I Vangeli – Esercizi spirituali per la vita cristiana – Carlo Maria Martini

SINTESI DEL LIBRO:
La Parola di Dio è una realtà immensa: vediamo come in essa si situano
gli esercizi. Anzitutto esaminiamo i termini: che cosa intendiamo per esercizi
e per Parola di Dio. Poi passeremo in rassegna tre aspetti tipici degli esercizi:
cioè gli esercizi come ambiente, come attività dello spirito, come serie di
meditazioni e contemplazioni. Metteremo infine ciascuno di questi tre aspetti
a confronto con la Parola di Dio.
La terminologia
Anzitutto gli esercizi sono un ambiente: ritiro, cessazione di altre attività,
per mettersi a disposizione di Dio durante un certo tempo (tre, cinque, otto o
più giorni). Quest’ambiente di segregazione o di ritiro dalle altre occupazioni
è espresso molto bene nell’annotazione ventesima degli Esercizi1.
Oltre che un ambiente, gli esercizi sono considerati attività: attività dello
spirito, ben descritta nell’annotazione prima2.
Infine il terzo aspetto, che è quello vero e proprio, riguarda il contenuto:
la serie cioè delle meditazioni e contemplazioni che compongono la materia
degli esercizi.
Col termine Parola di Dio, che la Scrittura stessa usa molte volte ed è
estremamente difficile definire, si intendono alcuni aspetti che cercheremo di
sintetizzare.
Anzitutto si intende il Verbo: Dio “dice” e “si dice”, cioè la Parola di Dio
Verità. Questo è l’aspetto rivelato, quindi fondamentale, in quanto fonda la
comunicabilità di Dio. Tutto ciò che si può dire di Dio, o Dio dice di sé, o che
noi conosciamo di lui, o che noi conosciamo di noi stessi attraverso di lui,
tutto è fondato sul Verbo, cioè su questa Parola, sul fatto che Dio è
comunicazione di se stesso.
Secondo significato: la Parola di Dio è per eccellenza Gesù Cristo, il
Verbo in mezzo a noi, Dio detto e manifestato a noi. È Gesù in tutto l’arco
della sua vita, che ci manifesta il Padre, e adempie anche la sua funzione di
Logos ed esprime Dio-Parola. Quindi, ogni Parola di Dio va riferita a Gesù
Cristo ed ha la sua efficacia creativa e normativa dal fatto che Gesù si è fatto
uomo e ci ha detto Dio, ci ha manifestato il Padre.
Terzo significato: sono le parole dette nella storia della salvezza dai
profeti e dagli apostoli per manifestare il piano divino presente in Gesù.
Queste parole della predicazione profetica e apostolica, nel 95 per cento dei
casi, sono nella Scrittura la “Parola di Dio”. Infatti, nella Bibbia, quasi
sempre – quando si parla di Parola di Dio – ci si riferisce alla parola che un
profeta ha detto in nome di Dio per manifestarne il disegno di salvezza tra gli
uomini: una parola umana, che si ascolta con le orecchie, che si può ripetere e
analizzare, ma sempre in riferimento diretto al Cristo e al piano di Dio Padre.
Quarto significato: sono le parole di tutti coloro che sono connessi con
l’attività profetica e apostolica ed hanno scritto per ispirazione divina la
Parola di Dio: saggi, cronisti, legislatori, sacerdoti ecc. Ed ecco la Bibbia.
Infatti, solo a questo punto passiamo alla Parola scritta cioè alla Bibbia, vale
a dire le parole degli apostoli e dei profeti messe in scritto per ispirazione di
Dio, per manifestare il suo piano presente in Cristo che ci rivela la volontà
del Padre. Possiamo notare qui che la Bibbia, pur essendo ciò che abbiamo
detto, ha relazione immediata da una parte con la parola viva d’Israele e della
Chiesa primitiva, e dall’altra con Cristo e con il Padre mediante lo Spirito che
la ispira. È un momento privilegiato in quanto se fosse solo una messa per
iscritto delle parole profetiche e apostoliche, potrebbe essere solo un
documento storico: invece è in relazione da una parte con Israele e con la
Chiesa viva e dall’altra con il Verbo per mezzo dello Spirito che la ispira.
