Lettere a un astrofisico – Neil deGrasse Tyson

SINTESI DEL LIBRO:
Domenica 25 febbraio 2007
Caro signor Tyson,
da tempo sospe o che viviamo in un universo che vuole ucciderci, per
cui non sono sorpresa che lei lo dica nelle sue conferenze, ma allora che
speranza rimane? O forse non ce n’è alcuna?
Ho passato 13 giorni in coma nel 2001 e sono miracolosamente tornata
alla vita per rimanere accanto al mio caro marito. Mi cantava una canzone
d’amore e mi esortava a tornare, e io aprii gli occhi e gli sorrisi. Però la
quantità di informazione con cui sono tornata da quel soggiorno mi ha
cambiato per sempre, e gran parte di essa non era buona. Forse la
componente «non buona» rappresenta la maggior parte di ciò che vede lÃ
fuori? In tal caso, lei come fa a godersi la vita? O non è così?
I miei più cordiali saluti,
Cara signora Van Houten,
Sheila Van Houten
vedo due tipi di speranza. Una è di cara ere religioso, e si basa
sulla preghiera o la pratica di un qualche rituale culturale perché le
cose vadano meglio.
Ma c’è un’altra base per la speranza: si tra a della sfida di
acquisire conoscenza sul mondo reale e di usare la nostra
intelligenza per cambiare in meglio le cose. In questo caso è
l’individuo a essere nelle condizioni di portare speranza al mondo.
Quindi, sì, l’universo vuole ucciderci. Ma d’altra parte, noi tu i
vogliamo vivere. Perciò diamoci da fare per trovare insieme un
modo per deviare gli asteroidi, trovare la cura per il prossimo virus
letale, trovare sistemi per ridurre i danni degli uragani, degli
tsunami, delle eruzioni vulcaniche e così via. Soltanto gli sforzi di
una comunità informata e consapevole dal punto di vista scientifico
e tecnologico sono in grado di rendere possibile tu o questo.
In ciò risiede una speranza terrena assai più grande di quanto mai
promesso dall’a o della preghiera o dell’introspezione.
Cordialmente,
Domenica 5 luglio 2009
Caro signor Tyson,
Neil deGrasse Tyson
Paura
l’ho appena vista alla televisione pubblica. Ho molta ammirazione per la
strada che ha fa o nella vita. Io ho sempre cercato di fare quanto potevo per
aiutare gli altri. Ho 38 anni, sono madre di tre figli, e studio a tempo pieno.
Sono nata e cresciuta in una ci adina di circa 1500 abitanti. Quando il mio
matrimonio è andato in crisi dopo 16 anni, ho deciso di portare a termine il
diploma di Associate of Applied Sciencea e di iscrivermi alla School of Social
Work dell’università dello Stato di Washington.
Mi trasferirò a Snohomish, vicino a Sea le, il 1° agosto e non ho un
lavoro, ma ogni giorno faccio domanda per tu o quello che mi capita. Ha
colto nel segno quando ha parlato dell’ambizione. Ho tre ragazzi da sfamare
e non chiedo altro che lavorare e andare a scuola. La mia passione sono i
servizi sociali, ho fa o assistenza di sollievo alle famiglie e mi sono occupata
di anziani, ma sono anche disposta a lavorare in un fast food pur di arrivare
dove devo.
Vivo nella costante preoccupazione di non essere in grado di provvedere
ai miei figli e sono spaventata a morte dalla prospe iva di trasferirmi, ma
non mi lascerò fermare da questo. Non importa se dovrò reiscrivermi
all’università ogni anno fino a quando ne avrò se anta… frequenterò e
troverò il modo di arrivare alla laurea magistrale. Solo, non so come
liberarmi da questa bru a sensazione alla bocca dello stomaco che dice che
mi trasferirò e fallirò miseramente.
Iniziativa e determinazione non mi mancano. Ho soltanto bisogno di
un’occasione… non un regalo, semplicemente un lavoro. Non voglio nulla
gratis. Voglio solamente un posto, una possibilità di farmi strada.
Non so perché le sto scrivendo. Non chiedo nulla, soltanto qualcuno che
dia ascolto alle mie paure. Non ho nessuno con cui parlarne, e forse lei
potrebbe capirmi.
Grazie per il tempo che mi dedicherà leggendo queste righe.
Cara Lisa,
Lisa Kalma
le persone che falliscono nella vita sono quelle le cui ambizioni
erano insufficienti ad avere ragione di tu e le forze che operano
contro di esse. E sì, il fallimento è comune a tu i noi. Ma le persone
ambiziose si servono dei propri fallimenti come di lezioni di cui far
tesoro mentre procedono con determinazione verso i loro obie ivi.
Non temere il cambiamento. Non avere paura dell’insuccesso.
L’unica cosa di cui avere paura è la perdita dell’ambizione. Ma se ne
hai molta, non hai proprio nulla da temere.
Buona fortuna per il tuo viaggio, per il quale ti propongo
l’epigrafe iniziale della mia autobiografia, The Sky Is Not the Limit.1
Oltre i giudizi degli altri
Levandosi alto nel cielo
Sta il potere dell’ambizione.
Ti auguro tu o il bene della Terra e dell’universo.
Neil
Perdere la fede religiosa
Mercoledì 29 aprile 2009
Caro do or Tyson,
sono cresciuto in una fa oria dove si allevava bestiame, nella parte rurale
e montagnosa del North Carolina, e a volte pensavo di essere malede o o
disabile perché la fede in un potere superiore proprio non «sca ava» dentro
di me. Andavo in chiesa, al catechismo domenicale ed ero circondato da ogni
parte dalla religione… eppure qualcosa dentro di me continuava a fare
domande.
Ricordo che dovevo mentire sulle mie convinzioni e che volevo
rinunciarvi (a volte in lacrime) pensando che, se avessi mentito abbastanza
in proposito, alla fine sarei riuscito a credere. Fui cacciato dal catechismo
perché «facevo troppe domande».
Ma poi cominciai a scoprire altri come me (anche se molto più
intelligenti e istruiti). Volevo solo ringraziarla: le sue parole possono avere
un effe o che va molto più in profondità di quanto si possa immaginare. Lei
e altri date a coloro che vivono nell’isolamento geografico la speranza di
poter rimanere saldi nella loro incredulità e continuare a porre domande. So
che lei è uno scienziato e un insegnante… ma per alcuni lei è una speranza.
George Henry Whitesides
Caro signor Whitesides,
la ringrazio per aver condiviso la sua storia personale.
Non è mai stato (e non è) mio intento cambiare in un senso o
nell’altro il sistema di convinzioni di chicchessia. Il mio scopo è
semplicemente quello di me ere le persone in grado di pensare in
modo autonomo, invece di lasciare che altri pensino per loro. Così
f
ioriscono l’«anima» dello sce icismo e lo «spirito» della libera
ricerca.
Sono felice di aver alimentato questa crescita dentro di lei.
Come diciamo nel cosmo… continua a guardare in alto.
Neil deGrasse Tyson
Sull’essere nero
Marc vedeva nella qualità dei miei contributi un buon segno del fa o che i
tempi stanno cambiando, ma era certo che io avessi sofferto, e continuassi a
soffrire, per preconce i e pregiudizi razziali. Agognava al giorno in cui il
colore della pelle sarebbe diventato un connotato estraneo all’identità di una
persona. Il giorno di Natale del 2008 mi chiese della mia esperienza di vita
come scienziato afroamericano.
Caro Marc,
grazie del tuo messaggio.
Sono lieto di comunicarti che i riferimenti a me come scienziato
«nero» sono, oggi, estremamente rari: tanto da sorprendermi che tu
ne faccia anche solo menzione. Naturalmente, se la tua esperienza
dire a te lo fa pensare, non posso certo escludere che ve ne sia
motivo, però altre valutazioni danno una forte indicazione in favore
della mia tesi.
Ma torniamo indietro di qualche anno, per esempio nel 2001.
Quando fui nominato tra i dodici membri di una commissione
incaricata dalla Casa Bianca di studiare il futuro dell’industria
aerospaziale statunitense, alcuni (specialmente tra i critici di George
W. Bush) dissero immediatamente: «Avevano bisogno di un nero».
Ma se si osservava effe ivamente la composizione della
commissione, io ero l’unico accademico e non ero l’unico nero: ce
n’era un altro, un generale a qua ro stelle dell’aeronautica. Quindi la
critica non reggeva all’analisi.
In un altro caso, nel 1996, partecipavo a una serata di gala per il
mio museo2 (a quell’epoca ero pressoché sconosciuto al pubblico);
una signora di idee progressiste seduta al mio tavolo si rese conto
che lavoravo per il museo; ma tra i presenti c’erano soltanto i
dirigenti di alto livello del museo stesso, e quindi suppose
immediatamente che io fossi a capo delle relazioni con il pubblico o
avessi qualche altro incarico del genere, solitamente riservato a neri
come figure di rappresentanza. Le risposi che ero un astrofisico,
dire ore dell’Hayden Planetarium e collaboratore scientifico del
proge o del Rose Center for Earth and Space, in via di costruzione;
dopo di che la signora non disse più una parola per il resto della
cena.
Questo genere di episodi erano comuni all’epoca, ma decisamente
non si verificano più, salvo, forse, tra persone anziane la cui
esperienza di vita è maturata in un’America in bianco e nero, invece
che semplicemente in America. In anni recenti, diversi miei
prestigiosi profili biografici non fanno menzione del colore della mia
pelle.
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