La donna del martedì – Claire Messud

SINTESI DEL LIBRO:
Quando Maria Poniatowski entrò nell’appartamento di Mrs
Ellington, esattamente alle 7:55 del mattino (calcolava il
tragitto a piedi in modo da arrivare sempre in anticipo di
cinque minuti) il terzo martedì di agosto del 1993, la prima
cosa che vide fu la striscia di sangue sul muro che
dall’ingresso portava in camera da letto e capì che era la
fine.
Era andata da lei ogni martedì mattina – ferie e festività
escluse, ed escludendo anche i sei mesi ancora dolorosi del
1991 durante i quali Mrs Ellington l’aveva cacciata in un
inspiegabile moto di stizza – per quarantasei anni. All’inizio
andava nella casa a Laurel Heights, poi, quando Mrs
Ellington nel 1977 si era trasferita nell’appartamento in
Manley Avenue, Maria l’aveva raggiunta anche lì senza
indugi. E tutto questo, pensò Maria con un’improvviso flusso
di lacrime, solo per vedere l’anziana signora – era molto
anziana ormai, novantaduenne per la precisione
massacrata in casa propria, ignara di tutto. Era orribile. Si
leggeva di episodi simili sui giornali (anche se Maria lo
faceva di rado, non sapendo leggere bene l’inglese) o se ne
sentiva parlare alla televisione. Ma nessuno si aspettava che
succedessero ai propri conoscenti. Ecco a cosa pensava
Maria mentre percorreva in punta di piedi il tappeto color
camoscio verso la stanza di Mrs Ellington.
In realtà, trovando Mrs Ellington che russava dolcemente
sul suo letto a baldacchino sostenuta da tre cuscini, la
liseuse di satin rosa sporca di sangue ma abbottonata con
cura, rimase molto sorpresa – molto più sorpresa di quanto
sarebbe stata scoprendo un cadavere straziato. Gli occhi di
Mrs Ellington, quegli occhi di un azzurro lattiginoso ormai
ciechi, si aprirono con un fremito mentre Maria si
avvicinava, sforzandosi invano di metterla a fuoco.
«Sei tu? Sei tu, Maria?» chiese, la voce acuta e fragile
intrisa di panico.
«Sono io, Mrs Ellington» la rassicurò Maria. «Cos’è
successo, Mrs Ellington?»
Dopo avere accertato l’identità della visitatrice, Mrs
Ellington scivolò in un repentino malumore. «Accidenti»
borbottò. «Che ore sono? Maledetta sveglia. Ho dormito
troppo. Saranno le otto. Ti preparo il caffè, Maria, ma abbi
un po’ di pazienza. Per l’amor del cielo, dammi almeno un
minuto...» L’anziana signora, con i capelli cotonati appiattiti
su un lato della testa e le mani straziate che armeggiavano
con le coperte, si sollevò e fece scivolare giù i piedi. Il letto
era alto – era il suo letto nuziale – mentre Mrs Ellington era
di bassa statura: i piedi penzolavano qualche centimetro
sopra la moquette, muovendosi in cerca delle pantofole come
due bacchette da rabdomante. Maria si chinò e infilò le
ciabatte rosa una dopo l’altra sui piedi screpolati di Mrs
Ellington.
«Vado a prenderle la vestaglia, Mrs Ellington. Non c’è
fretta. Faccia con calma».
«Tutti i santi martedì» borbottò l’anziana. «Spero che la
panna sia ancora buona» disse a voce più alta, «altrimenti
dovrai accontentarti del latte».
«Non si preoccupi, Mrs Ellington. Fuori è una giornata
bellissima».
Mrs Ellington si limitò a grugnire mentre andava in bagno,
superando Maria con passo vacillante.
Quando infine si sedettero al solito posto nell’angolo della
colazione, davanti al solito caffè (quello di Maria con la
panna), sotto un sole così intenso che Mrs Ellington batté le
palpebre degli occhi ciechi, Maria sollevò la questione del
sangue sul muro.
Sulle prime, Mrs Ellington sembrò non capire di cosa stesse
parlando. Arricciò le labbra (coprendo tutti i denti; andava
molto fiera dei suoi denti) e scosse la testa. Poi, però, disse:
«Il dito. Mi sono tagliata un dito mentre preparavo la cena. I
broccoli. Immagino sia quello». Sollevò la mano sinistra di
fianco alla testa, dove le era rimasto un residuo di visione
periferica, e la scrutò con solenne concentrazione.
«Accidenti, non lo so. È tutto sfocato, Maria. Potresti dare
un’occhiata tu?»
Maria prese tra le mani le dita artritiche di Mrs Ellington:
erano ritorte e la pelle sottile luccicava, ma la mano
dell’anziana, stretta in quella di Maria, era morbida e
lievemente tremula, come un uccellino palpitante. Sull’indice
c’era una lunga crosta striata. Il taglio era piuttosto
profondo: Maria era convinta che avrebbe ripreso a
sanguinare se avesse strizzato il dito con forza.
