Donne d’Oriente – Gilbert Sinoué

SINTESI DEL LIBRO:
Abramo non aveva avuto figli, e non sperava d’averne più. Una
notte, Dio gli chiese di uscire dalla sua tenda e gli disse: «Alza gli
occhi al cielo e conta le stelle, se ti riesce di numerarle». E mentre
Abramo immergeva lo sguardo nella volta celeste, udì la voce che gli
diceva: «Tanta sarà la tua posterità».
Sara, la sposa di Abramo, aveva allora settantasei anni, e lui ne
aveva ottantacinque. Ella gli diede la sua serva Agar, un’egiziana,
affinché egli la prendesse come sua seconda moglie. Ma i rapporti
tra serva e padrona s’inasprirono, e Agar fuggì di fronte alla collera
di Sara, implorando Dio nella sua disgrazia.
Il
Signore le inviò allora un angelo con questo messaggio: «Io
moltiplicherò la tua posterità ed essa sarà così numerosa che non
riuscirai a contarla». Poi l’angelo aggiunse: «Ecco, tu sei incinta, e
partorirai un figlio, e gli darai il nome di Ismaele, poiché il Signore ha
udito la tua disperazione».
Allora Agar tornò presso Abramo e Sara riferendo loro le parole
dell’angelo. Giunto il momento del parto, Abramo diede al proprio
figlio il nome di Ismaele, che significa “Dio ascolta”. Quando il
fanciullo giunse all’età di tredici anni, Abramo era nel suo centesimo
anno e Sara ne aveva novanta. Dio parlò ancora una volta ad
Abramo e gli promise che Sara gli avrebbe comunque dato un figlio,
che doveva prendere il nome di Isacco. Temendo che il figlio
maggiore non perdesse per ciò il favore di Dio, Abramo formulò
questa preghiera: «Possa Ismaele vivere di fronte a Te!»
E Dio gli disse: «In favore di Ismaele Io ti ho ascoltato. E vedi, Io
l’ho benedetto… Lo farò crescere e moltiplicare a dismisura. Egli
genererà dodici principi e Io farò di lui una grande nazione. Stabilirò
la mia alleanza con Isacco, che Sara ti partorirà l’anno prossimo in
questo stesso periodo».
Sara diede alla luce Isacco ed ella stessa lo allattò. Quando fu
svezzato, ella disse ad Abramo che Agar e suo figlio non dovevano
restare ancora per molto nella loro casa. Abramo ne fu afflitto perché
egli amava Ismaele, ma Dio gli parlò di nuovo, dicendogli di seguire
il consiglio di Sara e di non rattristarsi, e gli rinnovò la Sua promessa
che Ismaele sarebbe stato benedetto.
Agar e Ismaele vennero mandati in una valle deserta d’Arabia. La
valle si chiamava Bacca. Poco tempo dopo, la madre e il figlio
cominciarono a soffrire la sete al punto che Agar temette per la vita
di Ismaele. Secondo la tradizione riportata dai loro discendenti,
quest’ultimo, adagiato sulla sabbia, mandava i suoi lamenti al Cielo,
mentre sua madre, ritta su una roccia ai piedi di un’altura vicina,
cercava qualcuno che potesse aiutarli. Non scorgendo nessuno,
raggiunse rapidamente un’altra sporgenza rocciosa, ma anche da lì
il
suo sguardo non scorse anima viva. In preda alla disperazione,
ella percorse così sette volte la distanza tra i due monticelli, El-Safa
e El-Marwa, finché, essendosi infine seduta sulla roccia più lontana
per riposare, udì la voce dell’angelo.
«Che c’è, Agar? Non temere, poiché Dio ha udito la voce del
bambino là dove egli si trova. Alzati! Raccogli il bambino e prendilo
per mano, poiché Io farò di lui una grande nazione».
Dio allora le aprì gli occhi, ed ella vide un pozzo d’acqua.
L’acqua era quella di una sorgente che Dio aveva fatto sgorgare
dalla sabbia al tocco del tallone d’Ismaele. In seguito, la valle
divenne presto una tappa per le carovane in ragione dell’eccellenza
e dell’abbondanza di quell’acqua, e il pozzo venne chiamato
Zamzam. A proposito di Ismaele, la Genesi dice: «E Dio fu con il
fanciullo, che crebbe e abitò nel deserto e divenne un tiratore
d’arco». Dopo di ciò si menziona raramente il suo nome, se non per
informare che i due fratelli, Isacco e Ismaele, seppellirono insieme il
proprio padre a Hebron e che, qualche anno dopo, Esaù sposò sua
cugina, che era figlia di Ismaele.
