Non dirlo – Il Vangelo di Marco – Sandro Veronesi

SINTESI DEL LIBRO:
Se andiamo a vedere gli altri Vangeli, notiamo che anch’essi
cominciano con elementi che rischiarano subito questo mistero:
Matteo comincia con la lunga genealogia che da Abramo, passando
per Davide, arriva per via diretta a Gesù – allo scopo di dimostrare
che la profezia secondo la quale il Messia sarebbe stato un
discendente diretto di Davide era stata rispettata. Parla ai giudei, è
necessario che li informi di questo, altrimenti non lo ascolterebbero
nemmeno. Marco non può farlo, perché il suo uditorio pagano ne
sarebbe terribilmente annoiato: c’era Abramo poi c’era Isacco, poi
Giacobbe, poi Giuda e i suoi fratelli, poi Fares, e Zerah… e i romani
stanno già liberando i leoni.
Luca comincia addirittura con un prologo,12 nel quale ci informa
che sta parlando a “Teofilo”, inteso non come un personaggio
preciso ma, genericamente, come “l’amico di Dio” – il che significa
che si sta rivolgendo a gente già convertita. Il suo scopo è dunque di
confermare all’uditorio cristiano la verità che già possiede,13 e perciò
va avanti con l’Annunciazione della nascita di Giovanni Battista, poi
con l’Annunciazione di quella di Gesù, poi con la nascita di Giovanni,
poi con quella di Gesù, poi con la circoncisione di Gesù, poi con la
sua infanzia… Marco non può farlo, per la stessa ragione per cui
sorvola sull’albero genealogico di Cristo: i leoni.
Il suo è un Vangelo senza presepe – nel significato etimologico
del termine, di stalla, di mangiatoia. È un Vangelo senza Erode,
senza la fuga a Betlemme, senza l’infanzia di Gesù. Marco sa di star
parlando a gente cui tutto questo non interessa, e non ce lo mette.
Gente che forse ha sentito parlare di questi cristiani fanatici, ma che
non sa bene di cosa si tratta.14 Bisogna che la storia attacchi forte. E
siccome questi romani hanno il mito della potenza, del comando, li
sistema subito con la prima scena. Senza inventarsi nulla,
intendiamoci, perché Marco non può inventarsi nulla – al contrario, è
la fonte degli altri Vangeli, il primo solco –, ecco che parte con una
profezia lunga due versetti15 e, subito, una scena di massa.
Se io fossi Quentin Tarantino farei un film, dal Vangelo di Marco,
solo per come attacca.
Lui!
Deserto. Il Giordano. Giovanni il Battezzatore.16 Davanti a
Giovanni: folla. Folla enorme: “tutta la Giudea”, dice Marco, “tutti i
gerosolimitani”, in attesa del battesimo di penitenza. Un’altra
caratteristica di Marco, infatti, è che le spara grosse. Sta parlando ai
romani, non ha paura di alludere a folle di cinquemila, diecimila
persone. Costruisce sempre scene di massa.17 I romani sono
abituati alle scene di massa, hanno le legioni, che sono composte
per l’appunto da cinquemila soldati ognuna. Marco usa la loro
misura.
Deserto, dunque; il Giordano; grande folla; Giovanni il
Battezzatore, definito “il messaggero” da Isaia, e descritto solo da
come è vestito e da cosa mangia: indossa una pelle di cammello e
mangia locuste e miele selvatico. E ci fa un po’ paura uno così, no,
cittadino romano? Incute rispetto, quantomeno. Marco descrive il
perfetto asceta dicendo solo cosa indossa e cosa mangia.18
E immediatamente – siamo al versetto 7 – il segreto di
personalità viene svelato. Abbiamo detto che la trama del Vangelo è
un mistero, il mistero della personalità di Cristo: ebbene, Marco lo
svela subito, perché Giovanni Battista vede Gesù mischiato alla folla– umile, in coda, in attesa d’esser battezzato –, e tuona: “Lui!” Si
rovescia subito il rapporto maestro-allievo perché il Maestro, il
Precursore, dice davanti a tutti: “Viene dopo colui che è più forte di
me. Io non sono degno di piegarmi a sciogliere i legacci dei suoi
sandali.”
Ecco, l’annuncio è fatto, alla prima pagina, subito: quell’uomo lì è
il Messia, il Salvatore. Il Vangelo di Marco comincia con Gesù nel
pieno della forza, e addirittura della sua funzione.19 E se ancora
qualcuno dei presenti in quella scena di massa fosse rimasto
dubbioso, se ancora qualcuno esitasse a credere alle parole
sorprendenti del Battista (“ma come, tutta questa attesa e poi il
Messia arriva qui, proprio oggi, proprio sotto i miei occhi” ecc.), ecco
risuonare Una Voce Dal Cielo, accompagnata da una colomba,
simbolo dello Spirito Santo – cioè proprio l’Arma Nucleare, la
teofania, che si usa molto poco, fra l’altro, in questo testo, solo due
volte – che dice: “Tu sei il figlio mio diletto, in te io ho soddisfazione.”
Più chiaro di così.
Eppure, come abbiamo detto, il Vangelo è la storia del mistero su
chi sia Gesù.
Che strano mistero è dunque questo, che viene svelato alla
prima pagina? Come nei telefilm del tenente Colombo, in cui si
mostra subito chi è l’assassino e tuttavia il pubblico si appassiona lo
stesso – non all’enigma, di cui conosce già la soluzione, ma a
Colombo stesso e al suo modo di procedere verso la verità –,
l’uditore del Vangelo di Marco non deve appassionarsi al mistero,
che per lui non è tale, ma direttamente a Gesù. È il primo livello della
conversione – far amare Cristo come personaggio –, il primo passo.
È utile, dato che siamo all’inizio, perché il romano non liberi i leoni,
ma l’obiettivo del racconto non è certo questa seduzione. In realtà,
come Cristo stesso non si stancherà mai di ripetere nel corso della
sua avventura, non basta dire “io credo”: sarebbe troppo facile.
Bisogna andare molto più in profondità.20 Ma per andare in
profondità bisogna partire dalla superficie. E la superficie, per Marco,
è l’azione.
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