Avventure di piccole terre – Cinquantuno isole italiane da leggere e immaginare – Ambrogio Borsani

SINTESI DEL LIBRO:
La principessa Vittoria Colonna di Teano passava l’estate del 1916
sulla piccola isola di San Giovanni, il marito da tempo era impegnato
al fronte tra le montagne del Cadore. Poco distante dall’isola, ospite
dei marchesi Della Valle, Umberto Boccioni lavorava al ritratto di un
amico dei padroni di casa, il musicista Ferruccio Busoni.
E una sera, a un ricevimento mondano dell’aristocrazia locale,
avvenne l’incontro destinato a sconvolgere due vite. Ci fu subito
un’intesa profonda tra Umberto e Vittoria. Il giorno seguente i due
cominciarono a vedersi sull’isola sfidando le insinuazioni
dell’ambiente e la presenza di Onorato, figlio di lei.
Lontano infuriava la guerra, i legami familiari erano diventati fili
sottilissimi agitati da bufere di fuoco. Ogni giorno migliaia di giovani
morivano abbracciati a una roccia pensando di stringere una donna
lontana. E la donna lontana?
La principessa era affascinata dall’artista. In quella fatidica estate
tutto era incerto, tranne l’uomo che il destino aveva portato davanti
ai suoi occhi. Vittoria Colonna era una donna intelligente, sensibile
alle espressioni della cultura e dell’arte. Nei lunghi soggiorni in
Inghilterra aveva frequentato l’aristocrazia internazionale, era stata
corteggiata dall’Aga Khan e persino da re Edoardo VII, oramai
attempato dongiovanni. Aveva poi sposato Leone Caetani, principe
di Teano. Il suo matrimonio però non era dei più riusciti. Il marito
godeva di una certa stima come orientalista, attento studioso di
Maometto e dell’Islam. Ma il Corano non assorbiva tutte le sue
energie. A lui si attribuivano storie amorose piccanti, come quella
con la soubrette Ofelia Fabiani da cui in seguito avrebbe avuto una
figlia. Ora Leone si trovava tra le montagne ai confini con l’Austria,
lontano. E così, dopo qualche indecisione, Vittoria si abbandonò a
Umberto.
Durò pochi giorni la prima ondata di passione. Boccioni dovette
presto lasciare Pallanza e rientrare a Milano per presentarsi in
caserma. Era già stato al fronte come volontario, ma in una lettera
alla signora Bauer aveva scritto della guerra: «Insetti + noia =
eroismo oscuro». Quasi a voler correggere il suo fanatico
interventismo futurista. Lo avevano richiamato proprio ora che
sperava di non continuare l’avventura militare. Soprattutto dopo aver
conosciuto Vittoria. E il 10 luglio le scriveva da Milano: «Voi mi avete
illuminato, mi avete ridato uno scopo, avete messo ordine, infuocato
la speranza, nobilitata la mia ambizione! Se Vi tornerò a dire queste
cose all’Isolino, chi potrà pensar male? Vedo il piccolo porto con i
vasi verdi e i fiori azzurri. Vedo i lumi di Stresa, il Mottarone e le isole
sorelle addormentate. Vedo verde e azzurro! Sono i colori della mia
pittura. Il verde della mia speranza, l’azzurro del mio sogno! Da
quando sono tornato sono un altro uomo. Misteriosa influenza di
un’amicizia armoniosa!»
Prima di partire per il fronte Boccioni riuscì a tornare sul Lago
Maggiore. Questa volta direttamente come ospite di Vittoria
sull’isolino. Fu una specie di addio alla vita. Trascorsero pochi giorni
di pace, di passione, di felicità. Ma il 25 luglio Boccioni era già a
Verona. La guerra chiamava tutti, non si curava di salvare chi poteva
servire meglio la patria con i colori che con le armi. La lontananza da
Vittoria lo incoraggiò a sfondare i toni formali della prudenza. E il 7
agosto, abbandonando il voi, le scriveva: «Oh! Le nostre notti! Il tuo
pallore, il tuo smarrimento, il mio terrore, la nostra infinita comunione
di corpo e di spirito. Divina mia, lo sento che mi vuoi bene».
Nella stessa lettera precisava che lo avevano promosso caporale.
E quasi investito da un tragico presentimento raccontava: «Questa
mattina sono andato a cavallo per la prima volta e ho riscosso le
approvazioni del sottotenente per l’agilità nel salire senza montare
sulla staffa. Si balza sul cavallo alzandosi sulle braccia con una
mano sul collo e una sulla sella. Invece di andare al passo l’ho
messo al trotto. Anche in questo pensavo a te e mi figuravo di
imparare a fare qualche trottata con te. Quando? Amore!»
Non vedendo arrivare posta da qualche giorno, il 16 agosto le
scriveva disperato: «Cosa è accaduto? Non comprendo! Vivo in un
orgasmo che non mi dà pace. Non ho nemmeno la forza di stare a
cavallo».