All’epoca in cui Agar e Ismaele raggiungevano la loro
destinazione, Abramo aveva ancora settantacinque anni da vivere, e
rese visita a suo figlio nel luogo santo in cui Agar era stata guidata. Il
Corano ci dice che Dio gli indicò il posto esatto, presso i pozzi di
Zamzam, in cui lui e Ismaele dovevano costruire un santuario, dando
loro istruzioni sul modo esatto in cui costruirlo. Il suo nome è Ka’ba,
ovverosia il cubo. I quattro angoli sono orientati nella direzione dei
quattro punti cardinali. Ma l’oggetto più sacro di questo luogo è una
pietra divina che, si dice, venne data ad Abramo da un angelo che la
portò dalla collina poco distante di Abu Qubays sulla quale era stata
conservata sin dal suo arrivo sulla Terra. «Era discesa dal Paradiso
più bianca del latte, ma i peccati dei figli di Adamo l’avevano
annerita».
Questa pietra nera venne incastonata nell’angolo orientale della
Ka’ba.
Molto tempo dopo, forse quando si trovava a Canaan e stava
contemplando i pascoli e i campi di grano che si stendevano attorno
a lui, Abramo così pregò: «In verità io ho insediato una parte dei miei
discendenti in una valle sterile, presso la Tua Casa benedetta…
Volgi dunque verso di loro il cuore degli uomini e accorda loro frutti
perché se ne sostengano, affinché siano riconoscenti».
Fu così che tutto ebbe inizio.
I secoli trascorsero nella clessidra del tempo, e circa duemila anni
dopo, verso l’anno 570 della nostra era1, alla Mecca, nel luogo in cui
Abramo e i suoi figli avevano incastonato la pietra nera nacque un
bambino, cui venne dato il nome di Maometto, “colui che è lodato”.
Sua madre si chiamava Amena bint Wahb. Suo padre, ‘Abd Allah,
apparteneva alla tribù dei Qoraich. Alcuni raccontano che Amena
non avesse percepito alcun fastidio né peso dalla sua gravidanza, e
che perciò non sapesse nemmeno di essere incinta. Apprese la
notizia in una visione e fu un angelo a suggerirle di chiamare il figlio
Maometto.
‘Abd Allah morì due mesi prima della nascita del figlio, e Amena
quando Maometto aveva sei anni. Orfano sfortunato, il bimbo venne
accolto all’inizio dal nonno, Abd el-Muttalib, presso il quale visse sino
all’età di otto anni e poi da uno zio, agiato mercante, di nome Abu
Talib.
Dapprima pastore, Maometto si rese presto molto utile aiutando lo
zio a servire i clienti in una piccola bottega che questi gestiva alla
Mecca e l’accompagnò durante i suoi viaggi in Siria. Fu proprio nel
corso di uno di quei viaggi che incontrarono un monaco nestoriano di
nome Bahira. All’arrivo dei carovanieri, il monaco andò verso di loro
(cosa che non aveva mai fatto prima), prese la mano di Maometto
(che allora aveva solo nove anni) e disse: «Ecco la guida dei mondi,
ecco il messaggero del Signore dei mondi, colui che Allah ha inviato
clemente alla vista dei mondi».
Abu Talib e i saggi di Qoraich gli chiesero: «Ma tu che ne sai?» Ed
egli rispose: «Le pietre e gli alberi che avete oltrepassato si sono
prosternati, e ciò non può essere stato per niente di meno che per
un Profeta». Poi aggiunse: «L’ho riconosciuto dal sigillo della
profezia, che, come una mela, sta sopra la cartilagine della sua
spalla2».
All’età di venticinque anni Maometto venne assunto da Khadija,
una ricchissima mercantessa due volte vedova, che veniva chiamata
“El-tahera”, la pura. Il giovane, già celebre per la virile bellezza e le
maniere gentili, divenne il suo uomo di fiducia e grazie alle sue virtù
morali e alla sua probità riuscì a guadagnarsi il suo amore. Lei gli
propose di sposarla ed egli accettò, nonostante la donna avesse
quarant’anni e lui venticinque.
