La danza delle falene – Brian Freeman

SINTESI DEL LIBRO:
«Madre di Dio» gemette la poliziotta al volante. Era una recluta. Robu-sta,
con le dita tozze. Da sotto i capelli neri tagliati alla maschietta il sudore le
colava sulle guance. Il vento sollevò le ruote anteriori del veicolo, e un
diluvio d'acqua si abbatté contro il parabrezza. La donna non vide più nulla e
fece l'unica cosa possibile: frenare.
L'auto sbandò sull'asfalto scivoloso.
«Dobbiamo proseguire» le disse il collega.
«Sei scemo? Il tornado ha cambiato direzione, testa di cazzo. Ci sta venendo
addosso.»
Erano fermi un po' di traverso sulla statale, circondati da campi e fattorie
deserte. Tutti i residenti erano stati evacuati a nord, abbandonando le case al
vento e all'acqua.
«Siamo a quaranta chilometri da Holman» disse l'altro poliziotto, con una
voce raschiante come polvere di pietra. «Bisogna sbattere dentro questo sacco
di merda. Ripartiamo.»
L'auto fu investita da una salva di detriti: sassi, rami d'albero grossi co
me una coscia, tegole, uccelli morti.
«No. Dobbiamo metterci al coperto.»
«Stare al coperto non farà nessuna differenza» rispose l'uomo. I detenuti lo
chiamavano Off, a causa dell'odore dolciastro di repellente per zanzare che si
portava sempre addosso. Quella era la sua unica dolcezza. Era basso e
magrolino, ma era una bestia. Portava stivali con la punta d'acciaio e li usava
per spaccare gli stinchi.
«Poco fa ho visto una fattoria» disse la donna al volante. «Io torno indietro.»
Si voltò per fare retromarcia. Il prigioniero la fissò negli occhi pieni di un
panico animale. Era pietrificata dalla paura, letteralmente sul punto di farsela
addosso. L'odore di quella paura svegliò qualcosa in lui.
L'asfalto fu sostituito dalla ghiaia, e la poliziotta si fermò.
«La vedo!» disse, mentre un lampo illuminava una fattoria malandata.
Off indicò il detenuto sul sedile posteriore. «E lui?»
«Non possiamo lasciarlo sotto questa tempesta.»
«Vuoi farlo uscire dalla gabbia? Non ci penso neanche!»
Il prigioniero poggiò il viso contro la griglia. «Lasciatemi pure qui. Per
quello che me ne frega.»
Morire era meglio che tornare nel carcere di Holman.
Per settimane aveva pregustato quel viaggio a Tuscaloosa, per sentire di
nuovo l'odore marcio del fiume Black Warrior e guardare le ragazze per
strada. Non potevano offrirgli nulla in cambio della sua testimonianza. Era un
ergastolano. Desiderava solo sentire il sapore della città, la vibrazione delle
strade. Un boccone di quella vita che gli era stata rubata dieci anni prima.
Dieci anni prima. Ricordava quella troia che lo fissava dal fondo dell'au-la,
quando era stato condannato. Lo aveva rintracciato e denunciato alla polizia
dell'Alabama, e lui si era beccato la prigione a vita per aver fatto fuori uno
stronzetto che meritava di morire, perché faceva la cresta sulla merce.
Avrebbe tanto voluto cancellarle quel sorriso soddisfatto dalla faccia, prima
di finire chiuso dietro le sbarre.
Dopo aver assaporato l'aria libera, il ritorno era ancora più brutto. I pochi
minuti trascorsi in tribunale, in giacca e cravatta, senza manette e ferri alle
caviglie, erano stati una fregatura. Come l'ultima bistecca prima dell'iniezione
letale. Adesso gli anni a venire, in una cella affollata e puzzolen-te, gli
sembravano insopportabili. Essere ucciso dalla tempesta sarebbe stata una
benedizione.
«Dove cazzo potrebbe scappare?» gridò la donna. «Muoviti, dobbiamo
lasciare l'auto ora! »
Off bestemmiò e aprì la portiera. Il vento gliela strappò di mano, facendo
gemere il metallo. La tempesta ruggiva come un treno. Off estrasse la pistola
e la puntò alla testa del prigioniero. «Prova a fare uno scherzo qualsiasi e sei
morto» gridò. Poi aprì il portello posteriore.
Nel tentativo di scendere, il detenuto inciampò nelle catene e cadde a terra.
Sputò fango, e sentì la mano di Off che lo tirava su per il colletto della
camicia.
«Muoviamoci!» gridò la donna, agitando la radio d'emergenza che aveva
preso dal bagagliaio.
Il prigioniero si avviò a passettini, sotto la pioggia che gli frustava la faccia. Il
vialetto d'ingresso della casa era un fiume in piena. Ogni volta che
inciampava, la canna della pistola lo spingeva avanti. Arrivarono sotto il
portico, ma la porta era sbarrata da lastre di multistrato inchiodate agli stipiti.
La donna posò a terra la radio e artigliò le tavole, ferendosi le dita nel
tentativo di strapparle via.
Il prigioniero immaginò di provare a fuggire nella tempesta. Quanta strada
avrebbe fatto?
Off gli lesse nel pensiero. «Vuoi scappare?» disse, puntandogli di nuovo la
pistola alla nuca. «Va' pure. Mi risparmerai...»
Si interruppe di colpo. Il detenuto si voltò a guardarlo, gli occhi stretti contro
la pioggia, e scoprì che non aveva più la testa. Un cartello stradale giallo
l'aveva decapitato, prima di andare a inchiodarsi sulla parete di legno della
casa. La testa rotolò via come un pallone da calcio, e scomparve nel vento.
La donna urlò. Fu un grido terribile, di terrore primordiale. Il corpo di Off
crollò a terra, rovesciando sangue sui gradini di legno. Il prigioniero si lanciò
sulla pistola, ma la donna riuscì a precederlo, con una velocità note-vole per
la sua stazza. Gli diede un calcio e raccolse la pistola di Off, infi-landosela
nella cintura ed estraendo la propria. Poi, senza perdere d'occhio l'uomo
ammanettato steso nel fango, si chinò in avanti e vomitò sul cadavere del
collega.
«Alzati!» gridò, pulendosi la bocca.
Riuscì ad aprire la porta della casa e, con la canna della pistola, gli fece cenno
di precederla. Lui finse di zoppicare. La casa tremava in tutta la sua struttura
e le assi del pavimento sembravano sul punto di schiodarsi. Dentro era buio, e
la donna accese la radio, che disponeva anche di un segnale
luminoso d'emergenza. Ogni due secondi la stanza era inondata di luce rossa.
«In cantina» ordinò lei, indicando una porta aperta.
«Devi liberarmi.»
«Non pensarci neanche.»
«Non posso fare le scale con queste catene» insisté lui, cercando di
nascondere il suo desiderio. "Fallo, fallo, fallo!"
«No.»
«Mi romperò l'osso del collo, stupida troia. Al buio non ci vedo.»
«Muoviti!»
«Sparami, se vuoi, ma conciato così non vado da nessuna parte.»
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