La Bibbia continua a vivere nella Chiesa, nella quale è nata, specialmente
nella liturgia, come ci dice chiaramente il Concilio Vaticano II. Tuttavia non
soltanto nella liturgia – specie se considerata in senso astratto, cioè solo come
tempi specifici dedicati al culto divino –, ma in relazione con tutta l’attività
della Chiesa. Da quale tipo di attività della Chiesa è nata la Bibbia? In
particolare da quella del Nuovo Testamento: dalla predicazione, dalla
catechesi, dalla riflessione, dalla esortazione (pensiamo alle lettere
apostoliche), dall’educazione spirituale e sapienziale. La Bibbia rivive in tutte
queste forme della vita ecclesiale.
Il significato del termine “Parola di Dio” non è ancora esaurito, in quanto
nel Nuovo Testamento è anche “Parola di Dio” la parola della predicazione
cristiana: e questo è il quinto significato. Perché Parola di Dio? Perché riferita
immediatamente a tutti i termini precedenti (vale a dire Bibbia, predicazione
apostolico-profetica, Gesù Cristo, disegno di Dio) e resa presente.
Utile ricordare il capitolo 19 degli Atti, in cui vediamo la Parola essere in
concreto la predicazione cristiana: “Paolo rimase per due anni a insegnare
nella sinagoga cosicché tutti gli abitanti dell’Asia poterono ascoltare la Parola
del Signore” (At 19,10). Questa Parola del Signore è la quotidiana parola di
Paolo. Che cosa contiene questa Parola del Signore? Lo vediamo nello stesso
capitolo al v. 8: “Paolo parlò con molta franchezza, discutendo e persuadendo
su quanto riguarda il Regno di Dio”. Quanto riguarda il Regno di Dio può
essere Parola del Signore. Oppure al v. 20: “La Parola di Dio cresceva e si
consolidava”. Qui si vede quanti significati ha questa Parola. Praticamente è
la Parola predicata da Paolo, ma che si identifica poi nella comunità stessa
che cresce. La Parola di Dio a un certo momento è quindi identificata con la
stessa Chiesa che la pronuncia e vive di essa. Al capitolo seguente, v. 20,
abbiamo altri aspetti della Parola di Dio. Nel discorso di Paolo agli anziani di
Efeso è detto: “Ho predicato e istruito in pubblico e nelle case, annunziando a
giudei e greci la conversione e la fede in Cristo Gesù” (At 20,31). Questa è
dunque la predicazione cristiana che annuncia la fede, la conversione e tutto
questo rientra nella Parola di Dio. E ancora: “Vi ho annunciato tutto il
disegno di Dio” (At 20,27), “annunciare Gesù” (At 9, 20). Tutta questa
multiforme predicazione è Parola di Dio.
E qui già siamo nel clima degli esercizi, dove si annuncia la fede, la
conversione, Gesù Cristo attraverso la testimonianza degli stessi cristiani, non
soltanto sulla base della Scrittura ma anche con la parola viva. Anche negli
esercizi giunge qualcosa che si può veramente chiamare ed è, nel senso più
vero, Parola di Dio, perché collegata a tutte le realtà precedenti e attualizzata
dalla testimonianza di chi vive la Parola. Quest’ultimo punto merita una
particolare attenzione, in quanto ci pone più a contatto con la parola viva
della predicazione cristiana ed è quello che si esplica direttamente negli
esercizi, nei quali la Parola influisce come libro e come testimonianza di
predicazione.
Dalle poche citazioni degli Atti, è agevole vedere che si tratta di
un’attività multiforme comprendente i diversi livelli, nei quali risuona la
Parola di Dio. Ne distingueremo alcuni.
Livello liturgico-sacramentale: la Parola di Dio viene proclamata nella
liturgia e nei sacramenti con valore di presenza efficace del Cristo che parla.
Livello magisteriale: la Parola viene proclamata dai papi, dai concili e dai
vescovi.
Livello omiletico-catechetico: la Parola di Dio viene proclamata a un
livello più generale e più vasto, nella predicazione e nella catechesi.