Ebbero quattro figlie e tre figli che, purtroppo, morirono in tenera
età. Egli prese allora sotto la sua protezione Alì, il figlio di suo zio
Abu Talib, e adottò Zayd, uno schiavo donatogli da Khadija che
affrancò.
Maometto condusse una vita tranquilla e prospera sino all’età di
quarant’anni, cercando la calma e il silenzio nella caverna di una
montagna vicina dove meditava, dandosi a pratiche ascetiche. Un
giorno, verso l’anno 610 dell’era volgare, ebbe una visione «come il
sorgere dell’alba»: udì una voce e vide, secondo la tradizione,
l’arcangelo Gabriele che gli ordinò: «Leggi!» Maometto rispose:
«Non so leggere» ma l’angelo ripeté il suo comando per tre volte, poi
gli disse: «Leggi, in nome del Signore che ha creato l’uomo da un
grumo di sangue. Leggi, il tuo Signore è il Nobilissimo che per
mezzo del calamo ha insegnato all’uomo ciò che egli non sapeva!»
Dapprima stupito poiché sospettava una trappola di Satana, poco
a poco Maometto si abituò a ricevere quelle parole che in seguito
ripeté ai suoi intimi, e più tardi dettò.
Dopo un silenzio di tre anni, nel 613 l’angelo riapparve e gli affidò
la missione di illuminare tutti i suoi fratelli, esortandoli ad adorare un
solo Dio e a praticare la carità nei confronti delle vedove, dei poveri
e degli orfani. Maometto cominciò il proprio apostolato prima tra i
suoi intimi, tramite i discepoli che chiamò “i mussulmani”, plurale di
Musslim, “coloro che si sottomettono” (ad Allah), e convertì la gente
della sua casa – Khadija fu la prima donna a credere nella
rivelazione – e alcuni amici tra cui Abu Bakr, l’uomo che più gli
sarebbe stato vicino.
Nel 619 morirono uno dopo l’altro i suoi due protettori: lo zio Abu
Talib e la moglie-madre Khadija. Nei venticinque anni in cui era
rimasto unito a Khadija, Maometto non aveva sposato nessun’altra
donna e le era rimasto fedele. Dirà di lei: «Ha creduto in me, quando
tutti mi hanno respinto. Ha aggiunto fede a ciò che io avevo riferito,
mentre tutti mi accusavano di mentire. Mi ha aiutato con i suoi beni,
quando gli altri mi hanno privato dei miei».
La scomparsa della sua sposa lo immerse in una tristezza infinita
e la solitudine cadde su di lui. Allora aveva una cinquantina d’anni,
pensò a risposarsi, ma per tutto quel tempo non aveva vissuto che
per Khadija e nell’adorazione di Dio, di conseguenza sapeva poco o
nulla della reputazione delle donne di Qoraich.
Durante i mesi che seguirono la morte di Khadija, Maometto si
recò con regolarità dal suo caro amico Abu Bakr, del quale diceva:
«Se mi fosse stato permesso di avere per amico intimo qualcun altro
al di fuori di Allah, questi sarebbe stato Abu Bakr. Lui solo è mio
fratello e mio compagno».
Abu Bakr era padre di sei figli: Asma e Abd Allah, nati dal primo
matrimonio, Abd el-Rahman e Aisha dal secondo, Maometto dal
terzo e Om Kulthum nato dall’ultimo. Ma lo sguardo del destino si
era posato su uno solo di essi: Aisha. Aisha significa “colei che è
viva”, ed ella era proprio viva, e lieta, e dotata di straordinaria
memoria.
Mentre esitava nella scelta della futura sposa, Maometto fece uno
strano sogno in cui vide un angelo che portava un corpo avvolto in
un drappo di seta. L’angelo gli disse: «Ecco la tua donna: togli il suo
velo!». Il Profeta aveva sollevato un lembo della seta, e con sua
grande sorpresa aveva visto Aisha. Com’era possibile? La bambina
aveva allora solo sette anni, mentre lui aveva superato i cinquanta.
Inoltre, Abu Bakr l’aveva già promessa a Jubeir, figlio di Mut’im.
Allora, con umiltà, il Profeta pensò: «Se ciò proviene da Dio, Egli
farà in modo che si compia».
