Eroi – Mostri e mortali, imprese e avventure – Stephen Fry

SINTESI DEL LIBRO:
ACRISIO, re d’Argo,
1non avendo ancora avuto eredi maschi al trono,
chiese all’oracolo di Delfi se e quando avrebbe potuto averne uno.
La risposta della sacerdotessa fu inquietante: Il re Acrisio non avrÃ
figli maschi, ma suo nipote lo ucciderà .
Acrisio amava la sua unica figlia DANAE, ma amava ancora di più la
vita. Data la sentenza dell’oracolo, era chiaro che avrebbe dovuto
fare tutto il possibile per impedire a qualsiasi maschio in età feconda
di avvicinarsi a sua figlia. Così ordinò di costruire una camera di
bronzo sotto il palazzo. Rinchiusa in quella prigione luccicante e
inespugnabile, Danae ebbe a disposizione tutte le comodità e tutta la
compagnia femminile del mondo. Dopotutto, si disse Acrisio, egli non
aveva un cuore di pietra.
2
Sigillò la stanza per renderla impenetrabile a qualsiasi intruso, ma
non tenne conto della lussuria di Zeus, che tutto vedeva, tutto capiva
e, avendo messo gli occhi su Danae, calcolava come penetrare in
quella camera blindata per trarre piacere dalla fanciulla. Al re degli
dei piacevano le sfide. Nella sua lunga carriera amorosa, si era
trasformato in ogni sorta di esotiche entità per soddisfare il desiderio
di femmine e, di tanto in tanto, anche di maschi. Gli era chiaro che,
per conquistare Danae, doveva inventarsi qualcosa di meglio dei
soliti tori, orsi, cinghiali, stalloni, aquile, cervi e leoni. Stavolta
occorreva qualcosa di più stravagante…
Una notte una pioggia d’oro scese dalla stretta fessura del
lucernario, penetrò Danae e le si riversò in grembo.
3Sarà anche
stato un coito eterodosso, ma Danae rimase incinta e a tempo
debito, con l’aiuto delle fedeli ancelle, diede alla luce un maschietto
sano, un mortale che chiamò PERSEO.
Il
bambino, sebbene mortale, era sano e aveva sani, anzi
sanissimi, polmoni. Così, per quanto facessero Danae e le sue
ancelle per nasconderlo, non riuscirono a soffocarne i vagiti e gli
strilli, che superarono le pareti di bronzo della prigione per giungere
all’orecchio del padre, due piani più su.
La furia di Acrisio alla vista del nipote fu terribile.
«Chi ha osato penetrare nella tua camera? Dimmi come si chiama
e lo farò castrare, torturare e strangolare con i suoi stessi visceri».
«Credo sia stato il re del cielo in persona a venire da me, padre».
«Mi stai dicendo – qualcuno vuol far star zitto quel marmocchio,
per favore? – che è stato Zeus?»
«Sì, padre, non posso mentire. È stato lui».
«Storiella molto probabile! È stato il fratello di una delle tue
dannate ancelle, vero?»
«No, padre. Come t’ho detto, è stato Zeus».
«Se quel bambino non la smette di strillare lo soffoco con questo
cuscino».
«Ha solo fame» protestò Danae, attaccandosi Perseo al seno.
Acrisio si lambiccò furiosamente il cervello. Pur avendo minacciato
di soffocare il pargolo, sapeva che non c’era delitto peggiore
dell’uccisione di un parente. Se avesse assassinato una persona del
suo stesso sangue, le Erinni sarebbero emerse dagli inferi per
inseguirlo fino all’altro capo del mondo, flagellandolo con le fruste di
ferro fino a staccargli la pelle dal corpo, e non avrebbero smesso
finché non fosse impazzito. Tuttavia la profezia dell’oracolo era
chiara: Acrisio non poteva permettere che suo nipote vivesse. Forse
se…
La notte dopo, quando non ci furono più in giro argivi pettegoli,
fece rinchiudere Danae e il piccolo Perseo in una cassa di legno, e
ordinò ai suoi soldati di inchiodarne il coperchio e scagliarla dalle
rupi in mare.
«Ecco fatto» disse, facendo il gesto di lavarsi le mani come per
scaricarsi da ogni responsabilità . «Se moriranno, come sicuramente
avverrà , nessuno potrà dire che sono stato la causa diretta della loro
morte. Sarà stata colpa del mare, degli scogli e degli squali. Io non
avrò avuto parte nella loro dipartita».
Con quelle ipocrite parole di conforto, re Acrisio guardò la cassa di
legno scomparire.
La cassa di legno
Sballottata tra le onde, la cassa di legno procedette beccheggiando
di isola in isola e di costa in costa, senza fracassarsi sugli scogli né
arenarsi su una spiaggia di soffice sabbia dove sarebbe stata al
sicuro.
Nel buio della cassa, Danae allattò il bambino e aspettò la fine. Il
secondo giorno di quel viaggio tutto rollii e beccheggi, sentì un forte
strattone e poi un gran colpo. Dopo qualche istante di silenzio, vide
che il coperchio si muoveva, cigolando. All’improvviso la luce del
sole penetrò all’interno, accompagnata da un pungente odore di
pesce e dal grido dei gabbiani.
«Guarda, guarda» disse una voce amichevole. «Che bella retata!»
Erano stati presi nella rete di un pescatore. L’uomo che aveva
parlato le tese la mano robusta per aiutarla a uscire dalla cassa.
«Non avere paura» disse, anche se in realtà era lui ad averne.
Che cosa poteva preannunciare un evento del genere? «Mi chiamo
Ditti
4 e questi sono i miei compagni. Non ti faremo alcun male».
Gli altri pescatori le si affollarono intorno, sorridendo timidamente,
ma Ditti li allontanò. «Lasciatela respirare, non vedete che è
esausta? Su, portate pane e vino».
Due giorni dopo approdarono nell’isola di Ditti, Serifo. Il pescatore
condusse Danae e Perseo nella sua casupola dietro le dune.
aspetti
«Mia moglie è morta partorendo un maschietto, quindi forse
Poseidone ha mandato te a prenderne il posto» disse. «Oh, non che
mi
niente, s’intende…» si affrettò ad aggiungere,
imbarazzato. «Voglio dire, non è che pretenda niente da te come…»
Danae rise. Un clima di bontà e semplicità senza pretese era
proprio quello di cui aveva bisogno per allevare il bambino. Aveva
sentito molto la mancanza, nella vita, di rapporti schietti e cordiali.
«Sei molto gentile» disse. «Accettiamo la tua offerta, vero, Perseo?»
«Sì, madre, come desideri».
No, non è il Miracolo dell’Infante Parlante. È che ormai, a Serifo,
sono passati diciassette anni. Perseo è cresciuto, diventando un bel
ragazzo forte. Grazie al padre adottivo Ditti, è un pescatore abile e
sicuro di sé. In piedi sulla barca in mezzo al mare agitato, è in grado
di infilzare un pesce spada che guizza di qua e di là , e sa prendere
una trota con le mani in mezzo alle acque impetuose di un fiume.
Corre più veloce, tira le lance più lontano e salta più in alto di tutti gli
altri giovani di Serifo. È bravo nella lotta e sa cavalcare asini
selvatici, mungere vacche e domare tori. È impulsivo, forse a volte
un po’ vanaglorioso, ma mamma Danae ha ragione di essere fiera di
lui e di ritenerlo il ragazzo più abile e coraggioso dell’isola.
La modestia della casa di Ditti parve ancora più straordinaria a
Danae quando le capitò di apprendere che l’umile pescatore era il
fratello del re di Serifo, POLIDETTE. Il sovrano dell’isola era tutto il
contrario di Ditti: orgoglioso, crudele, disonesto, avido, lascivo,
scialacquatore ed esigente. In un primo tempo quell’anima nera di
Polidette non aveva badato all’ospite del fratello, ma negli ultimi anni
si era sentito sempre più attratto dalla bella madre di Perseo, quel
ragazzino impertinente.
Perseo istintivamente ostacolava i rapporti tra sua madre e il re, il
quale ne era molto irritato. Polidette aveva l’abitudine di recarsi da
Danae quando suo fratello era via, ma ogni volta che lo faceva, ecco
che arrivava quella peste di Perseo.
«Mamma, mamma, hai mica visto i miei sandali da corsa?»
«Mamma, mamma, vieni alla pozza tra le rocce e controlla quanto
tempo riesco a stare sott’acqua senza respirare».
Era davvero esasperante.
Alla fine Polidette studiò il modo di spedirlo lontano. Avrebbe
sfruttato, pensò, la vanità , l’orgoglio e la spavalderia del ragazzo.
A tutti i giovani uomini dell’isola fu inviato un messaggio con cui li
si invitava a palazzo, al banchetto per festeggiare la decisione di
Polidette di chiedere la mano di IPPODAMIA, figlia di Enomao, re di
Pisa.
5 Fu una mossa audace e sorprendente. Come aveva
profetizzato che re Acrisio di Argo sarebbe stato ucciso da suo
nipote, così l’oracolo aveva predetto a ENOMAO che sarebbe stato
ucciso da suo genero. Per impedire che la figlia si sposasse, il re
aveva preteso che ogni aspirante marito partecipasse a una corsa di
carri con lui, e in caso di sconfitta fosse giustiziato. Essendo
Enomao un eccellente auriga, fino ad allora oltre una dozzina di
pretendenti erano morti, e le loro teste adornavano le aste di legno
dello steccato della pista. Ippodamia era molto bella, Pisa era molto
ricca e i corteggiatori continuavano ad arrivare.
Danae fu felice di sentire che Polidette aveva accettato la sfida. Da
tempo si sentiva a disagio in sua presenza e la sorprendente notizia
che era innamorato di un’altra le fu di grande sollievo. Quanto era
stato cortese a invitare suo figlio a un banchetto e dimostrargli che
non nutriva per lui alcun sentimento ostile!
«È un onore essere stati invitati» disse Danae a Perseo. «Non
dimenticare di ringraziarlo educatamente. Non bere troppo e cerca di
non parlare con la bocca piena».
Polidette fece accomodare il giovane Perseo nel posto d’onore alla
sua destra e gli riempì più volte il calice di vino forte. Giocò con lui
come Perseo avrebbe potuto giocare con un pesce.
«Sì, la corsa dei carri sarà sicuramente una sfida» disse, «ma
ognuna delle migliori famiglie di Serifo mi ha promesso un cavallo
per la mia squadra. Posso sperare che tu e tua madre facciate
altrettanto?»
Perseo arrossì. La povertà era sempre stata, per lui, motivo di
mortificazione. I giovani uomini con cui gareggiava, lottava, cacciava
e rincorreva le donne avevano tutti servi e scuderie. Lui viveva
ancora nella casupola di pietra di un pescatore dietro le dune. Il suo
amico Pirro aveva uno schiavo che gli faceva vento a letto quando la
notte era afosa. Perseo dormiva sulla sabbia ed era più facile fosse
svegliato dal pizzicotto di un granchio che da una serva che gli
portava una tazza di latte fresco.
«In realtà non ho una simile cavalcatura» disse.
«Una simile cavalcatura? Che cosa intendi con ‘una simile
cavalcatura’?»
«Intendo dire che non possiedo altro che gli abiti che indosso. Oh,
sì, ho una collezione di conchiglie che mi hanno detto che un giorno
potrebbe avere molto valore».
«Ah, santo cielo, capisco. Ma certo, sì, capisco» disse Polidette, e
il suo sorriso di compatimento ferì Perseo ancor più di un ghigno di
disprezzo. «Era troppo aspettarsi che tu mi aiutassi».
«Ma io voglio aiutarti!» proclamò Perseo, a voce un po’ troppo alta.
«Farò tutto quello che posso per te. Di’ pure».
«Davvero? Be’, in effetti ci sarebbe una cosa, ma…»
«Cosa?»
«No, no, sarebbe chiedere troppo».
«Dimmi di che si tratta…»
«Ho sempre sperato che qualcuno un giorno mi avrebbe portato…
Ma non posso chiedertelo, sei solo un ragazzo».
Perseo batté il pugno sul tavolo. «Portato cosa? Di’ che cosa, su.
Sono forte, coraggioso e pieno di risorse, io. Sono…»
«… un po’ ubriaco».
«So quello che dico!» Perseo si alzò, barcollando, e proclamò a
voce così alta che tutti, nella sala, udirono: «Dimmi che cosa vuoi
che ti sia portato, re Polidette, e te lo porterò. Dimmelo».
«Be’» rispose Polidette scrollando le spalle con l’aria mesta dello
sconfitto che è stato messo con le spalle al muro, «poiché il nostro
giovane eroe insiste, c’è una cosa che avrei sempre desiderato.
Saresti capace di portarmi la testa di MEDUSA?»
«Non c’è problema» dichiarò Perseo. «La testa di Medusa?
Considerala già tua».
«Davvero? Dici sul serio?»
«Lo giuro sulla barba di Zeus».
Poco dopo, Perseo attraversò con passo malfermo la distesa di
sabbia che lo separava da casa sua e trovò Danae ad aspettarlo.
«Hai fatto tardi, tesoro» lo accolse lei.
«Che cos’è una ‘Medusa’, madre?»
«Hai bevuto, Perseo?»
«Può darsi, ma solo uno o due calici».
«Una o due giare, vorrai dire».
«No. Parlo sul serio, madre, che cos’è una Medusa?»
«Perché lo vuoi sapere?»
«Ho sentito questo nome e me lo sono chiesto, tutto qui».
«Se la smetti di camminare su e giù come un leone in gabbia, te lo
spiego» rispose Danae. «Medusa, dicono, era una bella fanciulla
6
che fu rapita e violata dal dio del mare Poseidone».
«Violata?»
«Purtroppo per lei, ciò avvenne sul pavimento di un tempio sacro
alla dea Atena, che si infuriò per quel sacrilegio e punì Medusa».
«Non punì Poseidone?»
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo