Quando t’innamorerai – Tania Paxia

SINTESI DEL LIBRO:
«Stendi, piega, stendi, piega e tira su! E di nuovo. Stendi, piega,
stendi, piega e tira su!», Roxi afferrò la pasta di zucchero dalla
sfogliatrice verticale da banco, fece attenzione a maneggiarla perché
era molto fine e ricominciò l’operazione da capo. Roxi era la mia
collega pasticciera. Con gli impasti, le creme, le farciture delle torte e
con i biscotti era il top. Tutto ciò che era design spettava a me, dato
che era pane per i miei denti. Ci consideravamo una squadra e dove
non ero capace io era brava lei e viceversa. D’altronde ognuno là
dentro aveva una qualifica diversa, tuttavia al momento eravamo
sommersi di lavoro ed era necessario aiutarci a vicenda.
Il Duke of cakes, meglio conosciuto come Duke e basta, era la
miglior pasticceria di Manhattan e dintorni. Nonostante la quantità
industriale i dolci non sembravano bastare mai. Questo per quanto
riguardava i prodotti da colazione, d’asporto e da confezionamento;
per le torte personalizzate la pasticceria lavorava senza sosta,
anche fuori orario. Come quella sera: erano quasi le nove e
dovevamo finire di ricoprire l’ultimo disco di pan di Spagna ripieno di
panna e gocce di cioccolato con la pasta di zucchero verde acqua
che Roxi era impegnata a stendere. La torta prevedeva tre piani e
sarebbe diventata un acquario tridimensionale, come richiesto dalla
cliente che l’aveva commissionata al Boss per il compleanno della
figlia di sei anni.
«Marnie, siamo proprio delle sfigate. Quello se ne sta di là a
contare i soldi in cassa e a noi tocca sempre fare il lavoro sporco», si
guardò le mani e fu tentata di dare una leccatina ai pezzetti di
zucchero che erano rimasti appiccicati. Per Roxi lavorare al Duke
era una tentazione continua, a me invece essere circondata da
quattro mura di dolci non faceva più alcun effetto. Anzi, più vedevo
dolci e più avevo voglia di salato. «Sporco di zucchero, ma pur
sempre sporco. Come se non bastasse, facciamo delle torte
magnifiche e lui si prende il merito. Non è giusto».
Erano tante le cose ingiuste nella vita.
«Dai non ti lamentare, potrebbe andare peggio», le risposi dando
un’ultima sistemata alla crema al burro con la quale avevo finito di
ricoprire il pan di Spagna.
«Mmh, sì, tipo?», mi lanciò uno sguardo scettico con i suoi occhi
di un bel verde splendente.
«La macchina sfogliatrice anziché elettrica poteva essere a
manovella», le mimai il gesto di girare la manopola e lei storse il
naso appuntito.
«Per carità, non mi ci far pensare. Ti ricordi quando per il corso
avanzato di tecniche di decorazione ti esercitavi con la vecchia
macchina per la pasta di mia madre?», agitò la testa come a dire
“Che matte!”.
«Mi toccava unire i pezzi con una ripassata di matterello», le
ricordai.
Sbarrò gli occhi cerulei. «Oh, io sono stanca, non ce la faccio
più».
«Vai a dirglielo, almeno viene a darci una mano lui», le suggerii.
«No. Vacci tu. Metti che mi licenzia seduta stante? A te dà retta»,
arricciò le labbra carnose. «Sei la sua preferita».
«Ma non è vero», ruotai la torta disposta sull’alzata girevole per
controllare che fosse ben livellata. A quell’ora dovevo controllare due
volte quello che facevo per essere sicura di non commettere errori.
«Dici così perché non vedi come ti guarda. Se potesse ti
mangerebbe come lecca la crema dai bomboloni», fece una smorfia
disgustata. «Che brutta immagine».
Scoppiai a ridere. «Roxi, a quest’ora hai le traveggole».
«Sì, lo ammetto. Quello è uno stacanovista e uno sfruttatore. Però
per la bontà della sua torta a ventaglio in triplo cioccolato gli si
perdona tutto. E anche per quei suoi occhi azzurri».
Simon Duke, aka Duke o più semplicemente il Boss, era un vero
e proprio dittatore. Se ne approfittava perché era conosciuto in città
e ormai non gliene importava un fico secco di preparare torte e
pasticcini; li faceva fare ai suoi poveri apprendisti. Io e Roxi
lavoravamo lì da quattro anni e non eravamo più delle apprendiste
da tanto tempo, nonostante ciò ci trattava come due garzone in un
panificio. Roxi ne era affascinata, seppure Simon avesse
quarant’anni, la pancetta e una ex moglie che tornava all’attacco di
tanto in tanto. A lei piaceva per la tempra d’acciaio e perché era
riuscito a ritagliarsi un posto nell’olimpo dei designer di torte più
famosi dello stato di New York. E per gli occhi azzurri, ovviamente.