Alcune notti dopo, nel sonno, rivide l’angelo che portava il
medesimo fardello avvolto nella seta, e questa volta fu il Profeta a
domandargli: «Fammi vedere!». L’angelo sollevò la stoffa.
Nuovamente apparve Aisha, e il Profeta ripeté a se stesso: «Se ciò
proviene da Dio, Egli farà in modo che si compia».
Non aveva ancora parlato dei suoi sogni a nessuno, nemmeno ad
Abu Bakr, quando ebbe una terza conferma, questa volta indiretta.
Dopo la morte di Khadija, una donna di nome Khawlah, moglie di
Osman ibn Maz’un, si era mostrata molto sollecita verso i diversi
bisogni della famiglia, preoccupata per la solitudine e il dolore in cui
il Profeta era precipitato. Un giorno in cui si trovava in casa, la donna
gli suggerì di prendere un’altra donna. Quando egli le chiese chi
dovesse sposare, ella gli rispose: «Sia Aisha, la figlia di Abu Bakr,
sia Sawdah, la figlia di Zam’ah». Sawdah aveva circa trent’anni ed
era vedova.
Aisha?
Il
Profeta ripensò allora ai sogni che gli avevano mostrato la
bambina e alla frase che ogni volta egli aveva pronunciato: «Se ciò
proviene da Dio, Egli farà in modo che si compia». Pregò dunque
Khawlah di cercare di combinare il matrimonio con le due spose che
ella gli aveva suggerito. Informata per prima, Sawdah gli diede
questa risposta: «Io sono al tuo servizio, Inviato di Dio!». Allora il
Profeta le fece avere un messaggio che diceva: «Chiedi a un uomo
della tua gente di darti in matrimonio». Ella scelse Hatib, suo
cognato, e Hatib la diede in moglie al Profeta.
Qualche tempo dopo Khawlah si diresse alla casa di Abu Bakr per
annunciargli: «Il Messaggero di Dio vorrebbe sposare Aisha». Abu
Bakr chiese: «Gli è ella consentita, dato che è la figlia di suo
fratello?». Il Messaggero gli fece rispondere: «Tu sei mio fratello
nella religione, e tua figlia mi è consentita».
Abu Bakr andò allora a trovare il Profeta e gli disse: «O
Messaggero di Dio, io l’avevo promessa a Jubeir, figlio di Mut’im ibn
‘Adiy. Correttezza vuole che io parli con loro per conoscere la loro
decisione ultima a questo proposito».
Maometto assentì, così Abu Bakr si recò a casa di Mut’im che
trovò in compagnia della moglie, Um Jubeir. Chiese loro: «Quali
sono le vostre intenzioni rispetto ad Aisha?»
Um Jubeir replicò: «Forse tu vorresti farlo entrare nella vostra
religione, se lui sposasse tua figlia». Ella temeva che l’unione di suo
figlio Jubeir con Aisha lo spingesse a convertirsi all’Islam, e si
opponeva categoricamente a quest’idea, dato che lei e il marito
appartenevano ai miscredenti di Qoraich. Abu Bakr chiese loro:
«Che volete dire con ciò?».
Mut’im ibn ‘Adiy prese allora la parola: «Mia moglie ha detto ciò
che hai udito».
Abu Bakr se ne andò, libero dalla sua promessa, e accordò la
mano della figlia al Profeta. Tuttavia, poiché ella aveva solo sette
anni, il Messaggero di Dio la lasciò per qualche tempo a vivere
presso i genitori. Questa fanciulla, scelta così nel fiore degli anni,
sarà la più amata tra le mogli di Maometto. Tutte erano state sposate
una prima volta, ma Aisha, dirà il Profeta, era la sola che fosse
venuta nelle sue braccia vergine, pura e senza macchia.
Secondo un racconto fatto più tardi dalla bambina stessa, ella intuì
per la prima volta che la sua condizione sarebbe cambiata un giorno
in cui stava giocando non lontano da casa. Sua madre le si avvicinò,
la prese per mano e la condusse all’interno dicendole che da quel
momento in poi lei non doveva più uscire a giocare, ma sarebbero
state le sue amiche a doverla raggiungere. Oscuramente Aisha
indovinò la ragione di quel cambiamento nonostante la madre non le
avesse detto subito che era fidanzata: a parte dunque il fatto che
non doveva più giocare in strada, la sua vita continuò come prima.
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