Al posto di un altro – Allen Eskens

SINTESI DEL LIBRO:
Il detective Alexander Rupert affrontò la scalinata di marmo consunto che
scendeva nei meandri del municipio e si fermò sull’ultimo gradino per
sciogliere il nodo che gli stringeva lo stomaco. Inspirò l’aria logora dello
scantinato ed espirò, lasciando fluire anche un residuo di frustrazione.
Ogni giorno, ogni volta che intraprendeva quella discesa, gli risultava più
difficile convincersi che quel nuovo asseo, quel trasferimento alla Sezione
Antifrodi gli si adaavano. Indossava il nuovo incarico come un abito
troppo streo, cui giurava che non si sarebbe mai adaato. Si traava di
un minuscolo ostacolo sulla strada della sua carriera, nient’altro. Tuavia,
man mano che le seimane si trasformavano in mesi e le vicende che
avevano innescato il suo allontanamento dalla Narcotici assumevano
sostanza, cominciava a dubitare di poter trovare una via d’uscita da quello
scantinato.
Trasse un altro respiro purificatore mentre svoltava l’angolo e
imboccava il lungo corridoio stantio che conduceva alla Sezione Antifrodi
e Contraffazioni del dipartimento di polizia di Minneapolis, cui era
approdato dopo una rovinosa caduta in disgrazia. Il corridoio, con le pareti
color muschio e il pavimento di piccole piastrelle bianche, gli ricordava il
bagno degli uomini del vecchio Metrodome. Mancavano solo un urinatoio
in acciaio inossidabile e qualche lavandino per farlo sentire a una partita
dei Vikings.
Il trasferimento dalla Narcotici alla Antifrodi era stato definito come
temporaneo, un posto cui approdare fino a quando il polverone si fosse
diradato. Ma Alexander non era uno sciocco. Sapeva che chi manovrava i
giochi voleva lasciarlo lì a languire in aesa che gli ispeori federali lo
esonerassero o lo spedissero in gaabuia. Sapeva anche che quando il gran
giurì avesse stabilito il non luogo a procedere – cosa di cui era certo – il
proscioglimento non lo avrebbe tirato fuori per sempre dal buco in cui era
f
inito.
Sedee all’anonima scrivania di metallo grigio incuneata in un cubicolo
identico a quello che gli era stato assegnato oo anni addietro, quando era
diventato detective. ella prima promozione lo aveva portato alla sezione
Reati Sessuali, un incarico che presentava lati positivi e negativi.
Alexander si divertiva a smascherare i giri di prostituzione, soprauo
quando pubblicava in rete le foto segnaletiche dei clienti, ma l’abuso sui
minori gli dava la nausea.
Una volta, durante un interrogatorio a un tipo che videoregistrava le
sue violenze su una bambina affea da ritardo mentale, Alexander si
protese verso di lui e gli sussurrò: «Devi solo sperare di finire in prigione,
perché, se mai la farai franca, ti verrò a cercare e ti ammazzerò con le mie
mani».
Un incidente che pose fine all’assegnazione di Alexander presso la
sezione Reati Sessuali. In realtà, quel commento non giunse mai
all’orecchio della sua comandante. Per quanto ne sapeva lei, Alexander
aveva fao un gran bel lavoro, togliendo dalla circolazione un delinquente
pervertito. Ma Alexander raccontò l’episodio al fratello maggiore, Max, a
sua volta detective della Omicidi. Fu Max a convincerlo a chiedere il
trasferimento. E così, dopo tre anni alla Reati Sessuali, Alexander passò
alla Narcotici e da lì all’unità operativa antidroga.
Poi venne la caduta dell’unità.
Seduto nel suo cubicolo alla Sezione Antifrodi, Alexander fissò le pile
di rapporti in aesa di un suo intervento. Gli pareva di essere stato spedito
al tavolo dei piccoli, escluso dalla conversazione degli adulti, che gli
sussurravano intorno. Avvertiva le occhiate glaciali degli altri detective
nella stanza – uomini e donne che, quando Alexander si avvicinava, si
separavano come un banco di acciughe sulla roa di uno squalo. Davano
ascolto alle voci senza sapere niente dell’inferno che Alexander aveva
vissuto alla Narcotici. Non sapevano niente delle zone grigie che si devono
araversare quando si lavora in incognito. Non avevano la più pallida idea
dei sacrifici che bisognava affrontare per essere accolti nel novero dei
caivi. Conoscevano ben poco, oltre ai mormorii malevoli che turbinavano
sulla scia lasciata dal suo passaggio.