L’ultimo livello è quello dell’assimilazione personale: è per così dire il
termine dell’iter della Parola, quando il Verbo di Dio, il Cristo, la parola
profetico-apostolica, la Bibbia, la Chiesa, la liturgia, il magistero, la catechesi
giungono al termine, al cuore, e portano frutti. Così ci dice il Vangelo nella
parabola del seminatore, specialmente il v. 12: “La Parola è il seme nel cuore
dell’uomo” (Mt 13,10 ss.). Questo è l’ultimo momento, quello decisivo della
Parola di Dio.
La Parola negli Esercizi
Tenendo presente questo quadro, cerchiamo ora di dare una prima
risposta alla domanda iniziale: in questa grande realtà della Parola di Dio, a
quale dei quattro livelli si situano gli esercizi?
Si situano all’ultimo: sono cioè quell’attività che si svolge principalmente
nel momento delicatissimo in cui la Parola di Dio giunge nel cuore dell’uomo
per portarvi frutto. Questo ci fa vedere l’umiltà, la modestia del lavoro degli
esercizi: non sono né l’attività liturgico-sacramentale della Chiesa, né
l’attività magisteriale, né la predicazione ordinaria catechetica e omiletica,
anche se evidentemente tutte entrano negli esercizi, che non si confondono e
neppure si distinguono nettamente dalle altre attività che la Chiesa compie.
Non sono neppure da identificare con la Parola scritta: la Bibbia ha infatti una
funzione molto più vasta e più ricca. Sono un aiuto cristiano specifico che si
inserisce nel momento più delicato, cioè quando tutto questo cammino della
Parola che parte dal Verbo arriva al cuore dell’uomo. In questo momento
deve situarsi l’attenzione di chi dirige gli esercizi. Momento, ripetiamo,
delicato: il seme giunto nel terreno trova i sassi, le spine, gli uccelli, la terra
buona. Qui è tutto il lavoro degli esercizi.
Ancora un altro rilievo. La storia della salvezza, e quindi il piano salvifico
di Dio per l’umanità, percorre l’itinerario che abbiamo esposto e che abbiamo
unificato nel termine “Parola di Dio”. La storia della salvezza è quel piano
salvifico per il mondo che è nel cuore di Dio, che è il Verbo, ed è posto nel
mondo attraverso l’opera del Verbo stesso che si manifesta in Gesù Cristo e
viene diffuso e proclamato nel tempo privilegiato ed esemplare della salvezza
dai profeti e dagli apostoli; che è registrato efficacemente e autenticamente
nelle Scritture e attualizzato nella Chiesa (sacramenti, liturgia, magistero,
catechesi ecc.) e raggiunge ciascun cristiano nel momento dell’assimilazione
personale. Noi percorriamo in senso inverso questo cammino e ci poniamo a
disposizione di quel piano di Dio che il Cristo ci ha rivelato e che è nel cuore
del Padre. In questo senso la storia della salvezza segue la stessa linea
discendente della Parola di Dio e raggiunge in un momento specifico
ciascuno di noi.
Perciò da questo punto di vista si potrebbe dire che gli esercizi sono
l’incontro mio con quella Parola di Dio per me che è parte integrante della
storia della salvezza. Per storia di salvezza si intende tutta la storia della
Chiesa, dell’umanità in quanto salvata; negli esercizi io applico questa storia
a me per trovare il mio posto nella Chiesa e nell’umanità e quindi rendermi
disponibile, nella Chiesa e nell’umanità, al grande piano di Dio.
Gli altri aspetti
Anzitutto, in che modo la Parola di Dio così intesa è in rapporto con gli
esercizi come ambiente? Tale relazione sta principalmente in questo, che gli
esercizi, così intesi, devono fornire una cornice o un clima in cui la Parola si
manifesta. È chiaro che così intesi non sono “Parola di Dio” ma solamente il
clima in cui la Parola può manifestarsi. Il padre Nadal3, grande conoscitore
degli Esercizi, diceva qualcosa di simile quando, domandandosi come mai
negli esercizi tutto l’uomo viene cambiato, rispondeva: “[…] hanno questa
efficacia perché insegnano il modo di prepararsi a ricevere la Parola di Dio e
il Vangelo”. Non sono dunque, gli esercizi, Parola di Dio, ma un modo di
prepararsi ad accoglierla; ed essendo la Parola di Dio la realtà essenziale della
vita, gli esercizi dispongono ad accogliere tale realtà essenziale.
