Tutte le storie sono vere – Paolo Calabrò

SINTESI DEL LIBRO:
Ogni festa ha la sua luce. È anzi proprio dalla luce che si può
dedurre di che tipo di festa si tratti. Dalla posizione di faretti, neon,
piantane, abat-jour, da come tutto ciò venga acceso o spento a
seconda del momento, dai colori, dall’intermittenza, dall’intensità, si
capisce subito, appena entrati, quello che il padrone di casa ha in
mente per la serata. L’illuminazione bassa è di quei party dove c’è
gente che conta e non ha bisogno di mettersi sotto i riflettori per
brillare, anzi, li evita; è la festa chic in cui è d’obbligo il jazz, anche
se tutti lo odiano, e dove stai continuamente a chiederti se
qualunque cosa — un’altra tartina, un secondo bicchiere di
champagne, una risata più robusta e sincera — non sia per caso
fuori luogo. Forte e invadente è invece la luce di una festa dove ciò
che conta è l’apparire, un’occasione per mettersi in mostra come a
una fiera campionaria; molta allegria artefatta, movimento di gente
che gira di stanza in stanza senza sapere che cosa cercare e
gridolini a ogni stappo. Donne fintamente su di giri e uomini con
l’imperativo di sembrare affascinanti.
È proprio una di quelle feste in cui sembra giorno anche di notte.
Lui, appoggiato a un mobile con le gambe accavallate e un braccio
piegato sotto l’altro, sorseggia un long drink dal sapore indecifrabile;
ha passato la mezz’ora precedente a stringere le mani e a ricevere i
complimenti di tutti gli invitati; adesso può starsene in disparte a
osservare il vortice di quelli che affollano la stanza in maniera
tecnica, come se dovesse giudicare la correttezza dei movimenti di
ciascuno. Deformazione professionale: lui è il regista — e lo
sceneggiatore, e l’ideatore — dell’ultima serie di successo della rete
nazionale: La forza del cuore. Che, in poche settimane, ha fatto fuori
la concorrenza e strappato un successo di pubblico superiore alle
aspettative. Perfino dopo quello ottenuto con Gli impeti dell’anima
l’anno prima. Quella festa è per lui: Mike Silvestro. Sarebbe Michele,
ma in certi ambienti uno pseudonimo è d’obbligo; magari non
originale, purché sia all’americana.
Un uomo si avvicina.
«Allora: i sogni si avverano, eh?»
È Franco Zorzi, giornalista che ha meritato la sua fama di
intellettuale imparziale e non in vendita una recensione dopo l’altra.
Basso anziché no, occhiali, capelli corti anonimi e ordinati e un
vestito costoso quanto insignificante di chi ne farebbe a meno se
potesse. Mike glielo riconosce: Zorzi l’ha sempre stroncato, ma con
un’eleganza e un’onestà che non gliel’hanno mai lasciato odiare.
Anzi: spesso, leggendolo, non poteva fare a meno di dargli ragione.
Da quando Mike era arrivato alla regia erano finite le produzioni forti
— quelle con un afflato, una morale, un intento e un messaggio — e
non ne era rimasta che l’impalcatura: il ritmo, il colpo di scena, il
cosiddetto cliffhanger che tiene agganciato lo spettatore da una
puntata all’altra. Mike Silvestro aveva fatto piazza pulita tanto del
conservatorismo quanto del progressismo; della dannazione e della
redenzione, della vendetta e del perdono. Quelle che raccontava —
una serie dopo l’altra, sempre uguali, ma in modo tale che gli
spettatori non se ne accorgessero o, meglio ancora, che finissero
per apprezzarlo — erano storie di gente qualunque che ha un sogno;
e che, alla fine, riesce sempre a realizzarlo. Il sottotitolo di La forza
del cuore era infatti: Chi crede all’incredibile può ottenere
l’impossibile. E non aveva difficoltà a riconoscere che quelle
produzioni, di impossibile, ne avessero un bel po’.
«Per ora mi basta pensare a La forza del cuore. I sogni si
avverano, al momento è solo un progetto…»
«Oh, ma io alludevo al successo di questa stagione — dice Zorzi.
— Un altro grande riscontro, il pubblico la adora. Quand’è che potrà
farlo anche la critica?»
«Io lavoro per il pubblico, mica per la critica» risponde lui, con un
sorrisino. In ossequio alla prima regola non scritta dello spettacolo:
“Mai litigare con i giornalisti”.