Nei giorni dell’unità, Alexander si trovò fianco a fianco con individui
che prima o poi avrebbero cercato di farlo fuori. Allestì una delle
operazioni soo copertura più importanti nella storia del Minnesota,
un’operazione che gli procurò la prima – e sola – ferita da arma da fuoco:
un colpo al bacino che gli fraurò l’ilio. Ma quell’arresto gli fece anche
guadagnare una medaglia al valore, con i suoi simpatizzanti, dagli agenti
di pauglia ai senatori, che gli sfilavano davanti congratulandosi per il
notevole lavoro investigativo svolto.
esto prima della caduta dell’unità, prima degli articoli sui giornali,
dell’indagine federale e del gran giurì. Prima del cedimento che lo aveva
fao approdare alla Sezione Antifrodi nel seminterrato del municipio. A
causa della stupidità altrui, si era trasformato in un intoccabile, un
individuo disgustoso cui nessun altro detective si sarebbe degnato di
offrire un caè.
Ormai Alexander Rupert si dirigeva quotidianamente verso il suo
cubicolo della Antifrodi, dove si sedeva a ruminare il suo rancore.
Malediceva i detective dell’unità, marchiati dalla loro stessa idiozia. E
malediceva i detective che lo circondavano e che lo avevano giudicato
senza appello. Dopo tre mesi, faceva ancora fatica a districarsi nel caos di
pensieri ostili che gli ingombrava la testa.
Tuavia, in certo modo, preferiva l’agitazione di quel rancore alla
quiete che celava. Nelle rare occasioni in cui l’amarezza si placava,
avvertiva la solitudine, lo stigma del reieo. Avvertiva la violenza
dell’ostracismo, forte e gelida come un vento invernale. Non aveva mai
sperimentato nulla di altreanto pungente.
2.
Alexander controllò l’orologio. Il primo appuntamento della giornata era
con un avvocato esperto in lesioni personali, un certo Reginal Dogget, già
in ritardo. Percepì in quella rilassatezza una punta di mancanza di
riguardo e cominciò lentamente a detestare quell’individuo. ando
Dogget arrivò, Alexander lo guardò dirigersi verso la sala interrogatori
con l’incedere di chi possiede ogni centimetro del suolo su cui cammina.
Lo riconobbe dalle pubblicità in televisione, l’uomo che si scagliava contro
le compagnie assicurative puntando il dito davanti alla telecamera e
promeendo risarcimenti.
L’usciere lo chiamò per comunicargli che la persona con cui aveva
appuntamento lo aspeava nella sala interrogatori due. Alexander afferrò
un blocco notes e una penna e fece per alzarsi, ma si fermò, tornò a sedere
e temperò la matita, una, due, tre volte, triturando due centimetri di legno
e mina e lasciando Dogget ad aspearlo. ando ritenne che avesse aeso
abbastanza, si avviò verso la sala interrogatori brandendo la matita
appuntita di fresco, con un grano di irritazione a turbargli l’umore.
«Signor Dogget?» lo apostroò.
«In persona» rispose l’altro con un vocione, mentre si alzava per
stringergli la mano. Alexander ricambiò la strea e sedee.
Perse qualche secondo a scribacchiare degli appunti inutili prima di
presentarsi. «Sono il detective Alexander Rupert. Come posso aiutarla?»
Dogget incassò lievemente la testa, come se fosse stato colto di
sorpresa. «Alexander Rupert. Come mai questo nome non mi è nuovo?»
«Non ne ho la più pallida idea». Alexander baé la matita sul blocco.
«Non è lei il detective che ha freddato quell’assassino… quello nella
rimessa?»
Alexander chiuse gli occhi e scosse il capo prima di rispondere. «No. Si
traa di Max Rupert. Io mi chiamo Alexander».
«C’è un legame?»
«Solo di sangue. Ora, tornando a lei…»
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