La Dura Favola – Paolo Romano

SINTESI DEL LIBRO:
Pensate al mondo, il nostro mondo, ma non a come lo conosciamo
ora, perché potrebbe non essere d’aiuto per questa storia.
Il nostro mondo non è sempre stato come noi lo conosciamo, come
noi lo vediamo ora, in tutti gli atlanti o nei libri di geografia. A farla da
padrona in quell’unica ed enorme chiazza di terra contornata da
un’immensa distesa d’acqua, erano gli elementi. Tre, nella
fattispecie, che si contrastavano a vicenda, si annullavano tutti e,
allo stesso tempo, l’uno poteva vivere con gli altri.
La vita su questo mondo, questo nostro mondo antico, si manteneva
grazie all’equilibrio generato dalla sostituzione di energia. Uno
scambio, un eliminare e creare continuo tra questi tre elementi.
La porzione di terra su cui si poteva immaginare ci fosse vita era
divisa in tre spicchi, ognuno caratterizzato dal suo elemento.
Il primo spicchio era molto simile a quella che noi oggi conosciamo
come foresta, una distesa fitta e umida di alberi, foglie e strani fiori e
frutti; gli alberi erano mostruosamente più grandi, tanto alti che
impedivano di capire se fosse giorno o notte; le foglie e fiori dai
colori e forme variegate.
Il
secondo era invece una landa desolata di roccia lavica
caratterizzata da un’enorme vulcano attivo; ogni pietra, sia essa un
masso gigante o un minuscolo sassolino, emetteva del fumo per via
del cuore di lava incandescente che conteneva. Il vulcano che
dominava tutto quello spicchio di mondo era enorme, non tanto alto
quanto largo, ma comunque abbastanza da non permettere a
chiunque si trovasse ai suoi piedi di vederne la punta. Più
spettacolare è quindi alzare lo sguardo da terra e soffermarsi
sull’azzurro orizzonte animato dai veri padroni del luogo: gli abitanti
del cielo. Volavano in modo maestoso, o almeno così sembrava per
quel che si potesse notare, perché erano sempre in fiamme; enormi
fenici infuocate che comunicavano tra loro con versi spaventosi e
qualche lanciata di fiamme generata dallo sbattere delle ali. Questi
maestosi e diabolici animali adornavano il cielo con i loro lunghi e
potenti voli, e le loro urla riecheggiavano nella landa mentre
infuocavano tutto, durante il loro turno dell’espansione.
Ogni spicchio di mondo svolgeva le sue giornate sempre nello
stesso modo, cadenzato dall’alternarsi di due momenti, di due turni:
turno dell’espansione e turno della difesa. Ogni spicchio aveva tre
lati
a cui badare, uno che affacciava sul mare e due che
affacciavano sugli altri due spicchi. Il turno di espansione era
contraddistinto dall’attività di conquista di territori da parte di alcuni
incaricati, allo scopo di allargare i propri confini; mentre nel
successivo turno, gli stessi incaricati venivano mandati nelle predette
zone per rinforzare le proprie parti di territorio, che potevano
potenzialmente essere attaccate a loro volta dagli altri.
Io vi racconterò gli accadimenti attraverso gli occhi del vero
protagonista, del vero narratore della storia, ossia l’unico abitante del
terzo spicchio di mondo non ancora svelato.
Immaginate ora della neve, semplice acqua che, arrivata a una
determinata bassa temperatura, porta il liquido a consolidarsi, poi
immaginate un oceano così interamente conformato e avrete ben
chiaro il clima del terzo e ultimo spicchio del mondo. Ci troviamo in
una bianca distesa percettivamente infinita, con montagne, colline e
pianure fatte solo ed esclusivamente di neve; alberi fatti di ghiaccio
con chiome e foglie di neve; fiori e sassi di stalagmiti con muschio e
petali di neve.
A governare, gestire e rendere possibile e vivo tutto ciò era una
creatura, non paragonabile ad alcun animale ora esistente. Una
creatura che, se dipendesse dalla sagoma, avrebbe avuto tutte le
carte in regola per essere descritto come mostruoso, ma, col
beneficio del dubbio, se ne sarebbero potuti notare anche i dettagli
nettamente più morbidi. Busto stretto e schiena curva, spalle enormi
e pesanti come due ampie palle di neve, come anche le mani e le
sue dita di ghiaccio, trascinate a terra nonostante le braccia forti, ma
comunque piccole in confronto alle mani; gambe ghiacciate solide,
ma stanche dal continuo sorreggere la struttura che vi stava al di
sopra, ma con piedi, caviglie e polpacci possenti, un unico blocco
compatto simile a due grandi colonne di neve e ghiaccio che
sorreggevano tutta quell’imponente struttura.
