L’oro di Gelli – Strage di Bologna – Roberto Scardova

SINTESI DEL LIBRO:
Paolo Bellini, Quintino Spella, Piergiorgio Segatel, Domenico
Catracchia: sono costoro i nuovi possibili imputati contro cui la Procura
generale di Bologna ha chiesto di procedere per reati connessi alla
esecuzione della strage di Bologna, al favoreggiamento dei colpevoli e al
depistaggio della inchiesta. A dicembre è stata comunicata loro la chiusura
delle indagini: si attende ora la decisione formale circa la data del
processo.
Paolo Bellini è accusato di avere commesso materialmente l’eccidio,
insieme a Gilberto Cavallini, Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca
Mambro e Luigi Ciavardini già condannati. Per la Procura, Bellini sarebbe
tra coloro che organizzarono l’eccidio, concertando e predisponendone
l’esecuzione e trasportando e collocando l’ordigno nella sala d’aspetto
della stazione in complicità con altre persone da identificare. Obiettivo
dell’azione premeditata quello di attentare alla sicurezza interna dello
Stato, con il voluto fine di uccidere a fini di terrorismo un numero
elevatissimo di vittime, e cagionando in effetti la morte di ottantacinque
persone e il ferimento di altre centocinquanta.
Per la Procura generale Paolo Bellini avrebbe agito in concorso con
Licio Gelli e Umberto Ortolani in qualità di mandanti e finanziatori; con
Federico Umberto D’Amato, direttore dell’Ufficio affari riservati del
ministero dell’Interno, quale mandante e organizzatore; con il giornalista
Mario Tedeschi quale organizzatore per avere coadiuvato D’Amato nella
gestione mediatica della strage prima e dopo l’evento, nonché nel
depistaggio delle indagini. Gelli, Ortolani, D’Amato e Tedeschi sono nel
frattempo deceduti. La Procura generale ritiene che il flusso di denaro
dalla P2 agli ambienti eversivi sia transitato da Federico Umberto
D’Amato, con atti commessi già nel febbraio 1979.
Il generale Quintino Spella, dirigente del servizio segreto Sisde a
Padova nell’anno 1980, è accusato di avere mentito ai magistrati inquirenti
negando di avere incontrato nel luglio e nell’agosto di quell’anno il
giudice di sorveglianza Giovanni Tamburino, che lo informò di quanto
appreso dal detenuto Presilio Vettore. Quest’ultimo aveva segnalato che i
neofascisti avevano in preparazione un attentato di notevole gravità , la cui
notizia avrebbe riempito le pagine dei giornali di tutto il mondo; e che lo
stesso gruppo terroristico aveva in progetto un attentato al giudice
Giancarlo Stiz. Il Sisde non si attivò per scongiurare i delitti annunciati.
Il colonnello Piergiorgio Segatel, del Nucleo investigativo dei
carabinieri di Genova, è accusato di avere dichiarato il falso ai magistrati
inquirenti per aver sostenuto di non avere incontrato, poco prima della
strage del 2 agosto, la testimone Mirella Robbio, moglie dell’esponente di
Ordine Nuovo Mauro Meli, e di non averle chiesto di assumere
informazioni nell’ambiente suo e del marito circa «qualcosa di veramente
grosso» che la destra eversiva stava preparando. Ai magistrati Segatel ha
invece raccontato di avere incontrato la Robbio soltanto dopo la strage,
per avere da lei informazioni sul delitto del giudice Mario Amato,
avvenuto il 23 giugno precedente.
Domenico Catracchia, amministratore della società immobiliare
Caseroma srl riconducibile al servizio segreto Sisde, è accusato di aver
mentito negando di avere concesso a Paolo Moscucci un appartamento
situato a Roma in via Gradoli 96, utilizzato dai terroristi Nar dal
settembre al novembre 1981; e di essersi mostrato reticente rifiutando di
spiegare ai magistrati inquirenti per quale ragione l’allora capo della
Polizia e vicedirettore del Sisde, Vincenzo Parisi, utilizzasse i suoi servizi
in campo immobiliare.
Otto condanne
Per la strage del 2 agosto 1980 sono stati condannati in via definitiva
all’ergastolo i terroristi Francesca Mambro, Giuseppe Valerio Fioravanti,
Luigi Ciavardini e (in primo grado) Gilberto Cavallini.
Per il reato di calunnia a fini di depistaggio sono stati condannati in via
definitiva Licio Gelli, Francesco Pazienza, il generale Pietro Musumeci e il
colonnello Giuseppe Belmonte.
I segreti di Cavallini
Era una vecchia Opel bianca, modello Rekord 2000, motore diesel.
Parcheggiata con le portiere non chiuse a chiave nel cortile della officina
Luki Simone, situata in via Ofanto a Milano Lambrate. Era lì da quasi
quattro mesi, esattamente dal 2 agosto 1980. Parcheggiata al termine di un
tragico viaggio. Iniziato la mattina presto, da Villorba di Treviso, quando a
bordo di quella vettura i terroristi dei Nar, Giusva Fioravanti, Francesca
Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini, erano partiti da Treviso
per la missione da compiere a Bologna. Una missione costata la vita di
ottantacinque persone.
I carabinieri scoprirono l’automobile il 26 novembre. Erano accorsi
all’interno dell’officina dopo la sparatoria con cui i Nar avevano
assassinato il brigadiere Ezio Lucarelli. Il poveretto era stato colto di
sorpresa: lui e il suo compagno di pattuglia, il maresciallo Giuseppe
Palermo, stavano eseguendo controlli a seguito dell’evasione da San
Vittore di alcuni elementi della banda Vallanzasca. Si trovarono di fronte
invece i due Nar, Cavallini e l’altro terrorista nero Stefano Soderini, che
appena videro gli agenti aprirono il fuoco. Secondo alcune ricostruzioni, i
due terroristi avevano intenzione di impadronirsi dell’autovettura militare
dei due carabinieri, utile ad allestire un falso posto di blocco. Da tempo
progettavano un attentato ai danni del giudice trevigiano Giancarlo Stiz,
che indagava sull’eversione nera e aveva istruito il processo contro Franco
Freda per Piazza Fontana. Cavallini si era già procurato le divise da
carabiniere, una da ufficiale e l’altra da graduato, che avrebbero
consentito di ingannare il magistrato e la sua scorta.
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