Il centurione – Simon Scarrow

SINTESI DEL LIBRO:
Mentre il crepuscolo calava sul porto, il comandante della coorte
s’affacciò dalla scogliera per scrutare il fiume. Una bruma leggera
ricopriva l’Eufrate, espandendosi oltre le sue sponde e risalendo alta
fin sopra le cime degli alberi che le costeggiavano: faceva pensare al
ventre liscio di un serpente che striscia sinuoso attraverso il
territorio. Quell’immagine fece rizzare i capelli sulla nuca del
centurione Castore, che si strinse il manto intorno al corpo, strizzò
leggermente le palpebre e fissò lo sguardo su quelle terre che si
espandevano dall’altra parte dell’Eufrate: le terre dei Parti.
Era ormai passato più di un secolo da quando Roma s’era
scontrata per la prima volta con i Parti, e da quel momento in poi i
due imperi avevano ingaggiato una battaglia letale per la conquista
di Palmira e delle terre situate ad est della provincia romana della
Siria. E adesso che Roma era intenta a negoziare un trattato più
stretto con Palmira, la sua influenza s’era espansa fino alle rive
dell’Eufrate, proprio ai confini con i territori del suo vecchio nemico.
Non c’era più nessuno Stato cuscinetto fra Roma e la Partia ed
erano in pochi a dubitare che quanto prima quella latente ostilità si
sarebbe tramutata in un rinnovato conflitto. Le legioni di stanza in
Siria si stavano già preparando a una campagna, quando il
centurione e i suoi uomini avevano oltrepassato a passo di marcia le
porte di Damasco.
Quel pensiero indusse il centurione Castore a tornare a dolersi
amaramente degli ordini ricevuti da Roma di condurre una coorte di
ausiliari attraverso il deserto, oltre Palmira stessa, per erigere un
avamposto fortificato qui sulle scogliere sopra l’Eufrate. Palmira era
a otto giorni di marcia verso occidente e i soldati romani più prossimi
erano quelli di stanza ad Emesa, a ulteriori sei giorni di distanza da
Palmira. Castore non s’era mai sentito tanto isolato in vita sua. Lui e
i suoi quattrocento uomini si trovavano ai margini estremi
dell’impero, appostati su quella scogliera per captare ogni minimo
segnale d’attacco proveniente dalla Partia, sulla sponda opposta
dell’Eufrate.
Dopo una marcia sfiancante attraverso il deserto arido e
roccioso, s’erano accampati accanto alla parete di scogli, iniziando a
costruire il forte dove sarebbero rimasti di guarnigione finché
qualche ufficiale di Roma non avesse finalmente deciso di
richiamarli. Durante quella marcia la coorte era stata costretta a
cuocersi sotto il sole durante il giorno, mentre di notte, col crollo
radicale della temperatura, gli uomini s’erano dovuti difendere dal
freddo avvolgendosi strettamente nei loro mantelli. L’acqua era stata
severamente razionata e quando avevano finalmente raggiunto il
grande fiume, che attraversava il deserto fornendo acqua alla
mezzaluna fertile che ne costeggiava le rive, prima ancora che i loro
ufficiali potessero in qualche modo trattenerli, i suoi uomini s’erano
precipitati a bagnarsi e a placare la sete, accostando avidamente le
labbra screpolate alle mani tenute a coppa.
Avendo prestato un servizio decennale nella guarnigione della
Decima Legione a Cirro, con i suoi bei giardini ricchi d’acqua e tutti i
generi di piaceri carnali che un uomo potesse desiderare, Castore
considerava questo suo incarico temporaneo con crescente ansia.
La coorte andava incontro alla prospettiva di passare dei mesi, forse
degli anni, in quell’angolo abbandonato della Terra. Se non li avesse
uccisi per prima la noia, lo avrebbero sicuramente fatto i Parti. Ecco
perché il centurione aveva indotto i suoi uomini a costruire il forte
non appena avessero trovato un punto, sulla scogliera, che
permettesse loro di avere una buona panoramica sul guado
sottostante e, al di là di esso, sulle colline della Partia. Castore
sapeva che la notizia della presenza romana sarebbe quanto prima
giunta alle orecchie del re dei Parti; era dunque davvero essenziale
che la coorte sviluppasse robuste difese prima che il nemico
decidesse di passare in azione contro di essa. Per diversi giorni gli
ausiliari avevano spianato il terreno e preparato le fondamenta per le
mura e le torri della nuova fortezza. Poi i muratori avevano
rapidamente squadrato e rifinito le lastre di pietra, estratte dagli
affioramenti geologici del circondario e poi trasportate in cantiere con
i carri. Le mura di contenimento arrivavano già all’altezza della vita e
le fessure fra le pietre erano state riempite di ghiaia e detriti; mentre
osservava il sito nella luce morente del giorno, il centurione Castore
annuì soddisfatto. Entro cinque giorni le mura difensive sarebbero
giunte ad altezza sufficiente perché lui e i suoi uomini potessero
trasferire l’accampamento all’interno della fortezza. Da allora in poi
avrebbero avuto modo di sentirsi più al sicuro dai Parti. Ma fino a
quel momento, gli uomini avrebbero dovuto sfruttare tutte le ore di
luce a disposizione per proseguire i lavori.
