Aléxandros – 3. Il confine del mondo – Massimo Manfredi

SINTESI DEL LIBRO:
Libro Primo
IL FIGLIO DEL SOGNO
ANTEFATTO
I quattro Magi salivano a passi lenti i sentieri che conducevano alla sommità
della Montagna della luce: giungevano dai quattro punti dell’orizzonte
portando ognuno una bisaccia con i legni profumati destinati al rito del fuoco.
Il Mago dell’aurora aveva un mantello di seta rosa sfumato in azzurro e
calzava sandali di pelle di cervo. Il Mago del tramonto portava una
sopravveste cremisi screziata d’oro, e gli pendeva dalle spalle una lunga stola
di bisso ricamato con gli stessi colori.
Il Mago del mezzogiorno indossava una tunica di porpora operata con spighe
d’oro, e calzava babbucce di pelle di serpente. L’ultimo di loro, il Mago della
notte, era vestito di lana nera, intessuta dal vello di agnelli non nati,
tempestata di stelle d’argento.
Camminavano come se il ritmo della loro andatura fosse scandito da una
musica che soltanto loro potevano udire e si avvicinavano al tempio con passi
uguali, percorrendo uguali distanze, anche se l’uno saliva un’erta sassosa,
l’altro marciava su un sentiero pianeggiante e gli ultimi avanzavano sul letto
sabbioso di fiumi disseccati.
Si trovarono ai quattro ingressi della torre di pietra nello stesso istante, nel
momento in cui l’alba vestiva di una luce di perla l’immenso territorio
deserto dell’altopiano.
Si inchinarono guardandosi in volto attraverso i quattro archi d’ingresso e poi
si avvicinarono all’altare. Cominciò per primo il rito il Mago dell’aurora e
dispose in quadrato rami di legno di sandalo; lo seguì il Mago del
mezzogiorno che aggiunse, obliqui, fuscelli d’acacia affastellati. Il Mago del
tramonto ammonticchiò su quella base legni scortecciati di cedro, colti nella
foresta del monte Libano. Ultimo, il Mago della notte depose rami mondati e
stagionati di quercia del Caucaso, legno colpito dal fulmine, seccato dal sole
delle altezze. Poi tutti e quattro estrassero dalle bisacce le selci sacre e fecero
scoccare all’unisono scintille azzurrine alla base della piccola piramide finché
il fuoco cominciò ad ardere, debole prima,
timido, poi sempre più forte e gagliardo; le lingue vermiglie divennero
azzurre e quasi bianche infine, simili in tutto al Fuoco del cielo, al respiro
superno di Ahura Mazda, dio di verità e di gloria, signore del tempo e della
vita.
Solo la voce pura del fuoco mormorava la sua arcana poesia all’interno della
grande torre di pietra, nemmeno il respiro si udiva dei quattro uomini
immobili al centro della loro patria immensa.
Guardavano rapiti la sacra fiamma prendere forma dalla semplice architettura
dei rami disposti ad arte sull’altare di pietra, fissavano gli occhi in quella luce
purissima, in quella danza meravigliosa di luce, levando la loro preghiera per
il popolo e per il Re. Il Gran Re, il Re dei Re che sedeva lontano, nell’aula
splendente della sua reggia, l’immortale Persepoli, in mezzo a una foresta di
colonne dipinte di porpora e d’oro, vigilata da tori alati e da leoni rampanti.
L’aria, in quell’ora del mattino, in quel luogo magico e solitario, era del tutto
immota e così doveva essere affinché il Fuoco celeste assumesse le forme e i
moti della sua natura divina, che sempre lo spinge verso l’alto a congiungersi
con
l’Empireo, sua originaria sorgente.
Ma d’un tratto una forza possente alitò sulle fiamme e le annientò. Sotto lo
sguardo stupito dei Magi, anche le braci si mutarono all’improvviso in nero
carbone.
Non ci fu altro segno, non un suono, se non lo stridere alto del falco che
saliva nel cielo vuoto, né ci furono parole. I quattro uomini restarono attoniti
accanto all’altare, colpiti da un triste presagio, versando lacrime in silenzio.
In quello stesso istante, lontano, in un remoto paese d’Occidente, una
fanciulla si accostava, tremando, alle querce di un antico santuario per
chiedere una
benedizione per il figlio che sentiva per la prima volta muovere in grembo. Il
nome della fanciulla era Olympias. Il nome del bambino lo rivelò il vento che
soffiava impetuoso fra i rami millenari e agitava le foglie morte ai piedi dei
tronchi giganti.
Il nome era:
ALÉXANDROS.
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