Devil Red – Joe R. Lansdale

SINTESI DEL LIBRO:
A bordo della macchina di Leonard, lungo il marciapiede e sotto
un lampione fracassato, stavamo guardando una casa a circa un
isolato di distanza. La strada era buia, la casa era buia e la casa
vicina era altrettanto buia, mentre alle spalle di tutta quella roba c’era
un campo da baseball abbandonato, con l’erba alta e bruciata dal
sole estivo, ormai secca da un paio di mesi ma ancora intatta, i
festoni ricurvi come lame di spada piegate all’estremità. Un vento
autunnale e pungente spingeva tutt’attorno le foglie secche, e l’aria
fresca entrava con effetto piacevole dai finestrini abbassati. Anche
dietro il campo da baseball c’era un gran buio.
Tutta quella zona non era certo il luogo piú indicato per il
cazzeggio. Si rischiava di farsi ritrovare al mattino dentro un fosso
con la gola tagliata, le tasche vuote e tracce di sperma – o, al limite,
qualcosa di appuntito – dritte su per il culo. Il tipico posto in cui
anche i topi sono di proprietà delle gang.
Fatto sta che eravamo lí. Vittime sacrificali del destino.– Mi sembra d’essere uno spaccagambe a noleggio, – dissi.– Perché, cos’altro sei? – rispose Leonard.– Che situazione del cazzo.– Ha menato una vecchia, Hap. L’ha ripulita ben bene. Sarà
anche una situazione del cazzo, ma di quelle con tanto di cappello e
cravatta.– Cappello e cravatta?– È un modo di dire.– Ma dai.– Va bene, me lo sono inventato io.– Ecco, bravo.– Il fatto è che gli sbirri non hanno mosso un dito.
– Ma se l’hanno fermato per interrogarlo.– Mica cazzi, – disse Leonard. – Solo che era la parola della
signora Johnson contro la sua, e difatti adesso è libero come un
fringuello e se la dorme della grossa in quella casa assieme al suo
amichetto, con tutti i soldi della vecchia.– Però l’amichetto non l’ha menata, – dissi.– Sí, va be’, ma almeno impara a non frequentare la gente
sbagliata.– Perché, io con te cosa faccio?– Ma io sono pieno di fascino, – disse Leonard, scrocchiandosi le
nocche. – Pronto?– Non sono mica sicuro, – risposi.– E che c’è da pensare? Ormai ’sto lavoro l’abbiamo preso.– Ai soldi, intanto. Venticinque dollari, da dividere in due. Tutto
qui? Sul serio?– Da quand’è che stai dietro ai soldi?– Da quando la mia parte è dodici e cinquanta.– Ci ripaghiamo quelle mazze da baseball del cazzo, – disse lui.– Ah, poco ma sicuro. E magari, a festa finita, ci avanza anche
mezzo dollaro.– Di che ti lamenti, allora? Tanto di guadagnato.– Rischiamo di ritrovarci in galera, tanto per dire. Io, te, Marvin e
la signora Johnson, tutti e quattro seduti su una branda a sferruzzare
maglioni con la scritta FESSO sul davanti.
Leonard sospirò, lasciandosi andare contro il sedile col tipico tono
del padre che intende spiegare al figlio perché i brutti voti a scuola ti
fanno andare poco lontano nella vita. – ’Sto coglione non aprirà
bocca. Deve mantenere una reputazione da duro, lui. Secondo te
vuole far sapere in giro che è stato colto di sorpresa e preso a botte
da un biancuzzo spompato e da un bellissimo megafrocio armati di
mazze da baseball?– Reputazione? Ha menato una vecchia, che razza di reputazione
è?– Magari ’sta parte non la fa sapere. Dice soltanto che è un pezzo
grosso di qualche gang eccetera. Magari si crede una leggenda. E
noi siamo qui solo per recuperare i quattrini della signora Johnson.– Cioè dovremmo conciare per le feste qualcuno per la modica
somma di ottantotto dollari?– E spiccioli.– Già, Leonard, vediamo di non scordarcelo. Piú quarantacinque
cent.– Quarantasei. ’Ste cose contano, se devi sfangartela solo con la
pensione. E poi guarda che a noi ce ne vengono in tasca
venticinque, piú la parte che va a Marvin.– Lo sai anche tu che lui non vuole un centesimo, e noi pure, e
che questo mica è un lavoro vero e proprio. Stiamo solo facendo un
piacere a qualcuno, tutti quanti. Marvin alla vecchia, e noi a lui.– Sí, va be’, comunque possiamo sempre far finta, – disse
Leonard. – Almeno ci si diverte. Non ti è mai capitato?
Gli rifilai un’occhiataccia. – E mentre noi giochiamo a far finta, in
quella casa magari c’è gente che fa sul serio. E io sono stufo di
menare le mani e di buscarne a mia volta.– D’accordo, allora. Le meno io. Tu non spacchi nulla, né i mobili
né le ossa di quel tipo. Ci limitiamo a fargli sapere che non ci piace
come s’è comportato, e io lo randello sulle parti molli.– Fai tanto per dire, eh? Tu sí che hai intenzione di spaccare
qualcosa.
Leonard non rispose subito. – Le ha rotto una mano, quindi mi
sembra giusto romperla pure a lui. Ma tu puoi anche tenerti lontano
da questa faccenda, fratello. Basta che te ne stai lí e tieni d’occhio il
suo amico. Quello grosso, Chunk. Mi seccherebbe sentirmelo ficcare
su per il culo.– Sbaglio, o gira voce che questo amico è un vero armadio?
dissi.– Sei piú contento se lo tengo d’occhio io, quel tale, e tu gli
spacchi la mano?– No.– Ma che cazzo, fratello. Ti vuoi decidere? Eh?
Tirai un sospiro. – Spaccagliela tu.– Possiamo andare, allora?
– Va bene. Però, quando saremo dietro le sbarre a Huntsville,
ricordati che quest’idea non mi piaceva.– Adesso me lo segno, – disse Leonard. – Ti darò anche la mia
razione di pane, in galera.– Ripeti un po’ il nome di questo tipo.– E che differenza fa?– Se devo menare qualcuno, preferisco sapere come si chiama.– Quello che ha preso i soldi è Thomas Traney. Il suo amico,
quello grande e grosso, gira sotto il nome di Chunk. Non so altro. E
già lo sapevi anche tu.– Sí, ma non ci stavo poi cosí attento. Mica credevo che lo
facevamo davvero. Tra un po’ ci toccherà torcere il polso a qualche
bambinetto delle elementari per sapere chi ha fregato i soldi della
merenda. O magari possiamo fregarglieli direttamente noi, duri come
siamo.– Hai finito di rompere i coglioni? – disse Leonard, infilandosi un
paio di guanti e porgendone un paio anche a me.
Feci di sí con la testa, li infilai a mia volta, mi sporsi dietro il sedile,
presi le mazze da baseball e ne allungai una a Leonard.
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