Labirinto – Monica Lombardi


SINTESI DEL LIBRO:
Avevi detto che era sulle North Druid Hills. Le abbiamo passate
da 10 minuti”.
“Mi ero sbagliato. Ma ora ci siamo quasi”.
“Forse era meglio se venivo a prenderti io”.
“Sciocchezze. Tu per me eri di strada”.
“Gira, gira qui!”
“Ho visto!” rispose l’uomo alla guida, rallentando e svoltando a
sinistra.
Da dietro al volante, il sergente McCullough fece partire le
spazzole del tergicristallo per ripulire il vetro dalle minuscole
goccioline di pioggia che stavano cominciando a cadere e guardò il
suo superiore con un mezzo sorriso.
“Uno dei tuoi umori migliori, vedo”.
Mike Summers lo scrutò di sottecchi, senza rispondere.
“Ho capito” insistette l’altro. “Non eri solo, quando ti ho svegliato”.
“Ma tu neanche alle tre di mattina, riesci a farti gli affari tuoi?”
Accostando al marciapiede dietro all’autopattuglia che li aveva
chiamati, Mac proseguì imperterrito.
“Alyssa si incazza come una iena, quando mi chiamano in piena
notte”.
“Come sta?”
Scesero dall’auto.
“Chi, Alyssa? Benone”.
Andarono a passi veloci, il massiccio metro e novanta di
McCullough che sovrastava di una decina di centimetri la figura più
longilinea del suo diretto superiore, verso l’agente in divisa che
veniva loro incontro.
“Tenente Summers. Avete fatto presto”.
“Ci conosci, noi della Omicidi” rispose per lui il sergente. “Always
be prepared
[1]”.
“Chi siamo, i boyscout?” replicò il suo capo, mentre seguivano il
poliziotto lungo gli ampi gradini che portavano all’ingresso della
bianca villetta a due piani.
“Perché, che c’entra? Suona bene anche per noi. Anzi, meglio”.
Varcarono la soglia, lasciando le battute all’esterno, e
assumendo un’espressione seria e professionale. Non si scherza
con la morte. Non quando ti ci trovi faccia a faccia. Non quando
lascia dietro di sé corpi senza vita e sopravvissuti in lacrime.
In questo caso il corpo era sulla moquette della camera da letto,
al piano di sopra, e il sopravvissuto in piedi nel sobrio, ordinato
salotto che si apriva alla sinistra della porta di casa.
“Peter Holson, il marito” sussurrò l’agente ai due nuovi arrivati.
“Ci ha chiamati lui”.
Summers avanzò lentamente verso l’uomo, notando che aveva
gli occhi asciutti e lo sguardo di chi non ricorda più neanche il suo
nome. In altre circostanze gli avrebbe teso la mano, ma non adesso.
E modulò il tono di voce in modo che non risultasse troppo
squillante.
“Signor Holson, sono il tenente Mike Summers, APD Homicide
Unit. Questo è il sergente Sean McCullough”.
L’interpellato
non rispose, guardandoli come se quella
presentazione fosse stata recitata in una lingua a lui sconosciuta.
“Possiamo scambiare due parole con lei?”
Per tutta risposta, l’uomo indicò un corto divano di pelle chiara,
ma rimase in piedi, e i due poliziotti fecero altrettanto.
“Ci può raccontare che cos’è successo?”
“Ero a Savannah per lavoro. Da ieri mattina. Ho chiamato
Glenda… mia moglie… subito dopo cena, saranno state le otto e
mezzo, più o meno”.
“Qui sul telefono di casa?”
“Sì. Volevo avvisarla che stavo per partire”. Trasse un respiro
profondo. “Mi ha detto che mi avrebbe aspettato sveglia”.
“A che ora è rientrato?”
Di nuovo, sembrò non aver sentito.
“Signor Holson?”
“L’una e un quarto, più o meno. Sì, ricordo di aver guardato
l’orologio dell’auto quando ho svoltato nella nostra via”.
