Nelle acque del passato – Silvia Molinari

SINTESI DEL LIBRO:
Un lampo illuminò la stanza, catturando l'attenzione del vecchio
libraio. Dopo pochi secondi, lo scoppio di un tuono fece sussultare la
ragazza alla finestra. La pendola a muro proseguì a ticchettare
indisturbata e Maya riprese a fissare, rigida e assorta, il cielo
plumbeo. Il vetro delle vecchie finestre deformava le sagome degli
sporadici passanti di Cecil Court, un effetto accentuato dalle
centinaia di gocce che scivolavano oblique, con insistenza, come
pennellate energiche in un quadro impressionista.
Sarebbe potuto apparire un normale negozio del diciannovesimo
secolo: nulla - dai vetri piombati, l'antico orologio a parete, la
scrivania di mogano e la lampada in ottone - lasciavano intendere
che Londra avesse da pochi anni superato la soglia del ventunesimo
secolo.
Cosa spingesse Maya ad andarci ogni giorno, era un mistero per
lei. Le sue coetanee non vedevano l'ora che terminassero le lunghe
lezioni al dipartimento di Economia per stringersi su scomode
panche di legno in pub che odoravano di birra e sudore. Loro
amavano la folla, il vociare, e la sensazione di completa disinibizione
data dall'alcool. Lei amava il silenzio quasi irreale di quel negozio,
quel suo odore di polvere, d’antico, d’inviolato ed eterno.
Ma doveva finirla. Non poteva rinchiudersi sempre là dentro, no?
Glielo ripeteva persino sua nonna. Allo sfinimento.
«Maya, lascia che quel vecchio bacucco (mai che lo chiamasse
con il proprio nome) si arrangi un po'. E tu pensa a divertirti... sei
giovane!»
Come se la giovinezza presupponesse un diritto alla felicità .
Quel vecchio bacucco era nientemeno che un emerito ex
professore di storia antica. Si voltò per sbirciare Johannes Artemides
chino da almeno due ore su un antico volume, con una spessa lente
da orafo in mano.
Era un uomo piuttosto alto, anche se un po’ incurvato. Sotto il
cono di luce dell'abat-jour si notavano chiaramente le mani solcate
dalle vene sporgenti, quasi a disegnare un’intricata mappa fluviale.
Vestiva sempre in tweed dai colori caldi, in qualsiasi stagione
dell'anno, e a Maya piaceva pensare a lui come a un vecchio lord
inglese dei tempi passati. Per quanto ne sapeva poteva anche
esserlo: spesso si era detta che non conosceva affatto quell’uomo al
di fuori di quella libreria, né il suo passato benché fosse stato il
miglior amico di sua madre. Alla fioca luce della lampada, il suo volto
le appariva quasi ringiovanito e per un attimo le sembrò di poterlo
vedere com'era stato un tempo: un brillante e affermato professore
di Oxford.
Sbuffò un po' annoiata. Aveva sistemato tutti i libri che il
professore aveva acquistato di recente. Non ne rimaneva che uno.
Forse era il caso di pensare a un pretesto per tornarsene a casa,
malgrado attraversare Londra sotto un acquazzone primaverile non
fosse una prospettiva allettante.
«Stiamo battendo la fiacca, oggi, ragazza» bofonchiò il libraio.
«Hai dimenticato di sistemare questi, ricordi?» aggiunse, indicando
alcuni volumi impilati in un angolo della stanza. «Scaffale dedicato
all’Ottocento. In fondo sulla destra.»
Pochi minuti dopo si sentì uno scricchiolio e il libraio la immaginò
allungarsi verso il ripiano in alto.
Ci siamo quasi, pensò Artemides. Non poteva più tergiversare,
doveva parlarle prima che fosse troppo tardi.
Maya ricomparve poco dopo, intenta a scrollarsi di dosso la
polvere. Fece tre starnuti consecutivi e si soffiò il naso.
Si avvicinò al banco e attese, fissandolo. Artemides, combattuto,
si diresse verso l’angusto cucinino nel retro del negozio e mise in
infusione una bustina di tè. In sua assenza, Maya prese in mano il
libro antico che il professore aveva lasciato aperto sul banco e ne
lesse il titolo. Era in latino. Rigirò il libro tra le mani e fu attratta dal
bagliore delle lettere dorate, impresse sulla pelle lisa dal tempo.
Artemides ricomparve poco dopo con due tazze fumanti in mano e
gliene mise una davanti, con un cenno del capo, per invitarla a
servirsi.