Il giorno seguente Boccioni montò a cavallo per la “trottata” fatale,
non in compagnia di Vittoria come avrebbe voluto. Un autocarro
rumoroso, il cavallo imbizzarrito, la caduta su una pietra, la fine. Per
un banale incidente il 17 agosto uno dei più grandi artisti del
Novecento morì all’età di trentaquattro anni. Così nella storia della
pittura italiana del Novecento si formò un buco profondo. Quello
stesso giorno le truppe italiane a Gorizia festeggiavano la sesta
battaglia dell’Isonzo. Per guadagnare poche centinaia di metri
avevano perso ventimila uomini. Più uno, che se ne era andato
perché non aveva «nemmeno la forza di stare a cavallo». Negli
occhi di Umberto Boccioni rimase come ultimo sogno il sorriso della
donna amata. Laggiù, nella pace dell’isolino San Giovanni, la notizia
arrivò due giorni dopo: «Il pittore futurista Boccioni muore cadendo
da cavallo», raccontavano i giornali. Qualche anno dopo il principe e
la principessa si separarono.
Le lettere di quell’amore sbocciato e vissuto sul Lago Maggiore
vennero trovate in fondo a un baule molti anni dopo la morte di
Vittoria Colonna, avvenuta nel 1954. Furono poi raccolte e
raccontate da Marella Caracciolo Chia nel libro Una parentesi
luminosa. L’amore segreto tra Umberto Boccioni e Vittoria Colonna.
San Giovanni è una piccola terra di soli quattromila metri quadrati
di fronte a Verbania. Ospita il seicentesco palazzo Borromeo e un
delizioso giardino alberato. L’isola viene considerata parte delle
Borromee, anche se è staccata dalle altre tre, più famose e già
troppo cantate.
Dopo la principessa Vittoria Colonna di Teano, San Giovanni
venne scelta come residenza di riposo da Arturo Toscanini. Il primo
soggiorno avvenne nel 1927, e a periodi alterni rappresentò il suo
buen retiro fino al 1952.
Sull’isola Toscanini cercava pace, ma spesso si sentiva in
trappola. Troppa gente andava a trovarlo, ad assediarlo, e l’unico
suo desiderio era di rimanere solo con Ada, lontana e segreta. Lei,
Ada Mainardi, pianista discendente da una nobile famiglia
bergamasca, rappresentava l’amore dell’età matura. La loro storia
era cominciata che Toscanini aveva sessantasei anni e lei trentasei.
Era durata clandestinamente sette anni. Spesso Toscanini, “recluso”
all’isolino, circondato da visitatori, non riusciva a telefonarle e allora
scriveva lettere infuocate, come quella datata 22 settembre 1937,
spedita da San Giovanni: «Quanto amore – quanta passione mi hai
versato nell’anima Ada mia cara – mia unica – mia santa creatura!
Quante volte ho veduto la tua bella faccia illuminata – trasfigurata (di
giorno – di notte) sotto l’ardente voluttuosa mia carezza! Quanta
esaltazione amorosa ci sospingeva l’uno in braccio all’altro! Ricordi?
L’ultima notte non sapevamo – non volevamo – non potevamo più
staccarci... Eravamo come presi da furore voluttuoso! E dopo?
Come fu dolce assopirci blandamente, stretti l’uno all’altra – e
quanto amaro fu invece strapparci da quella stretta – ché forse
avremmo voluto fonderci entrambi ancora una volta! Sì, amore mio
ho con me tutto di te – come tu hai tutto di me. In quei cari giorni
siamo stati uno dell’altro come mai in passato... Mai i nostri corpi
furono tanto fusi... Mai ci siamo conosciuti così intimamente».
E il 2 novembre dello stesso anno, sempre da San Giovanni,
scriveva: «L’Isolino è popolatissimo – Ieri eravamo in ventiquattro...
Oggi sono partiti gli Horowitz e i Castelbarco – le bambine sono
rimaste. Più tardi partirà Walter con la Cia e il bambino... Anche
Carla va a Milano. Io rimango finché Milano sia risanata dalla
pestilenziale atmosfera Mussoliniana – Poi vi rientrerò, toccandomi
prima le note specifiche del sesso mascolino grande ed
efficacissimo rimedio contro il malocchio, e vi rimarrò fino all’8
inclusivo. Le giornate sono magnifiche – un vero trionfo di sole e di
luci le più suggestive! E mentre gli uomini si dilaniano e tutto il
mondo è sottosopra la fredda e imperturbabile Natura si tace sui
nostri affanni e ride».
L’isolino è tuttora di proprietà della famiglia Borromeo. Isola
privata, inaccessibile, anche se dista solo cinquanta metri dalla riva.
Una barchetta o anche un modesto nuotatore possono girarle
attorno e sbirciare tra i viali del giardino, ma non nelle stanze intime
dove Boccioni era stato tanto felice prima di morire. Chissà quali
altre storie d’amore nasconde San Giovanni. Forse le conosceremo
quando, ogni passione spenta, riaffioreranno le lettere segrete di
amori proibiti. O forse troveremo le mail cancellate, ma rimaste
impresse nell’hardware di un vecchio computer.
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo