Chiave 17 – Marc Raabe

SINTESI DEL LIBRO:
Tom sa che deve togliersi dalla testa quella lettera, sia il disegno
che il contenuto. Almeno per le prossime due ore. Apre la portiera e
lancia la sua Sig Sauer P6 sul sedile del passeggero. Le cinghie
nere della fondina da spalla sbattono sul malconcio rivestimento
beige di pelle.
Abbassa la testa, chinati, entra. Per chi come lui è alto un metro e
novantasei, la maggior parte delle auto ha le dimensioni di un go
kart. La sua Benz Classe S, vecchia di trent’anni, è una delle poche
eccezioni.
Richiude la portiera, è nervoso, ma sentirla sbattere non lo aiuta, né
tantomeno il silenzio nell’abitacolo. I pensieri turbinano nella sua
mente.
Com’è possibile che una cosa così piccola sia in grado di cambiare
tutto nel giro di un istante?
Sono passati venti minuti da quando il telefono ha squillato sul suo
comodino.
«Oh no, per favore», ha mormorato Anne accanto a lui, voltandosi
su un fianco per dargli le spalle. Il materasso king size si è mosso
sotto di loro. Hanno comprato quella mostruosità nella loro fase
romantica ed è soprattutto Anne che ne subisce la scomodità,
quando si ritrova a ballonzolare su e giù perché lui si sta agitando
nel sonno, oppure è rientrato tardi.
Decisamente di malumore, ha preso il secondo cuscino e l’ha usato
per coprirsi l’orecchio. Chiusura ermetica.
Tom ha recuperato il cellulare, il numero sullo schermo era di quelli
che preannunciano da soli di che genere di telefonata si tratta.
L’unica cosa che ancora non sapeva era l’ora e il luogo. Ha risposto,
ma si è limitato a un sussurro.
«Tom Babylon?». Una voce femminile, giovane.
«Hmm», ha brontolato lui. Probabilmente era la nuova pollastrella
dell’ufficio di Hubertus Rainer. Il capo del Settore 11 predilige di
norma brunette dell’età di sua figlia.
La ragazza gli ha spiegato la situazione in fretta, a voce fin troppo
alta, cercando di suonare efficiente. Tom le ha risposto «Sì» e ha
riattaccato, poi ha sfilato dolcemente il cuscino da sotto il braccio di
Anne e si è chinato su di lei.
«Scusa, devo andare. È urgente».
Chissà perché si è preso il disturbo di dirlo. Lei sapeva già come
sarebbe andata a finire quella telefonata, tanto quanto lui non
appena ha visto il numero sullo schermo. Coscienza sporca? In
fondo sa che non ci si comporta così. Le ha sfiorato la guancia con
la punta nel naso, la sua pelle era ancora calda, i suoi capelli biondi
scompigliati, con un profumo diverso dal solito. Forse ha cambiato
shampoo.
«E i Coldplay stasera?» ha mormorato lei.
«Il concerto? Non lo so». Le ha dato un bacio sulla guancia.
«Vediamo».
«Vediamo? Be’, allora è già tutto chiaro», ha detto lei con voce
fredda. In momenti come quello i cinque anni di vita insieme
sembrano cinquanta.
«Ieri sei stata fuori anche tu», le ha risposto Tom.
Un fruscio. Anne ha rimesso al suo posto il cuscino, una barriera tra
di loro.
«Forza, sali sulla tua stupida macchina e va’ a fare quel che devi
fare».
Tom ha brontolato qualcosa, o forse era solo un ringhio. Qualsiasi
cosa fosse, alle sue orecchie è suonato inquietantemente simile al
tono insoddisfatto di suo padre. La prima volta che ha provato un
malumore simile è stata dopo la morte di sua madre. All’epoca
nemmeno la meravigliosa risata infantile della sua sorellina Viola era
in grado di rallegrarlo, e di certo non poteva pensare di farlo “la
nuova”, che è il nome con cui Tom da venticinque anni chiama la
compagna di suo padre. Definirla “matrigna” non era pensabile, era
una parola troppo simile a “madre”.
Dopo essere rimasto per un po’ a fissare il cuscino tra lui e Anne,
ha lasciato perdere. Non avrebbe avuto senso insistere, soprattutto
non in quel momento.
Ancora seminudo, è sceso lungo la fredda scala di acciaio fino al
cucinotto nel seminterrato e ha inserito una capsula nella macchina
del caffè. Mentre l’espresso scendeva nella tazza è rimasto immobile
a fissare le fughe nella parete di mattoni. Niente allenamento,
neanche oggi. Quand’era stata l’ultima volta? Tre settimane prima?
Quattro? Anne aveva già cominciato a punzecchiarlo, diceva che gli
sarebbe venuta la pancia. A poco più di trent’anni!
Ha buttato giù il caffè senza zucchero e in un’unica sorsata, poi se
n’è fatto un altro.
Nel bagno il suo riflesso stanco lo attendeva nello specchio sopra il
lavandino sbeccato. Ha sentito la barba pizzicargli la pelle, l’ultima
volta se l’è fatta dieci giorni fa. Tiene i capelli corti, per evitare la
comparsa dei ricci. Con i riccioli biondi e gli occhi azzurri avrebbe un
aspetto fin troppo angelico, che non si addice molto alla sua
professione.
Per prima cosa si è lanciato dell’acqua fredda sul viso con
entrambe le mani.
Svegliarsi presto è contrario al suo bioritmo: nonostante l’espresso
era ancora stordito. E quindi trovare le chiavi dell’auto è diventata
un’impresa. Ha rivoltato le tasche di tutte le giacche e di tutti i
cappotti appesi nell’armadio, compresi quelli di Anne. Se avessero
avuto dei figli, avrebbe guardato anche nei loro.
Quando ci ha infilato dentro la mano, dalla tasca del cappotto di
Anne è scivolata fuori una piccola busta da lettera, che è caduta sul
pavimento. Lui è rimasto impietrito a fissarla. Qualcuno ci aveva
disegnato sopra con un pennarello nero un cuore trafitto da una
freccia.
Che stupido cliché, è stata la prima cosa che gli è venuta in mente.
Tutto a un tratto non ha sentito più la stanchezza e nella sua testa è
partito un effetto domino. Ogni tessera gli ha fatto un male cane.
Che cosa pensava? Che Anne avrebbe sopportato la sua assenza
per sempre? Che gli sarebbe stato risparmiato quello che aveva già
visto accadere ai suoi colleghi, ai suoi amici?
Nella sua mano la lettera sembrava minuscola quanto una falena.
L’ha aperta con le dita tremanti. Si aspettava di trovarci scritto
qualcosa. Una dichiarazione d’amore. Un numero di telefono, nella
migliore delle ipotesi. Magari non era niente.
Invece dentro c’era una bustina di plastica piena di polvere bianca.
Senza rendersene conto ha trattenuto il respiro. In bocca aveva
ancora il retrogusto amaro dell’espresso.
Era quello che sembrava?
Assurdo, se ne sarebbe accorto.
È tornato di corsa in cucina, ha strappato un foglio da un bloc-notes
e ci ha versato sopra un po’ di polvere. Poi l’ha piegato e se l’è
infilato in tasca. La lettera con il cuore e la freccia l’ha rimessa nella
tasca del cappotto di Anne, poi è uscito dall’appartamento come un
ladro.
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