La moglie perfetta – Roberto Costantini

SINTESI DEL LIBRO:
L’architetto Aimone è un po’
nervoso.
«Il pm è quella stronza della
Benigni. Dovemo levassela dai
cojoni.»
L’avvocato Greppi la butta sul
ridere.
«Seconno me è comunista e
juventina, tifa pure a quei ladri
che ce vonno rubbà lo scudetto.
Ma nun la potemo mica
ammazzà!»
Guardo fuori dalla vetrata,
verso la piscina olimpionica
della mia villa sull’Appia Antica.
È una domenica mattina
spazzata dallo scirocco, troppo
calda per la fine di aprile. Mio
figlio di tre anni gira lì fuori sul
triciclo intorno alla piscina e
quello di otto scorrazza sul
prato in sella alla motoretta, tra
la Ferrari nera e il Land Rover,
sotto gli occhi della colf
filippina. Poi fa la gincana
intorno al fratello sul triciclo
sfiorando il bordo della piscina.
Il ragazzino è coraggioso, un
po’ incosciente, come me da
piccolo. Non rispondo
all’architetto e all’avvocato,
come se non avessi sentito. È
per questo che mi chiamano
Sordomuto. E non mi piacciono
molto, né l’architetto di sinistra
né l’avvocato di destra.
Che poi oggi so’ tutte
cazzate, nun ce stanno più né
destra né sinistra. So’ passati i
bei tempi in cui ce credevo.
Oggi c’è solo chi ce sa fa’ e chi
se la pija ner culo.
Aimone s’accende la pipa. Si
dà arie da intellettuale,
l’architetto, perché ha una
laurea comprata ricattando un
preside cocainomane. Che
sniffa la mia roba. Veste pure
ricercato, peccato per l’accento.
Ma grazie a quella laurea siede
in molte commissioni d’appalto
di opere pubbliche.
«Avvocato mio» dice
l’architetto, «dico per dire, sto a
scherzà. Nessuno ammazza
nessuno, tanto meno un
magistrato. Ma questa gara la
dovemo vince. Al giudizio
tecnico ce penso io. Ma l’offerta
è da presentà ’sta settimana. E
Caruso ce fa un culo così. Che
dite?»
L’avvocato Vito Greppi
annuisce.
«La ditta di Caruso fa prezzi
troppo bassi, quello stronzo usa
i negri che costano poco e non
paga tangenti a nessuno. Per
batterla non c’esce un soldo di
profitto.»
E Aimone insiste ancora.
«A’ Se’, lo dovemo fa’.
L’amico nostro ce l’ha chiesto, e
mica come favore. Così pijamo
du’ piccioni co’ ’na fava sola.
Famo un favore a lui e famo un
favore a noi.»
Non mi piace ’sta storia. E
poi mentre sto a guardà li
regazzini mia. Una cosa era
mettere una bomba in un
cestino di una piazza o su un
treno, chi cazzo li conosceva
quelli che ce lasciavano la
pelle? Altra cosa è far
ammazzare una persona ben
precisa, e neanche un nemico,
un’innocente. La figlia di uno
che conosco da anni, con cui
sono stato in società. Ma
Caruso è sempre stato testardo,
troppo. E ’sta cosa ce l’ha
chiesta l’Americano, quello c’ha
amici, in Sicilia e in America,
con cui non dovemo litigà.
Mi giro, guardo Greppi.
«Fallo fa’ stasera, Vito. Usa
ggente che nun c’ha a che ffa’
co’ nnoi.»
«Ne ho già parlato cor
Puncicone. Lui la conosce de
vista e c’ha l’amici adatti.»
Gianni Tozzi, il ragazzo coi
capelli rasati e quei cazzo de
tatuaggi. Lo chiamano
Puncicone nella curva nord
della Lazio, fuori dallo stadio è
uno bravo a bucà gli ultras
avversari. Lo presi a lavorà nei
miei cantieri solo perché è il
nipote del direttore di banca
che mi fa meno problemi sul
giro dei contanti. Ma in due
anni er Puncicone è migliorato.
Da ragazzone capace di
sbudellare un cristiano per uno
sguardo di troppo in discoteca o
fuori dall’Olimpico si è
trasformato in un efficiente
esattore delle rate dei prestiti a
usura e dei pizzi dei
commercianti.
«Va bene, ma er Puncicone è
dei nostri. Dilli d’usà ’n amico
suo, nun lo deve fa’ lui.»
«Certo, Se’, tranquillo.»
«Ora ve saluto, devo annà a
messa co’ mi moje e i
regazzini.»
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