Skeleton Mask – Sara Frattini

SINTESI DEL LIBRO:
«Signor Hunt, è appena arrivato il nuovo stagista» disse una delle
segretarie che prestavano servizio nella multinazionale “Hunt Inc.”.
L’uomo dai corti capelli scuri perfettamente tagliati e gli occhi color
mogano, guardò la donna che si era affacciata alla porta del suo ufficio.
«Lo faccia entrare» la istruì con il solito tono formale e freddo.
La sua dipendente si limitò ad annuire e sparì chiudendo la porta.
Lican sfilò la giacca appendendola allo schienale della poltrona di pelle e
guardò verso gli schermi ultrapiatti appesi a una parete laterale, accesi
ventiquattr’ore su ventiquattro e sintonizzati costantemente su canali di
economia e news. Infilò entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni scuri
cuciti su misura e poggiò un fianco alla scrivania di massiccio ebano scuro.
La porta si aprì di nuovo ma lui non distolse lo sguardo dagli indici delle
borse asiatiche.
«Si accomodi. Il suo nome» la prima frase non era un invito di cortesia e
la seconda non una domanda: entrambe suonavano molto come un doppio
ordine.
«Ary Palmer.» «Anni» continuò Lican continuando a negargli anche solo
uno sguardo fugace.
«Venticinque. Lei?» A quella domanda l’uomo girò la testa di lato
volgendo lo sguardo duro in due occhi color ambra, sfacciati e ironici.
«Si sente spiritoso?» «E lei educato?» ribatté l’altro per nulla intimorito
dall’uomo che aveva di fronte. In fondo era cresciuto con la massima
preferita di suo padre: “Anche sul trono più alto del mondo, si è pur sempre
seduti sul proprio culo! ”.
Il giovane era rimasto in piedi e ciò contribuì ad accrescere il fastidio di
Lican; era abituato a ricevere obbedienza, mantenere il controllo lo aveva
reso l’uomo che era: ricco, potente e temuto.
«Sa che sarò io a decidere se svolgerà o meno il suo stage qui, signor
Palmer?» «E lei sa che soltanto oggi ho altri quattro colloqui, signor Hunt?»
«Perché continua a rispondere con delle domande? Non dimostra certo di
avere quell’educazione che ha tacciato me di non possedere» si girò del
tutto verso di lui e poggiò entrambe le mani sul piano della scrivania
fissandolo dritto negli occhi.
Ary aprì la bocca per rispondere a tono, ma l’altro lo anticipò.
«Si sieda. Ora.» Il giovane, in un primo momento, sentì un moto di
fastidio per quell’ordine dato con estrema calma, ma in modo perentorio;
per un po’ sostenne lo sguardo dell’altro rimanendo in piedi, poi si avvicinò
a una delle due poltroncine sistemate di fronte alla scrivania e si sedette.
«Cerchiamo di capirci, signor Palmer» riprese a parlare Lican dopo un
discreto momento di silenzio durante il quale aveva studiato l’intera figura
di Ary. «In questa azienda non si gioca. Qui dentro si muovono milioni e
fino all’ultimo impiegato è tenuto a svolgere il proprio dovere a fronte di
uno stipendio ricevuto regolarmente ogni mese» girò intorno alla scrivania
rimettendo le mani nelle tasche dei pantaloni. «Niente ritardi sul lavoro,
niente pacche confidenziali sulla spalla, nessun grazie da parte mia; il mio
grazie è il salario che verso puntuale a ogni mio dipendente, il mio grazie è
la miglior assicurazione sanitaria che viene offerta, il mio grazie sono le
ferie generose che tutti fanno due volte l’anno» andò ad appoggiarsi al
bordo della scrivania e riportò gli occhi scuri in quelli dello stagista. «Se io
dico che una cosa va fatta in un certo modo, esigo che sia fatta in quel
modo. Se viene interpellato parla, altrimenti il silenzio è auspicabile e
gradito.» «Devo chiedere il permesso per andare in bagno?» «Dovrebbe
ascoltare più attentamente, signor Palmer.» «Non sono un suo dipendente,
quindi non vedo perché dovrei tacere» ribatté Ary guardandolo con sfida.
«E se continua così non lo diventerà di certo.» «Oh, ma che disdetta!
Come farò a sopravvivere senza che ci sia lei a dirmi cosa posso o non
posso fare?!» scattò in piedi e lo fissò con occhi di brace. «Vai a farti fottere
Lican, tu e la tua cazzo di assicurazione medica. Ops! Ti ho chiamato per
nome e dato del tu! Mi spetta qualche sculacciata come punizione?» lo
provocò con tono canzonatorio.
Lo sguardo dell’altro s’incupì a causa delle pupille che si dilatarono; si
staccò dalla scrivania e andò ad accostarsi vicinissimo ad Ary, tanto che il
giovane ne percepì prepotentemente il buon odore.
«È possibile» mormorò l’uomo con voce roca facendogli correre un
brivido lungo la schiena; Ary non capì se di terrore o piacere, fatto sta che
deglutì a fatica e quasi si pentì delle parole che aveva esternato.
Lican Hunt era prestante fisicamente e forse provocarlo non era stata
esattamente una buona idea.
«Comincia domani» disse infine sorprendendolo.
«Non ci penso minimamente a lavorare per lei! Ho altri colloqui» rispose
con una sicurezza che in quel momento era ben lungi dal provare.
«Ne dubito» aggiunse l’altro voltandogli le spalle per tornare dietro la
scrivania. «Domani la voglio qui alle otto e trenta. Può andare» concluse
sedendosi sulla propria poltrona e riportando l’attenzione agli schermi.
Ary ristette qualche secondo poi si diresse alla porta e uscì sbattendola di
proposito.
Le labbra di Lican si curvarono lentamente in un sorriso malizioso:
ottimo, aveva appena trovato un cucciolo selvaggio da domare, sarebbe
stata una sfida interessante ed eccitante.
Afferrò il cellulare e chiamò il proprio migliore amico: avvocato
personale e dell’azienda.
Stuart lo raggiunse dopo mezz’ora.
«Ho appena avuto un incontro interessante» disse Lican.
«Con chi?» chiese l’altro sedendosi su una poltroncina di fronte alla
scrivania.
«Il mio nuovo assistente.» L’amico lo guardò arcuando un sopracciglio
rosso ramato, posandogli sul viso gli occhi cerulei.
«Lo stagista che aveva il colloquio?» Lican si limitò ad annuire. «Tu hai
già un’assistente, e risponde al nome di signorina Simon.» gli fece notare
con tono ovvio.
«Da domani la signorina Simon sarà assegnata ad altra mansione.» Stuart
sospirò. «Lican, non sono certo che mi piaccia questa cosa.» «Non deve
piacerti, devi solo fare ciò che ti chiedo.» «Non giocare con me la carta del
despota, lo sai che non funziona. Non dirmi che stai facendo tutto questo
per fare ciò che penso.» L’amico si limitò a guardarlo negli occhi e Stuart
capì senza bisogno di avere una risposta vocale.
«Non penso sia una buona idea. Sei sempre molto accorto, ricordi la
regola? Mai sul lavoro, mai con un dipendente.» «Lui è diverso.» «Non
credo che lo sia abbastanza da mettere a rischio la tua vita privata» insistette
l’avvocato cercando di persuaderlo da quella folle idea.
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