«Non va bene, Mrs Ellington. Come fa ad andare avanti
così? È dura. Le serve aiuto».
«Non sei tu il mio aiuto?»
Senza rispondere, Maria andò a prendere il disinfettante e
un batuffolo di cotone. Sospirò. Avrebbe dovuto parlare con
la figlia di Mrs Ellington. Ma Judith viveva in California, e
Maria non faceva telefonate interurbane.
«Quando viene Judith?» chiese a Mrs Ellington mentre le
ungeva il dito. «O Simon? O Madeleine? O Kate?» Erano i tre
figli di Judith, già adulti e sparsi come loppa per il
continente.
«A Toronto?» Mrs Ellington fece una smorfia, per la
prospettiva di vedere la sua prole riunita, per il dolore
pungente alla mano o per entrambe le cose. «Judith ha detto
dopo il Labour Day, ma non so quanto dopo».
«La sentirà stasera?» Judith chiamava la madre ogni
giorno.
«Penso di sì. Ammesso che se ne ricordi».
«Certo che se ne ricorderà». Maria fece un respiro
profondo. «Potrebbe dirle di chiamarmi? Ho bisogno di
parlarle».
«Non di me, te lo proibisco» sbottò Mrs Ellington, battendo
furiosamente le palpebre.
«No, no. Di altre cose».
Judith si inframetteva spesso tra loro. Maria la conosceva
da quando Judith aveva quindici anni. Aveva assistito a molte
liti fra Mrs Ellington e l’unica figlia, e aveva rinunciato da
tempo a prendere le parti di una o dell’altra. Tuttavia,
quando Mrs Ellington – il cui carattere negli ultimi anni
aveva subito un netto peggioramento, come se il suo
buonumore fosse evaporato insieme alla vista – aveva
sommariamente congedato Maria dal suo impiego oltre due
anni prima, con uno strillo senza precedenti, Judith aveva
fatto da mediatrice. Dapprima si era scusata per conto della
madre, aveva calmato l’anziana signora quanto bastava
perché si scusasse di persona, e aveva agevolato il ritorno di
Maria a casa Ellington. «Non può farcela senza di te, Maria,
anche se finge il contrario. È completamente smarrita. So
che ti sto chiedendo molto. So che è davvero intrattabile. Ma
se riuscissi a trovare la forza...»
E dopo sei mesi di martedì vuoti, alle soglie dei settant’anni
e senza alcun interesse a trovarsi una nuova occupazione per
quel giorno della settimana; dopo sei mesi nei quali aveva
impiegato il nuovo tempo libero coltivando il giardino,
dipingendo la cucina, ritappezzando l’anticamera, per poi
sedersi ad ammirare la sua perfezione domestica con noia e
irritazione, Maria era capitolata. Le erano rimasti solo due
impieghi, a casa di Mrs Ellington, e di Jack McDonald e sua
moglie: aveva lavorato per i genitori di Jack fino alla loro
morte, e le era venuto spontaneo restare al servizio del
figlio, benché trovasse spiacevole il vizio del fumo di Elspeth
McDonald e non sopportasse il loro goffo Labrador di nome
Sport. Perciò senza Mrs Ellington si era sentita sola. Le
erano mancati la stizzosa datrice di lavoro e i quieti rituali
della giornata in Manley Avenue: il caffè bevuto con comodo,
il chiacchiericcio della radio che Mrs Ellington teneva
costantemente accesa, il ritmo sostenuto con cui passava
l’aspirapolvere e il piumino, il cambio delle lenzuola. Le
erano mancati gli odori particolari, quelli del lucido per
mobili preferito di Mrs Ellington e dei suoi sali da bagno, la
fragranza intima e un po’ stantia degli armadietti; le erano
mancati i pasti condivisi, una volta sbrigate le faccende: il
lento spuntino pomeridiano denso di conversazione, a base
di sandwich (di pane bianco senza crosta, con l’immancabile
piatto di vetro intagliato sul tavolo in mezzo a loro, pieno di
cetrioli sottaceto), biscotti alla marmellata di fichi e tè. Le
era mancato il modo in cui Mrs Ellington alzava la voce
chiedendo: «Una tazza di tè, Maria?», una domanda di
cortesia che ripeteva ogni volta, sebbene in tutti quegli anni
Maria non avesse mai rifiutato. Le era mancato perfino il
suono della propria voce mentre rispondeva: «Sì, grazie, Mrs
Ellington» e il piacere di attendere con le mani in grembo il
momento appagante in cui Mrs Ellington, con fare
imperioso, versava il tè bollente dalla teiera a fiori nella sua
tazza.
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