In che modo concretamente sono cornice o clima della Parola di Dio?
Evidentemente potremmo qui citare tante annotazioni che specificano il clima
che si vuol creare. Ne accenniamo soltanto due. Anzitutto la povertà dello
spirito, condizione fondamentale posta dalla Bibbia per l’ascolto della Parola.
Gli esercizi creano un clima in particolare attraverso il distacco dalla vita
ordinaria, quanto più tanto meglio. In questo distacco, l’uomo si sente senza
appoggi, senza tutti quei sostegni ordinari di persone, di conoscenze, di
relazioni che lo tengono su. Allora può avvertire la sua povertà.
Si trova anche senza i tanti aiuti culturali e intellettuali che di solito gli
riempiono la mente facendolo credere ricco e quindi si pone nella situazione
di riconoscersi anche povero di idee vere, profonde, assimilate, e in questa
povertà chiede che la Parola di Dio si manifesti in lui. Credo che anche per
questo sant’Ignazio4 non arricchisce molto le cose che ci dice nel suo libretto.
Con la sua esperienza o facendo lavorare altri teologi avrebbe potuto metterci
dentro ricchissime elucubrazioni bibliche e teologiche, ma non l’ha fatto
proprio per non ingannare chi, in questa esperienza, deve trovarsi a contatto
con la parola essenziale e non essere fuorviato da una cornice di cultura, di
letteratura teologica e sapienziale, credendo di avere ciò che non ha5. Qui sta
il rischio di dare o fare gli esercizi con una eccessiva ricchezza di materiale,
di libri, di idee, che distraggono dall’immediato senso del nostro bisogno
delle cose essenziali di fronte a Dio. Questo è un punto importante per creare
il clima degli esercizi come clima ideale di ascolto della Parola.
L’altro elemento richiesto per creare il clima è la testimonianza della vita
cristiana vissuta: quella testimonianza comunitaria, silenziosa, che parla col
proprio silenzio, nella quale si è manifestata per la prima volta la Scrittura ed
è stata vissuta nella Chiesa la Parola di Dio. Questa testimonianza
comunitaria, silenziosa, di un ambiente di fede, di un ambiente che paga di
persona, è efficacissima per mettere subito nel clima giusto di ascolto.
In che modo la Parola di Dio ha a che fare con gli esercizi intesi come
attività dello spirito? La principale attività dello spirito è l’ascolto della
Parola, prender coscienza della Parola diversa da noi, e quindi praticamente
prender coscienza di quello che è l’aspetto creativo della Parola, lasciarsi
penetrare da essa. Se esaminiamo il modo con cui nella Bibbia vengono
presentate le parole di Dio, vediamo che a esse viene data una grande varietà
di nomi: parole di Dio sono i suoi giudizi, i suoi precetti, le sue invettive di
minaccia o di castigo, le parole di perdono, la sua legge, cioè il suo piano per
una vita ordinata e giusta dell’uomo. È la sua sapienza, cioè la comunicazione
che Dio ci fa del piano totale di salvezza. Tutte queste parole, perché tali,
hanno una forza creativa nei nostri confronti e noi dobbiamo accoglierle.
Questo è l’atteggiamento fondamentale degli esercizi come attività: presa di
coscienza della Parola di Dio come forza attiva nelle sue mille modalità
espressive, che non sono solo illuminazioni – che cosa Dio mi vuol dire? Che
cosa Dio pensa? – ma che cosa Dio vuole, giudica, minaccia, promette,
stimola, e tutto questo come esperienza per me. Dio mi chiama, Cristo mi
cerca con un appello personale. Solo in questa disposizione la Parola è
veramente Parola di Dio efficace per me.
Quindi la principale attività, o meglio tutte le attività sono ordinate a
mettermi in ascolto della Parola di Dio percepita in questo modo, come un
messaggio giudicante, trasformante, che tocca in questo momento la mia vita:
è Cristo che mi cerca in questo momento. Ascoltando così la Parola di Dio
come giudizio, precetto, condanna, promessa, per me, ora – io mi metto nella
disposizione di scegliere ciò che Dio vuole da me, di raggiungere il suo piano
di salvezza, di accettarlo, di conformarmi a esso. Ripercorro quindi il
cammino della Parola assimilata fino al Verbo di Dio. In questo senso gli
esercizi come attività corrispondono alla funzione creativa della Parola e sono
ascolto e presa di coscienza della Parola di Dio come forza attiva, operante
per me, e risposta e scelta di ciò a cui Dio mi chiama per attuare il suo piano
di salvezza.
In che modo la Parola di Dio così intesa ha a che fare con gli esercizi
come serie di meditazioni e contemplazioni? Che cosa bisogna dire di questo
tipo di messaggio speciale che noi ritroviamo nel libro degli Esercizi?
La Scrittura, come tale, è un mare di cose, quindi partendo da essa si
possono fare moltissime considerazioni e la Chiesa le fa nella liturgia, nella
catechesi e nel magistero mettendoci a contatto, in un modo o nell’altro, con
la Parola di Dio come forza attiva. L’intuizione di sant’Ignazio nel porre
l’esercitante di fronte a una scelta di elementi della Parola di Dio è un po’
parallela a quella di Lutero6 al tempo di sant’Ignazio. Anche Lutero si era
trovato di fronte a questa ricchezza della Parola di Dio da lui riscoperta e
diceva che aveva cavato la Bibbia da sotto il banco e l’aveva messa in luce
nella Chiesa. Anch’egli sentiva che la Bibbia è immensa, può dire tutto e
quindi, per essere accostata dal cristiano in modo intelligente e penetrante, ha
bisogno di una chiave di lettura e di interpretazione. Tale chiave non
dev’essere estranea alla Scrittura, ma presa da essa, quindi essa stessa parola
di Dio. Però la chiave dev’essere distinta dalla porta, quindi un qualcosa che,
pur facendo parte della Scrittura, ci permetta di leggerla e di fare come del
materiale grezzo una spada a due tagli… Lutero ha proposto la sua chiave di
lettura nella fede che salva gratuitamente.
Sant’Ignazio trova invece la sua chiave interpretativa (non è l’unica, ma
ve ne sono molte altre possibili) nel Cristo: la vita, la passione, la morte e
risurrezione di Gesù sono al centro degli Esercizi. È una scelta che si
concentra nel Cristo dei Vangeli e indica dove sta per lui il centro della
Scrittura. Non è un mero insegnamento sulla carità, la pazienza, la fede, ma è
il Cristo. Questa è un’importantissima scelta di lettura biblica che corrisponde
alla Scrittura, alla Parola di Dio che è Cristo; ed è geniale, perché a volte si
può dimenticare, cioè si può leggere la Scrittura o dare gli esercizi senza
riferimenti profondi e specifici al Cristo come al centro della realtà cristiana.
Cristo: Gesù nato, morto e risorto. Al centro di questa intuizione è il mistero
pasquale. Tuttavia questo non specifica ancora del tutto; anche se da questo
evidentemente deriva una risposta, che è valida e quindi essenziale, della fede
da darsi a Gesù Cristo, e ciò ci porta, al di là di tutte le ricerche ascetiche, al
centro della conversione.
Ma c’è ancora un aspetto intuito da sant’Ignazio come valida chiave di
lettura: il Cristo nato, morto e risorto, ma soprattutto umile e umiliato.
Questo, a nostro avviso, ci sembra il punteruolo con cui sant’Ignazio incide
nella sua lettura della Bibbia, in particolare del Nuovo Testamento. Il Cristo
umiliato porta alla scelta dell’umiltà con Cristo.