A questo punto, risulta normale non capire dove potesse esserci del
dolce in questa creatura; ma guardando attentamente si poteva
notare una faccia stranamente più piccola del resto del corpo, ma
allo stesso tempo proporzionata: semplicemente una mascella di
ghiaccio, come elemento più grande di tutto il viso, e due piccoli
buchi nerissimi come occhi. Proprio quella palla di neve posizionata
al di sopra del corpo, con quei due piccoli punti neri, lo rendeva
paradossalmente buono e delicato, in quanto la neve, facilmente
modellabile, era in continua trasformazione per via dei movimenti del
gigante, sia dell’enorme mascella e addirittura dall’energia creatrice
dei suoi pensieri. Quella semplice massa di acqua fredda
rappresentava tutto quello che pensava e che provava il gigante,
senza mai mascherarlo; come riuscire a non far vedere un’emozione
forte quando sei costituito da una sostanza, da un elemento che può
diventare quello che ti pare e piace?
L’intera esistenza si basava sull’alternarsi ciclico del momento di
espansione e di difesa delle tre diverse parti di mondo. Il mondo
foresta si espandeva e si rinforzava, facendo fiorire e crescere dal
suolo, sia gelido che caldo dei suoi vicini, piante, fiori e piccoli
arbusti che con un po’ di tempo sarebbero diventati alberi; il mondo
lava mandava i suoi maestosi uccelli perfettamente sincronizzati a
bruciare, col batter d’ali, ghiaccio e vegetazione, lasciando al loro
passaggio solo altra terra di roccia dal cuore vulcanico; e, infine, il
mondo di neve e ghiaccio era solo responsabilità del gigante. Egli
per poter proteggere il suo regno aveva sempre collegate le sue due
colonne portanti, che usava come gambe, alla neve di tutto il suo
mondo, riuscendo così a portare qualsiasi grammo o polvere di neve
da qualunque parte del suo regno fino alle sue mani, le quali
impastavano palle di neve e ghiaccio per ricoprire se stesso, la
confinante vegetazione e le confinanti rocce fumanti.
Non posso affermare lo stesso per gli abitanti degli altri due regni,
ma il nostro robusto amico era davvero bravo nel suo mestiere; ogni
giorno dal centro del suo mondo capiva dove recarsi e, già lungo il
cammino per raggiungere il suo vagante posto di lavoro, iniziava la
sua raccolta di neve, andando a prenderne forse dove ce n’era
depositata più del dovuto. Arrivato al confine, aveva già pronta la
palla da scagliare contro la superficie non di sua competenza,
terminando così egregiamente il proprio mestiere. Non a caso
partiva sempre dal centro del suo regno, dove abitava, poiché solo
nel centro del suo spicchio di mondo gli era possibile generare altra
neve.
Solo e solamente nel punto centrale dei tre regni si poteva generare
altro elemento vitale. Ben visibile era il vulcano nel desolato regno
delle rocce calde, mentre il regno della vegetazione non era ancora
scoperto, per via della fitta foresta.
Nella sua dimora di neve, il nostro amico di ghiaccio aveva anche lo
scopo di proteggere la sua vera e unica fonte di vita: l’acqua. Il
gigante proteggeva con mura di neve un piccolo pozzo che
comunicava direttamente, per vie sotterranee, con il vasto mare; e
solo con estrema concentrazione e felicità riusciva a modellare
porzioni d’acqua fino a farle diventare soffice e bianca neve.
Il
gigante conduceva questa vita da sempre, non aveva mai
conosciuto cosa fosse la compagnia di un suo simile e non ne aveva
mai avuto il bisogno, anzi, a dirla tutta, non ne aveva mai avuto
neanche il pensiero. Produrre nuova materia generava in lui un
senso enorme di appagamento e serenità . Lui era il regno e il regno
viveva in lui: l’uno non poteva esistere senza l’altro. Il creare altra
neve gli dava la possibilità di crescere sempre più e non solo
fisicamente: cresceva e accresceva se stesso, si cambiava e si
modellava per poter essere sempre più adatto per il suo mondo.
Il mostro di ghiaccio non viveva il momento dell’espansione come
una conquista crudele o un atto di forza esercitato su un altro, ma
come una auto-verifica dell’avere piena coscienza di sé; usava solo
la neve disponibile nel suo mondo, la prendeva e la riposizionava.
Ma forse c’era anche un altro momento della sua vita che da
qualche tempo sentiva più speciale, un momento in cui sentiva
l’esigenza di compiere qualcosa, mosso sia dalla curiosità sia dalla
paura, generata dal non conoscere i motivi alla base di quel bisogno
di fare. Egli viveva il momento dell’espansione in modo molto
particolare, poiché per lui era un vero contrasto compiere un gesto di
forza così brutale, nonostante le sue tenere intenzioni. Sì, perché,
nonostante il suo aspetto potesse non convincere della sua
dolcezza, anzi tutt’altro, in fondo era un essere buono. Lo
dimostrava il fatto che il gigante si sentisse quasi in colpa nei
confronti dei suoi vicini: del resto andava ad attaccare qualcosa a cui
loro tenevano.
Spesso si chiedeva che senso avesse tutto ciò, perché non
potessero rimanere fermi tutti quanti, condividendo la vita in pace e
tranquillità . E poi, chi aveva dato il via a tutto ciò?
In balia di queste domande, il gigante una volta provò a comportarsi
diversamente, non rispettando la fase dell’espansione, ma ciò non
portò ad alcun risultato degno di nota: i suoi falsi nemici crebbero
quasi del doppio e il gigante rischiò, per questo gesto di bontà , di
perdere ciò che aveva di più caro.
Seguirono giorni di lavoro duri e inarrestabili per il gigante, che
recuperò tutto il lavoro perso ridando il giusto spazio alla sua parte di
mondo. I conflitti morali interni così non diminuirono, anzi si
trasformarono, aumentando anche di intensità ; ma, in qualche modo,
il gigante di ghiaccio riuscì a trovare una soluzione: ed era proprio
quello il momento speciale di cui voglio farvi partecipi.
Non appena ebbe svolto la sua parte di espansione laddove ce ne
fosse bisogno, il gigante non tornava subito a casa ma dedicava
qualche istante a una sorta di commemorazione. Quando
distruggeva piante o ricopriva tutte quelle rocce fumanti, il gigante
rimaneva là , a osservare tutto ciò che andava oltre il suo confine.
Il gigante di ghiaccio pensava che, come forma di rispetto, fosse
giusto ammirare cosa facessero gli altri e in ciò era guidato da un
senso di professionalità , se così si può dire. Lui amava il suo mondo,
ma non riteneva che questo fosse una giustificazione per un
insensato odio verso tutto ciò che non vi faceva parte. Era il senso
della scoperta e la voglia di continuare a capire che lo spingevano a
fare ciò. Vi erano momenti in cui osservava nei minimi dettagli tutte
le foglie, i fiori e le piante della fitta foresta, in cui cercava di
immedesimarsi in quella fitta giungla; l’immedesimazione fu tale che,
piano piano, gli venne voglia di toccare quella natura e iniziò a farlo
allungando leggermente il suo braccio verso una porzione di terra
dalla quale stava crescendo una piantina; poi, la raccolse, usando la
sua mano gigante come fosse una gru e portando sotto i suoi occhi
quello strano oggetto, che nel suo mondo non poteva trovare.
Ricordava di averla osservata bene sebbene non per tanto tempo,
perché subito si scurì e piano piano appassì nelle sue mani. La cosa
turbò il gigante e questo fu quasi paradossale: in effetti lui
distruggeva ogni giorno tutto il verde che si trovava vicino alla sua
neve, ma mai provò una sensazione simile a quella che gli scaturì
quando la piantina gli si spense tra le sue mani: lui non voleva che
accadesse. Voleva solo osservarla e rimetterla al suo posto, non
aveva intenzione di distruggere niente anche se farlo era, in qualche
modo, tutta la sua vita.
Da quella volta, non prese mai più in mano niente di verde
proveniente da quel mondo. Ad affascinarlo però sempre di più,
continuò a essere la landa desolata di roccia, fumo e lava.
Soprattutto perché lì non c’era bisogno di sapersi controllare e non
avrebbe potuto distruggere niente.
Quando ritentò l’esperimento, avvenne esattamente l’inverso di
quanto accaduto in precedenza. Arrivato al limite del confine con
quel caldo mondo, allungò l’escavatrice che possedeva come mano,
raccolse un sassolino e, nel portarselo a sé, questo gli bucò la
mano. Una cosa così piccola, insignificante e inerme, gli bucò la
mano enorme e ghiacciata, continuando poi l’affondo nella neve
fresca ai suoi piedi. Il fenomeno sbalordì il gigante ma non lo turbò,
in quanto lui questa volta non aveva fatto niente di male; inoltre, non
provò alcun dolore. Si ricompattò l’arto con un impasto di neve e
ghiaccio e ne ricoprì il sassolino, che nel frattempo aveva ormai
raggiunto la fine dello strato di neve, rivelando l’esistenza di una
superficie nuova e semplice: la terra del suo mondo, priva di neve.
Quest’ultimo avvenimento lo portò a prediligere quel confine come
sua meta preferita e, addirittura, a volte perdeva forse anche troppo
tempo nel compiere un simpatico gioco, che lo faceva ridere davvero
di cuore: dopo essersi posizionatosi al confine, allargava bene le
gambe, teneva i pugni chiusi ed estraeva solo ed esclusivamente i
due pollici e i due indici, iniziando a sparare piccole palline di neve
sulle rocce fumanti. Il gioco lo faceva divertire perché era buffo
sparare mirando le rocce e, altrettanto buffo ed esilarante, era
vedere come le palline di neve si scioglievano subito al semplice
contatto. BUFF, BUFF erano i suoni che sentiva e che ormai erano
associati alle sue risate: il gigante rideva “buffettando.
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
1 commento