«Un modo come un altro di accontentarsi. Potrebbe avere una
donna migliore, più bella, o che in ogni caso le piace di più… e
invece si tiene quella che ha, solo perché è disponibile nei suoi
confronti».
«Accontentarmi? — risponde. — Sembra una cosa un po’
temeraria da dire. Mi fanno fare quello che voglio, mi scrivo da solo
soggetti e sceneggiature senza ingerenze, ho il contratto già
rinnovato per l’anno prossimo e…»
Stava per dire: «Guadagno dieci volte più di te e in autunno,
quando entrerò a far parte della produzione, guadagnerò il triplo». Si
trattiene giusto in tempo. Infila la mano libera in tasca e prende a
toccare il piccolo milleusi che porta sempre con sé; gesto di cui è
consapevole, ma che non riesce a impedirsi.
«Si porta ancora dietro quel coltello?» dice il critico, che conosce
sia l’oggetto, sia la mania.
«È un coltellino» risponde.
«Lo so, lo ha spiegato in più di un’intervista. Le ho già detto che è
vietato?»
«Sì, più di una volta» gli fa eco Mike.
«Ma continua a portarlo appresso».
«Sono tante le cose vietate che facciamo lo stesso. Dico bene?»
Zorzi era stato fermato dalla polizia un paio di mesi prima, gli
avevano trovato più di dieci grammi di coca addosso. La soffiata di
qualcuno che non l’aveva mandata giù, certamente.
«Immagino di sì» fa quello abbassando gli occhi.
«Comunque — riprende Mike — pare che vada tutto per il
meglio, no?»
«Se non le secca girare ogni anno una nuova serie uguale a
quella dell’anno precedente…»
«Ma se una cosa funziona, perché cambiarla? — dice lui con
un’autoironia che spera che l’altro riesca a cogliere. — Insomma, si
guardi intorno: di cosa dovrei lamentarmi?»
«Dell’inautenticità. — Mike detesta i paroloni dei giornalisti: pieni
di filosofia e senza sostanza. — Non sente com’è tutto falso? Anche
la sua ricetta di prendere attori non professionisti non ha niente di
originale: lo facevano i neorealisti settant’anni fa… Lei però non si
definisce un neorealista e, mi perdoni la franchezza, non ottiene
neanche gli stessi risultati».
«Questo dipende dal punto di vista — replica lui. — Se deve
uccidere qualcuno nel sonno, avrà bisogno di un’arma silenziosa:
che so, un laccetto da strangolatore. Per assaltare una fortezza, le
serviranno bombe e carri armati. La rete vuole prodotti di successo e
io glieli do. E la mia idea di prendere gente dalla strada funziona: mi
serve un salumiere? Prendo un salumiere: nessuno conosce quella
parte meglio di lui. Allo stesso modo: mi serve un medico? Prendo
un medico. Gente che recita come vive: il vero che più vero non si
può. E in più lo fa gratis, perché io gli do l’occasione che tutti
vogliono: quella di apparire in televisione. Così facendo, ho
abbassato i costi degli attori dell’85%. E anche la metà di quelli del
casting: molti li recluto personalmente. Io lavoro per la rete: loro mi
affidano una missione, io la porto a termine. Tutto qui».
«Molto Machiavelli — risponde Zorzi — e poco Truffaut».
«Perdoni anche la mia di franchezza — risponde lui: — poi dice
che i critici sono antipatici a tutti. Parlate sempre di cose che non
c’entrano: qui non facciamo cinema, ma televisione. Può sembrare
lo stesso, ma è tutt’altro; c’è sempre un regista, degli attori, una
macchina da presa eccetera eccetera. Ma il lavoro che facciamo è
completamente diverso. Se non si capisce questo…»
«Lo so, lo so — fa l’altro, sollevando appena il bicchiere — anzi:
parlo anche di questo nell’ultimo libro che ho scritto. Ne ho lasciato
una copia per lei al guardaroba».
«Grazie».
Il critico abbassa appena la testa, poi la rialza, con un movimento
che ha una delicatezza d’altri tempi.
«Su una cosa ha veramente ragione: noi critici siamo antipatici a
tutti. Ma non è colpa nostra, è del mestiere che facciamo».
Mike gli accenna un sorriso che vorrebbe essere complice. «Vale
anche per me» vorrebbe rispondere, ma si rende conto che l’altro lo
sa già.
«Leggerò il suo libro con molto interesse. Le farò sapere che
cosa ne penso».
«Spero di no» dice l’altro, sollevando di nuovo il bicchiere. Poi va
via.
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