Gli uomini potenti, si sa, hanno un fascino del tutto particolare e
anche se sono brutti e con la pancia fanno sempre gola, proprio
come i bignè.
«L’ultima sfoglia è pronta», la prese sul dorso delle mani come
fosse un lenzuolo. L’aspettai al bancone delle decorazioni con già le
mani ricoperte di zucchero a velo per evitare che la pasta si
appiccicasse. Afferrai la sfoglia dai lembi facendo scivolare le mani
al di sotto; prendemmo le misure e la centrammo per poi adagiarla
sulla torta con una delicatezza tale da farla aderire centimetro dopo
centimetro senza creare bolle d’aria.
Il risultato era perfetto e la superficie risultava compatta, liscia e
senza imperfezioni.
«E anche questa è fatta», Roxi si allontanò per andare a lavarsi le
mani nel lavabo in fondo alla stanza, vicino all’ultima macchina
impastatrice.
«Domani componiamo i piani e mettiamo le decorazioni. Alcune le
ho già preparate, tipo i pesciolini rossi», l’aggiornai. «Li ho colorati
con l’aerografo. A mano sarebbero venuti meglio, ma volevo ricreare
l’effetto sfumato».
«Tsè», il suo tono ammonitorio riecheggiò nella stanza. Tutto
quell’acciaio, oltre a infondere un aspetto asettico e chirurgico
all’ambiente, aveva l’inconveniente di fare l’effetto rimbombo. «Di’
che non vedevi l’ora di mettere tutto nelle celle e di tornare a casa
perché non ce la fai più», mi fece la linguaccia sfoggiando il suo
piercing.
«Confesso», mi ingobbii come sorreggessi il mondo intero sulle
spalle.
«Allora sbrighiamoci a mettere tutto a posto nel limbo». Si asciugò
le mani sulla giacca della divisa bianca e corse a darmi una mano; si
fermò alle mie spalle per aprire una delle celle frigorifere dove
tenevamo i dolci in attesa di essere completati. Dopodiché mi aiutò a
sollevare il terzo strato della torta perché era pesante e non riuscivo
a farlo da sola. Non so perché e nemmeno come, ma inciampai nelle
mie stesse scarpe e la mia collega si trovò a dover sostenere tutto
quel peso con le sue esili braccia. Si piegò in due flettendosi sulle
ginocchia e con tutti gli sforzi possibili riuscì a evitare che il disco di
pan di Spagna ripieno si spiattellasse sul pavimento a specchio. Le
andai subito in soccorso e l’aiutai a rialzarsi senza mollare un attimo
quel benedetto dolce.
Ci
scambiammo uno sguardo terrorizzato. «Salvato per
miracolo», dissi in un sospiro di sollievo.
«Salvato grazie alla tua carissima amica Roxi alla quale adesso
devi un favore grande grande», sfoggiò un gran sorriso brillante,
tranne che per un canino storto che però le donava un’aria ancora
più birichina. «Sei la solita imbranata».
Ora sapevo cosa voleva dire avere il cuore in gola. «Sto
dormendo in piedi».
«Chi dorme in piedi?». Diventai di marmo dopo aver sentito la
voce roca del Boss. Io e Roxi ci scambiammo un altro sguardo, più
impaurito di prima. «Siete ancora qui?»
«Eh sì. Stasera non ho fatto in tempo a finire la torta Acquario»,
confessai. «Sarà pronta per domani», lo rassicurai subito visto che la
vena in mezzo alle sopracciglia ribelli stava pulsando come ogni
volta che era in procinto di fare una sfuriata.
«Sarà meglio», ruggì. «Possibile che voi non riusciate a finire il
vostro lavoro in tempo per la chiusura?». Che tra parentesi era
anche il suo, di lavoro.
«Veramente ci hai dato il progetto alle sei. Fuori orario», gli
ricordai. «Non potevamo fare più in fretta di così», lo contraddissi
ancora. Lui non amava essere contraddetto tanto quanto a me
piaceva la precisione. La professionalità, questa sconosciuta!
«Marnie…», Roxi mi richiamò sottovoce. La vidi scandire testuali
parole con le labbra: «Non fare la matta».
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