Quando Dio ballava il tango – Laura Pariani

SINTESI DEL LIBRO:
Quella foto appesa in cornice? E' di memàma e mepà, il giorno
dello sposalizio» dice la vecchia Venturina, cercando di trarsi
d'impaccio nel fare gli onori di casa davanti a questa ragazza
straniera e alla sua bambina. «Quand'è che si sono maritati? Doveva
essere nel '91, ché io son la prima figlia, nata l'anno dopo...
Chiaro che parlo del 1892... Memà di nome faceva Adalgisa
Roveda, lui si chiamava Antonio Majna, Togn... E' partito per la
Mèrica quando io avevo sei anni, ma già era stato via un paio di volte
a fare i raccolti stagionali; era tornato nel '97, poi gli è presa non so
quale mattana, per cui un brutto dì in quattro e quattr'otto se n'è
andato via di nuovo per un posto che si chiamava Misiones. Tutti i
cani ménan la coda, tutti i matti dicon la loro, ma nessuno ha saputo
mai spiegare il perché.
«Era nel 1898, e qui si faceva la fame.»
Già così tardi. Il giorno è finito, una bindella di rosso si sfrangia
lontano sopra la brughiera e va scurandosi. Soltanto due mesi fa
Corazón e la sua bambina erano ancora nelle praterie slargate
all'altro capo del mondo; adesso invece il loro orizzonte è qui, in
questa angusta cucina di cardenzóni tarlati, vigilata da scure
fotografie di gente che fu; a respirare l'odore di una casa antica dove
un tempo i piccoli crescevano sotto lo sguardo dei morti.
La bambina si è rincantucciata in un angolo del divano, forse
affaticata dal lungo viaggio, o magari soltanto stranita dalla novità
della situazione o dall'incomprensibilità della lingua della vecchia.
Anche Corazón però fatica a seguire il discorso della Venturina;
deve andare con la memoria a una distanza remotissima: alla parlata
di suo padre, quando gli saltavano i cinque minuti, o alla voce della
bisnonna Catte, a certe cantilene o preghiere che ha ascoltato
quand'aveva l'età che sua figlia Malena ha adesso. Quasi si svegliasse
da un brutto sogno, tenta di prendere coscienza del luogo
sconosciuto in cui si trova; il passato è un territorio ancora più
inaccessibile... Deve aggrapparsi con tutte le forze alle parole della
vecchia che ha di fronte, lasciando che l'immagine di Togn Majna
cominci a delinearsi...
Come deve essersi sentito prigioniero in questa cascina buia, al
suo ritorno dall'America, dopo aver assaggiato l'ampiezza luminosa
degli spazi argentini; spaesato a ascoltare la voce delle figlie quasi
sconosciute che chiacchieravano nella stalla. Si sarà affacciato anche
lui a questa porta, l'aria umida della sera penetrando sotto il soffitto
basso a correggerne l'atmosfera di chiuso, come di roba sporca in
una cassa dimenticata; avrà rabbrividito all'idea dell'inverno
incombente, con le sue nebbie, il ghiacceto delle lunghe notti... Tutto
differente dalla Mèrica, con le sue stagioni alla rinversa; gli saran
rimasti per forza nel naso gli odori dolci di banana e di canna da
zucchero della terra di Misiones.
«Sì, era un uomo strano. Come se non si sentisse bene qui a câ
sua.»
Probabilmente, ogni volta che rientrava dal lavoro la sera, aveva
un momento di spaesamento, da chiedersi: che ci faccio qui, cosa son
tornato a fare. Ma perfino questa domanda sarà suonata stonata, ché
può darsi che certe questioni si pongano soltanto per rendere più
esplicita l'assenza di risposte. E, in fin dei salmi, pensa Corazón, chi
torna dopo un periodo di emigrazione non è mai chi è partito, anche
se continua a chiamarsi con lo stesso nome di prima; ché è solo
questo a mantenersi costante, nient'altro...
«Però, quando gli amici del paese venivano a trovarlo, li
accoglieva volentieri, quasquàsi con un vero respiro di sollievo.»
Sarà stato come se gli aprissero una breccia, la via di fuga, l'uscita
dal labirinto attraverso le chiacchiere di chi piscia in letto e poi dice
che ha sudato; senza allegria né compassione, senza riuscire
nemmeno con la ciucca a arrivare in fondo a sé.
«Venivano i suoi fratelli, i cugini, il Pidrö che poi partì anche lui;
dice il proverbio che gli uomini son come i scirés, le ciliegie: dove ne
va uno, ga 'n van dés... e mepà offriva da bere a tutti, sorrideva,
stendeva le gambe sotto il tavolo.» Noi bambine, sedute in un angolo,
a sogguardare in silenzio, con un certo disagio, gli uomini che
s'inciuccavano.
«Vedi come mi guardano? Non riescono piú a riconoscermi»
diceva mepà rivolto a chi era in visita. Poi, alzando la voce, girandosi
verso noi piscinine: «Cosa ci avete da mirarmi a quel modo,
bambalüghe?» ci sgridava. La più piccola allora si metteva a piangere
e si rifugiava tra le socche di nostramà.
«Perché l'avete fatta piangere? Cosa ce ne può lei? Mica è colpa
sua se non vi ha mai visto e non ci ha confidenza» si risentiva la
mamma e si metteva a cullare la bambina in lagrime per consolarla:
«Citto, fa' la brava...».
Ricordo che qualche volta memà sorrideva malinconica agli ospiti
e si scusava: «Eh, ci vuol tempo per abituarsi...».
Brutti ricordi. Ma queste non son cose da dire a una ragazza che
si vede per la prima volta, anche se forse, non so, sembra una di
quelle persone con cui ci si capisce senza bisogno di parlare.
Probabile che la mia faccia di noce secca le dica già certe cose che
sarebbe meglio tacere; ché oltretutto in casa - prima sotto mepà, poi
senza mepà, poi sotto marito e figli, infine da sola - sono cresciuta
senza parole, soltanto con gli sguardi, ne'... E adesso arriva 'sta
ragazza, spuntando dal nulla insieme alla sua bambina; con l'aria di
una che sa leggere le facce, col silenzio di chi sa di meritare le parole;
ché anche lei ha dentro il dolore di un uomo che se n'è andato.
«C'è in frigo un po' di spuma; non è che la piscinina ne vuole un
po'?»
Una vecchia che ciabatta in una cucina buia; una ragazza con
l'aria stanca sull'orlo di una sedia; una bambina di cinque anni che si
stringe in un cantuccio sul divanetto, come se la penombra di quelle
volte antiche le facesse paura. «Ha soggezione di me?» ha chiesto la
vecchia poco fa, con una smorfia tra la sorpresa e l'imbarazzo, perché
trovava buffa l'idea.
Anche la ragazza ha riso, quasi non sapendo che dire. E' stato
difficile per lei arrivare fin qui, mettersi in cerca prima del paese e
poi della vecchia; e adesso che è arrivata, quasi non sa cosa chiedere.
Si limita a guardare la Venturina in silenzio, come chi ripercorre con
sconcerto un paesaggio d'altri tempi.
Fuma in silenzio, nervosa, sentendo che in questa cucina le
risposte si perdono come in uno spazio vuoto. Uguale che far girare
lentamente la manopola delle stazioni di una radio, ricevendo
frammenti di discorsi in lingue sconosciute, la battuta di una musica,
un brandello di notizia. C'è qualcosa di inquietante sotto queste volte
annerite dal fumo del camino, forse le ombre dei morti si slungano
dalle fotografie incorniciate cercando di parlare.
«Eh, in quella foto-lì mepà fa quasi un sorriso: era il giorno che si
sposava.»
Corazón fissa la stampa, virata in seppia. Come dev'essersi sentito
forte quest'uomo, quasi cent'anni fa, quando l'altro secolo volgeva
alla fine. Così eretto e fiero: deve aver creduto di avere tutta la vita
davanti... Morto dal 1910, ma eternamente giovane in questa
immagine.
«Il più delle volte, però, mepà ci aveva una guardata proprio buia,
da far paura. Rimproverava memà: "Parlate troppo, la mé Dalgìsa",
ché a quel tempo-là tra marito e moglie ci si dava del voi... "Voi, la
mé spusa, in questi cinque anni avete messo-su una lingua!", di
questo l'accusava.» Cosa poteva saperne mepà della sua donna, di
quello che la Dalgìsa aveva dovuto sopportare da sola per anni, a
tirar su tre bambine? Gli uomini son solo loro che gli sembra di
patire: si servono dal fiasco poggiato sul tavolo, mentre la donna e le
figlie se ne vanno in stalla per i soliti lavoréri della sera. Loro liberi di
andarsene per il mondo, ché son solamente le montagne che restano
al loro posto. Le montagne e noi donne; sempre qui a aspettare, a
non chiedere, a non pretendere, a non seccare: o surbì o sciüscià...
Succede così con padri e mariti, e poi la cosa si ripete pure coi figli:
ché a me è toccato il fiele che i miei due maschi, prima il Pippén e poi
il
Costante, se ne sono voluti andare, dicevano che là in Mèrica c'era
un futuro migliore... Parola che odio, "il futuro": una balla
giustificatoria per l'abbandono, la fuga, magari pure il tradimento.
Me le ricordo bene io, dopo che se ne erano partiti, le lettere che
arrivavano ogni due mesi, a chiedere cosa avevo di bisogno, che mi
pensavano sempre, che sarebbero tornati. Belle frasi ma, si sa, nelle
lunghe impromesse ci pisciano i cani... E io allora a rispondere che
tutto andava bene, come avrei potuto parlare dell'artrosi o delle
varici, del fatto che la pensione minima non bastava, che non avevo i
soldi per l'allacciamento col metano, che qui in cascina le serate
d'inverno sono troppo lunghe, che ho paura di finire alla baggìna...
Insomma, lettere per non dir niente, per tacere tremando di
rabbiosa impotenza; perché da che mondo è mondo le donne han
sempre fatto così, l'ho imparato da piccola; perché il mio cuore non
ha più parole.
«Eh, difficile immaginarselo come ci trattava.»
Invece Corazón se lo può figurare benissimo il Togn; per questo
sorride alle parole della vecchia Venturina. Si immagina perfino i
discorsi che il Togn poteva tenere con gli amici. Le medesime storie
che ha sentito dall'altra parte del mare dalla voce degli emigranti di
un tempo, certe sere di sabato della sua infanzia in cui, aspettando
che l'asado fosse pronto, venivano sciorinati grandi racconti
fantastici di viaggio, il cui senso reale le sarebbe stato chiaro solo da
adulta; come: «Tu non sai che razza di sete si prova laggiù nella
pampa. Nella stagione secca ogni cosa è coperta di una polvere fina
fina che ti penetra dentro, negli occhi e nella bocca, ché quando ti
soffi il naso vien fuori sabbia. Certe volte, dopo ore che camminavo
in quell'aria di forno, ho dovuto buttarmi a terra, insieme a quelli che
viaggiavano con me, intorno a una pozzetta di acqua torbida, e poi
stendere il fazzoletto sull'acqua a mo' di filtro per levarmi un po' di
sete... Ah, che vita a quei tempi...».
Così avrà detto anche il Togn, parola per parola; terminando
sicuramente con la frase: «Eh, la nustalgìa è 'na bestia grama».
E allora gli altri a contestargli: «Ma adesso te ne sei tornato a câ
tua e, con licenza parlando, ci hai una sposa che sembra un'oca col
pieno. Cos'è che ti lamenti ancora?».
«Trovava sempre da dire su tutto, niente gli andava bene.
Quando memà gli faceva un rimprovero - ché magari aveva fatto
fuori un fiasco intero con gli amici, e il vino costava, e solo la buona
regola la mantiene il convento - le saltava dietro come un galletto:
"Zitta, sacramegna. Som mì che guadagno la plata... Lo sapete cosa si
dice in Mèrica? Che i dané son fatti per spenderli: uomo senza dané è
'na pianta morta in pé... E poi il padrone in casa mia sono io, voi vi
siete montata la testa a star sola, la mé spusa.
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