Il sole era ormai tramontato e all’orizzonte non rimaneva che una
stretta striscia di luce rosseggiante. Castore si rivolse al suo
secondo, il centurione Settimo. «È tempo di chiudere la giornata di
lavoro».
Settimo annuì, prese fiato e accostò la mano alla bocca per
annunciare a gran voce la fine della giornata lavorativa a tutti gli
uomini del cantiere.
«Coorte! Deporre gli attrezzi e tornare al campo!».
Attraverso il cantiere, Castore vide le sagome indistinte degli
uomini che deponevano picconi, pale e ceste di vimini, prima di
raccogliere i loro scudi e le lance e mettersi stancamente in riga
all’esterno dell’apertura che presto avrebbe costituito l’entrata
principale del forte. Mentre l’ultimo di loro si metteva in posizione
iniziò ad alzarsi un forte vento dal deserto; scrutando verso ovest,
Castore vide una massa compatta che rotolava decisa nella loro
direzione.
«Sta arrivando una tempesta di sabbia», borbottò, rivolto a
Settimo. «Meglio raggiungere l’accampamento, prima che ci venga
addosso».
L’altro annuì. Per gran parte della sua carriera militare, Settimo
aveva prestato servizio sulla frontiera orientale e sapeva fin troppo
bene quanto fosse facile, per gli uomini, perdere il senso
dell’orientamento, una volta invischiati nella sabbia soffocante e
abrasiva sollevata dai venti che flagellavano quelle terre.
«Quei fortunati bastardi giù all’accampamento se la scampano».
Castore sorrise lievemente. Una mezza centuria di soldati era
stata lasciata di guardia al campo, mentre i compagni erano
impegnati a costruire il forte sulla scogliera. Già immaginava quei
fortunati ritirarsi all’interno delle loro torrette di guardia, al riparo dal
vento pungente di sabbia. «Forza, allora, muoviamoci».
Diede l’ordine di avanzare e gli uomini si avviarono compatti giù
per il tortuoso sentiero che conduceva all’accampamento, a poco più
di un chilometro e mezzo dal cantiere della fortezza. Il vento
aumentò d’intensità e l’oscurità s’impadronì gradualmente del
paesaggio; le ampie mantelle sventolavano sbattendo sui corpi dei
soldati impegnati nella discesa lungo il viottolo roccioso.
«Non mi dispiacerà lasciare questo posto, signore», mormorò
Settimo. «Avete idea di quando ci rimpiazzeranno? A Emesa c’è un
bell’alloggio caldo che aspetta me e i ragazzi».
Castore scosse la testa. «Non ne ho idea. Sono ansioso quanto
te di venir via di qui. Tutto dipende dalla situazione a Palmira e da
quel che i nostri amici Parti decidono di fare».
«Maledetti Parti», sbottò Settimo. «Bastardi guerrafondai.
C’erano loro, no, dietro quel pasticcio in Giudea dell’anno scorso?».
Castore annuì ricordando la sommossa che aveva infiammato il
lato orientale del Giordano. I Parti avevano rifornito i ribelli di armi e
di una piccola armata di arcieri a cavallo. Era stato soltanto grazie ai
valorosi sforzi della guarnigione del forte Bushir che ai ribelli e ai loro
alleati parti era stato alfine impedito di trascinare l’intera Giudea in
una rivolta contro Roma. Ora l’attenzione dei Parti era rivolta
sull’oasi cittadina di Palmira: un punto nodale delle vie commerciali
verso l’oriente e uno Stato cuscinetto fra l’Impero Romano e la
Partia. Palmira godeva di considerevole indipendenza ed era da
considerarsi più un protettorato che uno Stato suddito. Ma il re di
Palmira stava invecchiando e i membri rivali della casa reale stavano
sgomitando per accaparrarsi la successione al trono. Uno dei più
potenti principi di Palmira non aveva tenuto nascosto il suo intento di
allearsi con i Parti, se fosse diventato il nuovo sovrano.
Castore si schiarì la gola. «Spetta al governatore della Siria
convincere i Parti a tenere giù le mani da Palmira».
Il centurione Settimo inarcò un sopracciglio. «Cassio Longino?
Pensate che ne abbia intenzione?»
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