Amore, zucchero e cannella – Amy Bratley

SINTESI DEL LIBRO:
Obiettivo: cercate di rendere la vostra casa
un luogo di pace e ordine dove i vostri mariti
possano rinnovarsi nel corpo e nello spirito.
«Mensile della brava casalinga», maggio
1955
Stanotte, mentre io e Simon ci stavamo
baciando, nudi nel nostro nuovo lettone, mi ha
chiamata Hanna.
Il mio nome è Juliet.
Mi sono seduta dritta come un fuso e ho
tirato su il piumino fin sotto il mento. Una
volpe ha guaito nel giardino. Simon si è grattato
l’orecchio.
«Simon», ho detto. «Mi hai appena
chiamato Hanna?».
Hanna è la nostra ex coinquilina, un’amica
dell’università; svedese ed estremamente
attraente. Abbiamo condiviso una villetta a
Greenwich per un anno. Eravamo in questo
appartamento, la nostra prima casa insieme,
dalle 19:00. Esattamente cinque ore e
quattordici minuti.
«No», si è affrettato a rispondere. «Certo
che no».
«Sì, invece», ho detto. «Ti ho sentito
pronunciare il suo nome».
«No», ha detto. «Non l’ho fatto».
«Simon», ho detto. «Mi hai chiamata
Hanna. Ammettilo».
Ha sospirato e cominciato ad accarezzarmi
la coscia, facendo scivolare la mano verso l’alto.
«Stavo solo immaginando noi tre insieme»,
ha detto con calma. «Una fantasia innocua, ecco
tutto. Non è così grave».
I miei occhi erano cerchi perfetti nel buio.
Ho respinto la sua mano, raggiunto
l’interruttore della lampada e acceso la luce.
Simon è rimasto immobile; un cervo smarrito
abbagliato dai fari di una macchina in corsa.
* * *
Avevamo trovato il nostro nuovo
appartamento su «Loot» e ancora prima di
averlo visto ero entusiasta già solo
dell’indirizzo: Lovelace Avenue, Gipsy Hill,
Londra. Come potevamo non essere beati e
felici lì? Immaginavo un edificio vittoriano
maestoso, di quattro piani, a metà di un
tranquillo viale alberato. Il nostro appartamento
era al piano attico, con una vista spettacolare
dello skyline di Londra e lattiginosi tramonti
rosa; il giardino rigoglioso, pieno di rosmarino
profumato, cespugli di more e caprifoglio;
magari anche un pettirosso. Nessun nastro
giallo della polizia a delimitare scene del
crimine, sirene accese o armi sparse sul
marciapiede. Una vera casa con un focolare e
un cuore. I nostri cuori.
«Ju-li-et, ci se-i?», disse Simon, agitandomi
la mano in faccia. «Allora chiamo il
proprietario?».
Stavamo divorando croissant alla mandorla
e bevendo caffè in un accogliente bar a
Greenwich, cerchiando annunci sulla pagina
“Appartamenti in affitto”. Simon portava
occhiali con montatura nera, la barbetta incolta
e una camicia a quadri blu. Aveva grandi guance
e occhi scuri come caverne, ma capelli soffici e
fini. Penna in bocca, studiava «Loot» in modo
serio, concentrato, sembrando più un poeta
parigino che un insegnante di Educazione fisica
di una scuola privata di West London. Mi
piaceva vestito così. (Dovrei dire lo preferivo?).
Di solito indossava vestiti di tessuto
idrorepellente e traspirante, più adatti
all’alpinismo che a un bar. Eravamo una strana
coppia: Simon nel suo pratico abbigliamento
sportivo, sempre pronto a calarsi da una
montagna o a superare un ostacolo, io nel mio
abito da tè a fiori, sandali rossi, e in testa un
cespuglio indisciplinato di riccioli castani.
Simon era molto più bello nudo; sotto quella
viscosa si nascondevano il torace e i quadricipiti
di Ercole. E appena sopra la sua chiappotta
destra aveva una voglia a forma di fragola che
adoravo.
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