso il mio vestito più
bello: un top grigio chiaro con il bordo ricoperto di perline bianche
abbinato a dei pantaloncini corti neri, sostenuti da un cinturino di
pelle sintetica bianca.
Ho bisogno di bere. Mi allontano da Giorgia e dal suo gruppo di
amici dell’università per dirigermi verso il tavolo delle bevande e
versarmi qualcosa di fresco. Schivo un paio di tizi che mi sorridono
come due idioti, saluto la sorella della festeggiata, sorrido al ragazzo
dietro al tavolo delle bevande, gli chiedo un mojito, prendo il
bicchiere e mentre faccio per girarmi e andarmene vado a sbattere
contro qualcuno. Il mojito si versa proprio al centro del mio top.
«Merda!», mi lascio sfuggire, prima di sollevare lo sguardo sul
ragazzo più bello che abbia mai incontrato. Provo a dire qualcosa di
sensato, ma non ci riesco. Mentre lui stringe le labbra e si passa una
mano fra i capelli penso ancora che dovrei dire qualcosa, qualsiasi
cosa, tipo: “Dovresti stare più attento”, oppure, “Perché non guardi
dove metti i piedi?”, o ancora, “Hai un fazzoletto?”.
«So cosa stai per dire», comincia lui infilandosi fra i miei pensieri
con voce profonda, di quelle che sarebbero perfette per il doppiaggio
di un film. «Che devo pagarti la tintoria. Hai ragione, lo farò. Ti
restituirò il vestito lavato e stirato, poi ti chiederò di uscire. Tu
accetterai perché ti faccio pena e da lì a una relazione seria il passo
sarà breve. Così, senza nemmeno rendercene conto, saremo
sposati con tre figli e in attesa del quarto». Sorride e ci manca poco
che cominci a fissarlo a bocca aperta.
Faccio fatica a restare seria e quando finalmente riesco a parlare,
dico: «Pensa che io volevo chiederti solo se avessi un fazzoletto».
Mi sento molto spiritosa e un po’ idiota, sì. Anzi, poco spiritosa e
molto idiota. Non so perché, ma è l’effetto che mi fa questo tizio.
«No, non servirebbe per quella macchia. Quindi dobbiamo sposarci
per forza». Lui mi sorride e io sento decine di farfalle svolazzare
nello stomaco. Ha un sorriso che è la fine del mondo. I capelli sono
scuri come la notte sotto l’effetto delle luci, ricci e disordinati. Un velo
di barba e gli occhi verdi, contornati da lunghe ciglia nere e folte
sopracciglia, sorridono come le labbra. Ok, sì, i colpi di fulmine
esistono sul serio. Chi sono io per mettere in discussione qualcosa
che ho appena sperimentato sulla mia pelle?
«Scusa, devo aver esagerato con la birra. Ce n’è a fiumi qui. È
difficile dire di no. Sono Marco». Marco. Che nome magnifico. Da
condottiero. Da esploratore. Non potrebbe chiamarsi in altro modo.
Allungo una mano verso la sua. La stringe e ne percepisco tutto il
calore. È una mano forte e molto curata. Ho sempre apprezzato le
belle mani in un uomo. Non solo le mani, è naturale, ma lo ammetto,
sono una parte del corpo che mi ha sempre affascinata. Sono una
feticista delle mani.
«Io sono Stella, piacere di conoscerti, Marco».
Lui continua a stringermi la mano. «Stella. È un nome bellissimo,
ma scommetto che hai dovuto subire stupidi complimenti del tipo:
Stella, brilli come il tuo nome».
«Una cosa del genere», annuisco mentre continuo a sorridere come
la più invaghita delle ragazzine.
«Devo ammettere, però, che avevano ragione a dirtelo».
«Non scadrai anche tu nell’ovvio, vero? Cominciavo a pensare che
fossi diverso dagli altri».
«Io sono diverso. Altrimenti perché avresti deciso di sposarmi?»
«Un buon matrimonio si basa soprattutto sull’originalità dei
complimenti, non lo sai?»
«Quindi pensi che per conquistarti io debba osare di più?»
«Molto di più».
In questo momento la band che anima la festa attacca a suonare
una versione a due voci, uomo e donna accompagnati da una
chitarra, di True Colors. «La musica giusta, arriva al momento
propizio». Marco allunga di nuovo la mano verso di me. «Ti va di
ballare, Stella?»
«Con piacere», gli rispondo senza pensarci neanche un secondo,
mentre le farfalle cominciano a fare capriole ed evoluzioni come
fossero acrobati del circo. Un’altra decina di coppie hanno occupato
il
centro della sala mentre i bagliori psichedelici hanno lasciato
spazio a un’illuminazione soffusa. L’atmosfera è magica e tra le
braccia di Marco mi sento leggera come se fossi su una nuvola. Non
è per niente normale questa cosa. È come se avessi bevuto litri di
alcol. Forse l’ho fatto e non lo ricordo. Lui mi stringe senza osare
troppo. È delicato, ma forte al tempo stesso. E ha un profumo…
«Il tuo profumo è buonissimo». Quasi non mi accorgo di dirlo, ma lui
mi sente perfettamente. Idiozia uno, Stella zero.
«Hugo Boss. Il mio preferito», mi risponde, mentre annusa il
profumo dei miei capelli. «È curioso», prosegue Marco.
«Cosa?», gli chiedo.
«Che io mi senta così a mio agio con qualcuno che ho appena
conosciuto».
Non sospirare, Stella, non farlo. Dai sospiri a “Perché non mi hai
chiamata” è un attimo. Ma non posso fare a meno di ammettere che
provo esattamente la stessa cosa. Mi sento bene, rilassata e in parte
eccitata. No, soprattutto eccitata. Le sensazioni che sto provando
sono meravigliose e spaventose allo stesso tempo e me ne stupisco
io per prima. Vorrei che questa musica non smettesse mai, che
questo ballo non avesse mai fine. Vorrei poter approfondire la
conoscenza di questo ragazzo. Portarlo via da qualche parte, rapirlo
magari. Chi è? Da dove viene? Cosa fa nella vita? Qual è il suo
gusto di gelato preferito? Vorrei sapere tutte queste cose e molto
altro.
«Prendimi pure per pazzo». No, perché mai? «Ma devo fare una
cosa». La sua stretta si intensifica sulla mia vita, mentre lui abbassa
il volto verso il mio. «È tutta la sera che ci penso».
«Tutta la sera?»
«Tutta la sera. Ti sono venuto addosso apposta. Il cocktail sulla
maglietta non lo avevo previsto, ma è andata bene lo stesso». È così
che deve sentirsi un astrofisico quando scopre una nuova stella.
«Sei…». Non riesco a trovare un termine appropriato, perché tutti
quelli che mi vengono in mente non fanno parte della lingua italiana,
ma piuttosto di quella dei primati.
«Arrogante? Presuntuoso? Forse, ma ho una voglia di baciarti da
quando ti ho messo gli occhi addosso che mi sembra di impazzire.
Uscirò fuori di testa se non lo faccio subito e sarà colpa tua, solo tua,
se dovrai sposare un pazzo».
«Non sia mai. Desidero un marito nel pieno delle sue facoltà
mentali».
«È un sì?»
«Lo è». Non credo possibile averlo detto, né che stia accadendo
proprio a me.
Un neurone, uno solo, mi sta dicendo che potrei pentirmi di questo,
ma gli altri, tutti gli altri, e so che sono tanti, hanno tirato fuori gli
accendini e li stanno sventolando da una parte all’altra della mia
testa intonando in coro:
But I see your true colors
Shining through
I see your true colors
And that’s why I love you
So don’t be afraid to let them show
Your true colors
Vogliamo negare l’evidenza? Non vogliamo dare una chance a
questo amore? Vogliamo contraddire o smentire Cyndi Lauper?
«E vissero felici e contenti». Marco avvicina le labbra alle mie e il
mondo, all’improvviso, sembra girare più veloce. «Hai le labbra più
belle che abbia mai visto», mi sussurra quasi sulla bocca. Le mie
ginocchia tremano. Non ho mai provato la tremarella alle ginocchia
ed è semplicemente fantastico. Non credevo che facesse questo
effetto. È come se fossero fatte di burro, due panetti di burro che si
sciolgono a una temperatura decisamente alta.
Marco pare accarezzarmi con lo sguardo, sembra voglia chiedermi il
permesso di andare avanti e se la musica non avesse cambiato
ritmo all’improvviso e il cellulare di lui non avesse cominciato a
squillare con insistenza, glielo avrei lasciato fare. Marco si allontana
quel tanto che basta per permettermi di guardarlo in faccia. Il mondo
non gira più e il cielo sta per cadermi sulla testa.
«Squilla sempre nei momenti meno opportuni». Mi sorride, ma
quando guarda il display del cellulare il suo volto si scurisce.
«Scusami, devo rispondere».
«Nessun problema. Grazie del ballo». Rispondo al sorriso e faccio
per andarmene per lasciargli un po’ di intimità, quando lui mi prende
una mano e mi ferma.
«Non sparire, ok?».
Annuisco con la testa e con i palpiti esagerati del cuore. «Mi trovi
qui in giro». Mi allontano camminando a un metro da terra e quando
raggiungo Giorgia mi sento raggiante.
«Non stavo sognando, allora?». La mia amica mi stringe una mano
mentre mi guarda con gli occhi spalancati.
«Tu non so. Io di certo»
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