Posato il libro sul tavolo, Maya versò due cucchiaini abbondanti di
zucchero nel tè e ne bevve un sorso, attendendo che lui parlasse.
Ecco. È arrivato il momento, pensò Artemides.
Alzando lo sguardo verso di lei, prese fiato e si fece coraggio.
«È stato un lungo viaggio, Maya, ma ne è valsa la pena. La
settimana scorsa sono stato chiamato da quel libraio normanno,
Sebastian Meunier, ricordi? Era venuto in possesso di certi libri
antichi, alcuni dei quali rimasti nascosti per secoli fra le rovine di
un’abbazia cattolica che è andata distrutta prima dell’anno Mille. Si è
offerto di vendermeli perciò sono dovuto andare in Francia per
constatarne di persona l'autenticità .» S'interruppe e nel posare la
tazza di tè il viso assunse un’aria risoluta, come se avesse preso
una decisione, mostrando quella calma che a volte si prova dopo ore
di tormento interiore.
Dopotutto, Maya aveva il diritto di sapere. Certo, non ogni cosa.
Solo quello che poteva dirle senza nuocerle. Solo quello che serviva.
«Maya, ho bisogno del tuo aiuto» disse infine.
La ragazza lo guardò stupita.
«Grazie al viaggio in Normandia, sono venuto a conoscenza
dell'esistenza di un altro libro, molto raro e antico, e ho bisogno di
qualcuno di fidato che vada a prenderlo al posto mio.»
Maya era confusa. Per quale motivo non poteva andare lui
stesso? Stava per domandarlo ma provò soggezione, come spesso
le accadeva con quel vecchio amico della madre.
Pentendosi nel momento stesso in cui lo pronunciava, disse:
«Vuole che vada io?»
Artemides fece cenno di sì col capo.
Ecco fatto! Come sempre la sua dote naturale a complicarsi la
vita le aveva dato scacco. Come avrebbe potuto rifiutarsi ora?
«Dove?» chiese infine Maya, rassegnata.
«Nella Francia del Nord, al confine tra la Bassa Normandia e la
Bretagna, c'è un’antica abbazia di monaci colombaniani. No, non
Mont-St-Michel, parlo di un’abbazia molto più antica, ma poco
conosciuta. Non compare nelle guide turistiche perché fu distrutta da
un incendio a metà del IX secolo. I monaci l'hanno abbandonata e
sono rimaste solo poche rovine. E tra queste, per qualche strano
destino, l’antico scriptorium quasi del tutto intatto.»
«Lo scriptorium? Una rarità !» esclamò Maya d’impulso.
Artemides abbassò lo sguardo sull’oggetto posto tra loro. Il titolo
a caratteri dorati luccicò di un bagliore intenso.
«Meunier è entrato in possesso di tre libri, e questo è l'unico dei
tre che alla fine ha acconsentito a vendermi. Non ho dubbi che sia
originale» sentenziò.
«Ne è certo? Voglio dire, come fa ad esserne sicuro?» chiese
Maya, perplessa.
«Guarda con i tuoi occhi» e sollevando il volume verso di lei le
mostrò la prima pagina. La carta pergamena presentava
chiaramente i segni di ossidazione e idrolisi causati dai tre nemici
giurati dei testi antichi: la luce, l’acqua e l’umidità .
Maya si avvicinò fino a trovarsi a pochi centimetri dal manoscritto.
Percepì un odore di muffa e zolfo. Fece una smorfia nell’attimo
stesso in cui l’umidità raggiunse le sue narici. Era lo stesso odore
che aveva sentito poco più di un anno prima in un cimitero di Londra,
dopo un giorno di pioggia incessante. Quello, intenso e penetrante,
della terra bagnata.
Prese in mano il libro e analizzò attentamente la pagina. Il tratto
era ancora chiaro: le parole scorrevano sotto gli occhi come musica
su un pentagramma. Sul fianco sinistro, vicino alla rilegatura ancora
ben conservata, il monaco amanuense aveva apposto una nota a
caratteri molto piccoli.
«Abbazia di Bourgeois, A.D. 851» pronunciò Maya, quasi in un
sussurro. Alzò il volto e fissò quello del vecchio professore. «Ha mai
sentito parlare prima di questa abbazia?»
Lui le prese il volume dalle mani e sostenne il suo sguardo per
alcuni secondi che a Maya parvero interminabili. «Sì, Maya, tanti
anni fa. È stata tua madre, Cassandra, a parlarmene per la prima
volta.»
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