Questo mi pare sia l’aspetto che, fin dall’inizio, comanda sottilmente la
meditazione del Regno7: l’insistenza nella scelta delle meditazioni di certi
aspetti della vita nascosta di Gesù e della sua vita pubblica, l’orientamento
nelle meditazioni della passione, oltre alla percezione che questo tipo di
lettura è tale da farci penetrare facilmente ed efficacemente nella ricchezza
della parola biblica, evangelica e apostolica; è tale da scuotere, da non
lasciare indifferente l’uomo che si avvicina a questo tipo di lettura. È quindi
una chiave interpretativa ricchissima, che permette di organizzare una lettura
sia della Bibbia intera che delle sue singole parti, che colpisce l’uomo alla
radice delle sue decisioni e non consente facilmente divagazioni o illusioni,
forse possibili con altri tipi di lettura. È possibile, a esempio, un tipo di lettura
che avesse come chiave la libertà, o l’amore, o la fede. È possibile e tutte
queste chiavi in qualche modo si equivalgono. Ma c’è qui un aspetto
specifico che non può lasciare indifferente la persona che vi si avvicina,
perché è invitata a scavare nell’intimo di se stessa, a chiedersi se è veramente
disposta fino in fondo a dire di sì alla Parola di Dio. Concretamente nella
lettura biblica potremmo dire che sant’Ignazio prende come chiave la vita di
Cristo, ma come svuotamento dei suoi privilegi, delle sue prerogative divine,
per venirci incontro nell’umiltà (per esempio il passo di Fil 2,5-11). Una
chiave di lettura biblica, paolina, specifica e non generica, ma insieme aperta
a tutte le possibili correlazioni che si trovano nel mondo della Bibbia.
Tradizionale e originale insieme, perché non è il tutto, ma un modo di
raggiungere e di toccare il tutto; riconducibile ad altre chiavi e traducibile in
altri termini, purché rimanga così penetrante e tagliente com’è stata voluta in
questa intuizione. Sant’Ignazio vuol portare l’esercitante a questo punto per
disporlo alla scelta, dato che una volta scelta l’umiltà con Cristo umile, il
resto diventa facile…
Qual è l’uso concreto da farsi della Scrittura negli esercizi, secondo
quanto abbiamo detto fin qui? Mi limito a qualche consiglio pratico, non
assoluto, ma orientativo.
Anzitutto non troppa Scrittura. È un errore pensare che più si butta
Scrittura addosso all’esercitante, più gli si dà materiale, più egli acquista. È
importante solo avere una chiave originale e ricca di lettura. Non si può dar
tutto subito e insieme, ma occorre dare delle indicazioni pregnanti, che
aiutano a capire il resto. Null’altro.
Accostare al testo in sé. È quanto dice sant’Ignazio nella seconda
annotazione8: portare a contatto col testo in sé senza digressioni ed eccessive
spiegazioni, commentandolo brevemente, ma con indicazioni precise che lo
valorizzano e lo fanno leggere subito come un testo parlante, come Parola di
Dio per me. È ascesi rinunciare a dire troppo, a commentare troppo, anche se
a volte il pubblico, non essendo disposto, non sapendo meditare e usare il
testo, ha bisogno di più. L’ideale rimane quello di sentire la forza del testo in
sé.
Il terzo consiglio può sembrare strano: più memoria che lettura. Vale a
dire, nel meditare e contemplare la Scrittura, dovremmo fare come gli antichi,
che non avevano la Bibbia a loro disposizione così facilmente come noi, ma
dovevano assimilarne il testo e riflettere. È sempre una tentazione avere un
libro e scorrerlo: ciò che è utilissimo per una catechesi, un’istruzione biblica
generale, non lo è nel momento degli esercizi. L’esercitante deve assimilare il
testo e poi riflettervi con la propria memoria in modo da giungere a quella
povertà ed essenzialità che è importante per incontrarsi con le cose inesorabili
che il testo dice a me, adesso, non con tutti i pensieri che possono essere fatti
a proposito del testo.
Spiegando i vari testi biblici, occorre però che si faccia vedere (e questa è
già un’esegesi esistenziale, oltre che scientifica), di ogni testo, quale è il suo
messaggio per noi, nella linea interpretativa ignaziana, cioè ignaziana e
paolina (Fil 2), il messaggio cioè di distacco e di umiltà a cui questo testo
invita. Questo è il punto a cui bisogna a un certo momento giungere, anche se
non sarà in ogni meditazione, ma scaturirà dal complesso delle meditazioni.
Bisogna far capire che i testi scelti, che sono poi testi fondamentalmente
evangelici, hanno a un certo momento la forza di dirci: che cosa sei disposto
a fare, a lasciare e in che modo vuoi seguire il Cristo umile? Questo è
l’aspetto a cui si deve giungere per non offuscare con molte idee quello che è
il vero messaggio di rinnovamento contenuto negli Esercizi.
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