Giudizio universale  – Gianluigi Nuzzi

SINTESI DEL LIBRO:

La riunione riservata per evitare il baratro
Primavera 2018, una brezza leggera indugia sul colonnato del
Bernini. La giornata è appena iniziata. I fedeli cominciano ad affluire
in piazza San Pietro. Arrivano come sempre composti, gli occhi gonfi
di stupore per l’imponente bellezza del luogo. Poco importa l’effettiva
efficacia delle misure di sicurezza contro possibili attentati di matrice
islamica: una questione delicata, che crea allarmi nella Santa sede,
ma nessuno ne parla. Tra i pellegrini si muovono alcuni cardinali.
Hanno appena varcato Porta Sant’Anna. È martedì 15 maggio, sono
passate da poco le otto e mezzo, i porporati devono partecipare alla
riunione riservata del consiglio per l’Economia, il comitato ristretto
che aiuta il papa nella gestione finanziaria della Chiesa.
Provengono da ogni angolo del mondo. Juan Luis Cipriani Thorne
dal Perù, Daniel DiNardo, presidente della conferenza dei vescovi,
dagli Stati Uniti, Wilfrid Fox Napier dal Sudafrica, Norberto Rivera
Carrera dal Messico. Persino la Cina comunista ha un suo
rappresentante, John Tong Hon, amministratore apostolico della
diocesi di Hong Kong. Con loro, una nutrita pattuglia di europei:
dall’italiano Agostino Vallini al francese Jean-Pierre Ricard, insieme
al coordinatore del consiglio, il tedesco Reinhard Marx, a capo della
diocesi di Monaco che fu un tempo di Ratzinger.
A eccezione di Vallini – curiale doc, elevato cardinale da
Benedetto XVI, pupillo dell’ex segretario di Stato Tarcisio Bertone –,
sono tutti fedelissimi di Bergoglio, scelti uno a uno per sostenerlo
nella missione di risollevare le finanze del Vaticano rispondendo alle
più dure resistenze che all’interno della curia ostacolano la strada
verso la trasparenza. Ma sembra un obiettivo impossibile da
conquistare.
Gli alti prelati raggiungono Sala Bologna, dominata dal grande
tavolo a ferro di cavallo in legno massello. Tutt’intorno, oltre venti
poltrone intarsiate con la comoda seduta in velluto per i vertici di
maggior rilievo. Abbiamo avuto accesso ai documenti più recenti
relativi alla situazione economica del Vaticano. Grazie a fonti
presenti a questa e altre riunioni riservate ci è stato possibile
ricostruire le tensioni e gli scontri tra gli uomini chiave della finanza
d’oltretevere.
Scricchiola il parquet chiodato a scacchiera mentre i cardinali
entrano e prendono posto. Siamo nel cuore pulsante della Santa
sede, alla terza loggia del palazzo apostolico, l’edificio più nobile
dello Stato, oltre mille stanze riservate a chi guida la Chiesa: Sala
Bologna è posta, quasi simbolicamente, a metà corridoio, tra
l’appartamento pontificio, ora disabitato, e gli uffici della segreteria
di Stato.
I porporati indugiano nei saluti. Tra abbracci e strette di mano
s’intrattengono in brevi conciliaboli. Nel frattempo le segretarie
distribuiscono i dossier sui temi da affrontare. Già solo sfogliandoli,
si capisce che quella non sarà una riunione come le precedenti.
Cala il silenzio, tutti gli sguardi convergono sull’ospite che ha
appena varcato la porta. Si tratta di Pietro Parolin, segretario di
Stato, che ha lasciato la sua residenza al primo piano per unirsi ai
fratelli. Il volto tirato del primo collaboratore di Bergoglio esprime
più che mai la delicatezza del momento e conferma la gravità dei
documenti appena consegnati. Soprattutto, mostra quanto questa
riunione sia fondamentale.
Sono le nove quando, con un breve cenno, il cardinale Marx
chiede a tutti di raccogliersi nella tradizionale preghiera, un’orazione
che mai forse è stata più necessaria. Il lavoro che li attende è
tutt’altro che semplice e va condotto con particolare equilibrio. Ne è
ben consapevole il coordinatore, divenuto astro nascente
dell’economia vaticana dopo lo scandalo che ha travolto l’australiano
George Pell, il porporato che nel 2014 Francesco ha nominato
prefetto della segreteria per l’Economia. Era lui l’uomo che doveva
rappresentare il cambiamento nella gestione del denaro, ma è
rimasto colpito dalle accuse di pedofilia, finendo addirittura in
manette, nel febbraio del 2019.
Intorno al tavolo siedono in diciassette, quasi tutti uomini, come
sempre accade in questi incontri al vertice della Chiesa, dove alle
donne sembra bandito l’accesso. Con qualche rara eccezione.
Stavolta in Sala Bologna, oltre ai nove porporati, tra gli otto laici si
muovono tre signore. Anche loro lì, nelle segrete stanze
dell’impenetrabile finanza di questo piccolo Stato che gestisce le
offerte del miliardo e trecento milioni di fedeli sparsi nel mondo.
Certo, figure non sempre con ruoli fondamentali, come la silente
Elisa Fantini e la discreta Paola Monaco, indaffarate al banco della
segreteria, a fianco della poltrona riservata al pontefice.
Vale la pena invece soffermarsi sulla terza signora, che siede
apparentemente in disparte, quasi in penombra. È una donna
minuta ma determinata. Si chiama Claudia Ciocca, capo dell’ufficio
vigilanza e controllo della segreteria per l’Economia. È diventata in
pochi anni la laica più influente nei sacri palazzi, ma è ancora
sconosciuta al grande pubblico. Occhi azzurri, capelli castano chiari
che scendono appena sotto le orecchie incorniciando un volto
asciutto e affilato. Il suo è un modo leggero, quasi invisibile, di porsi
tra i grandi della Chiesa. Oltre a solide esperienze finanziarie,
Claudia Ciocca porta in dote la naturale capacità di interpretare
appieno il senso del potere tipico del Vaticano di oggi, soprattutto del
pontificato di Bergoglio. Ovvero, una spiccata disposizione
all’ascolto, rare e misurate parole, senso della misericordia e
dell’indulgenza per attuare senza indugio le scelte volute dal papa.
Sul tavolo i dossier più riservati, che fotografano lo stato di salute
della Chiesa, o meglio del suo centro nevralgico: il Vaticano. Mai visti
dati più sconfortanti e previsioni tanto disastrose. Crollo delle
entrate, voragini nemmeno quantificabili nel Fondo pensioni e
nell’assistenza sanitaria, lievitazione incontrollata dei costi del
personale, incapacità di valorizzare gli asset, a iniziare dall’immenso
patrimonio immobiliare che rimane ostaggio di logiche clientelari,
assenza di strategia e dispersione negli investimenti in titoli e azioni,
con frequenti perdite di milioni di euro.
La cura Bergoglio ai conti della Santa sede, avviata già
all’indomani dell’insediamento del pontefice, con un’onda d’urto mai
vista, non ha sortito l’effetto sperato. Nel libro Via Crucis (2015) ne
abbiamo tratteggiato l’inizio, con documenti inediti e riservati che
delineavano la situazione finanziaria del Vaticano fino all’inverno del
2013-2014. Allora si poteva ancora fare qualcosa. Oggi siamo in
grado di mostrare dati che documentano in maniera spiazzante il
fallimento di Francesco, vittima di un boicottaggio sistematico. I
report sono innegabili.
Il fronte curiale è riuscito ad arginare il cambiamento difendendo
così i propri privilegi, gli abusi, gli interessi opachi delle cordate che
allignano nei sacri palazzi. La linea del gesuita venuto dalla periferia
del mondo è stata sabotata, i suoi uomini messi in difficoltà,
bersagliati da manovre e congiure. Ogni azione è stata resa inefficace.
La rivoluzione è stata anestetizzata. Quel che più conta è che la
vittima principale di questa guerra non è Bergoglio o il suo
pontificato, ma un simbolo ancor più preminente e fondamentale. La
vittima è infatti la Chiesa stessa, la sua struttura, il suo cuore
pulsante che oltre il colonnato del Bernini anima e coordina il
cattolicesimo nel mondo. La sua vita è davvero in pericolo. Ormai
non c’è più tempo, il precipizio è vicino.

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