“Ha notato qualcosa di strano? La porta? Qualche finestra
aperta?”
“Sono entrato dal garage”.
“E…”
“Ho visto che di sopra c’era ancora la luce accesa, qui,
dall’ingresso. Ho pensato che… stesse leggendo, a letto”. L’uomo si
passò la mano sulla fronte, con uno scatto nervoso, come se non
avesse il pieno controllo della muscolatura. “Mi sono fatto sentire. Le
ho detto che ero tornato”.
“E’ salito subito?”
“Il tempo di togliermi la giacca e le scarpe”.
“Un minuto? Cinque minuti?” lo esortò Summers.
Quelli erano dettagli che doveva chiedere subito. Perché con il
passare delle ore e dei giorni, si sarebbero sbiaditi nella memoria.
Holson scosse la testa, stringendo gli occhi.
“Un paio di minuti, credo”.
“E sua moglie era…”
“Riversa sulla moquette, in camera da letto”.
Strinse la mano in un pugno e se lo premette contro la bocca.
Poteva avere cinquant’anni, di corporatura robusta ma non flaccida. I
capelli brizzolati e il naso diritto gli davano un aspetto piuttosto
distinto. Faceva impressione, vederlo sotto shock.
“Che cosa ha fatto?”
Gli occhi azzurro chiaro si levarono verso il tenente dal punto al
centro del tappeto sul quale si erano fissati.
“Ho chiamato…”
“No, intendo proprio che cosa ha fatto, esattamente, prima di
chiamarci”.
“Credo… mi sono inginocchiato accanto a lei. Chiamando il suo
nome. Tante volte. Ho pensato che si fosse sentita male”.
“L’ha toccata?”
“Sì”. Stava chiaramente rivedendo la scena, nella sua mente.
“Sì”.
“Dove?”
“Le spalle, per girarla. Ma quando ho visto la sua faccia…”
Si lasciò cadere sulla poltrona lì accanto, come incapace di
reggersi oltre. Il tronco leggermente piegato in avanti, di nuovo
premette la mano forte contro la fronte, nascondendo anche gli
occhi.
Mike pensò che per il momento poteva bastare. In fondo,
avrebbe dovuto semplicemente salire un piano di scale per
constatare che cosa nella, o sulla, faccia della moglie l’aveva così
sconvolto.
Sarebbe tornato a parlargli più tardi.
Si alzò e Mac lo imitò. Tornati nell’ingresso, il loro sguardo fu
attirato da due figure sulla porta, ferme a parlare con l’agente che li
aveva accolti.
Fu la donna a notarli per prima.
“Eccovi”.
“Ciao Cyn” la salutò Mike. “Stavamo salendo”.
“Ci uniamo a voi” rispose Cynthia Rhodes, una delle due donne
nello staff del medico legale della contea, Karl Van Eyck. Il fisico
sottile, quasi da ragazzo, e i corti capelli neri che sparavano da tutte
le parti la facevano apparire ancora più giovane di quanto in effetti
non fosse. Dietro di lei torreggiava l’alta figura di Chris Evans, della
polizia scientifica, avvolto nella tuta bianca che contrastava con la
pelle nera.
I
due nuovi arrivati avevano già indossato i calzari. Ne porsero
due paia anche ai colleghi della Homicide Unit, e si avviarono tutti e
quattro insieme verso l’unica rampa circolare di scale che conduceva
al piano superiore.
“Com’è che medicina legale e scientifica arrivano sempre in
coppia?” volle sapere Mac.
“Anche noi siamo arrivati in coppia” gli fece notare Mike.
“Ma loro non lo sanno… non lo sapevano. E poi, a noi succede di
rado”.
“E visto il modo come hai guidato fin qui, succederà sempre
meno spesso”.
Chris ridacchiò.
Si fermarono nell’ampio corridoio per infilarsi i guanti.
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