La cartomante di Fellini – Marina Ceratto Boratto

SINTESI DEL LIBRO:
Negli anni Sessanta Roma era popolata da talenti. Se ti sedevi da
Rosati in piazza del Popolo incontravi i più famosi registi e
sceneggiatori italiani, da Ennio Flaiano a scrittori come Alberto
Moravia ed Elsa Morante, potevi conoscerli tutti, tranne forse il più
aristocratico: Luchino Visconti.
Ma primo fra tutti potevi incontrare proprio lui: Federico Fellini.
Roma era una pentola in ebollizione, un laboratorio di artisti geniali
che sarebbe durato fino alla sua morte nel 1993, subito seguita da
quella dell’attore italiano più amato e famoso nel mondo, Marcello
Mastroianni.
Ma a sedici anni ero troppo giovane per andare a mangiare un
gelato e sedermi da Rosati.
Frequentavo la scuola cattolica più severa di Roma, l’Istituto
Cabrini. Eppure quel giorno in cui incontrai per la prima volta
Federico Fellini, soprannominato anni dopo, dal suo massaggiatore
Ettore Bevilacqua, Il Faro, successe un miracolo.
Mia madre, l’attrice Caterina Boratto, chiese alla Madre Superiora,
suor Agostina, il permesso per farmi uscire un’ora prima dalla scuola
per raggiungerla in taxi fino all’Eur dove giravano 8½, le cui riprese
si protrassero dal 9 maggio 1962 fino a metà ottobre.
Desiderava conoscessi chi l’aveva riscoperta e tolta da un lungo
oblio cinematografico, Federico Fellini e soprattutto Piero Gherardi
che l’aveva stupendamente vestita con abiti anni Venti per quello
che sarebbe diventato il capolavoro di Fellini.
Caterina era letteralmente pazza di gioia quando parlava di loro. A
ogni scena girata era un brivido, un’emozione indescrivibile.
«Marina, devi vederlo girare. Dicono che Federico diriga i suoi film
in modo diverso da tutti gli altri registi, e io stessa mi emoziono a
ogni scena.»
Fellini e Gherardi erano a quel tempo una persona sola, vivevano
in simbiosi e il loro profondo affetto trapelava a ogni passo. Per La
dolce vita Piero gli aveva ricostruito un tratto di via Veneto nel Teatro
5 di Cinecittà, un genio! Vero art director, era celebre per la pulizia
grafica, la nitidezza del tratto.
Testardo e deciso, intenso e contradditorio, del segno dello
Scorpione, fu il primo grande interprete dell’impressionismo
minimalista del cinema italiano degli anni Sessanta. Architetto,
scenografo, costumista si era formato alla scuola di Gastone Medin
(scenografo di Vittorio De Sica, e di altri registi degli anni Trenta) e di
Gino Carlo Sensani. Adorava le invenzioni figurative di Klimt.
Fellini l’aveva incontrato nel 1948 sul set di Senza pietà di
Lattuada.
Tornando a casa da scuola mi resi conto che avevo un solo vestito
degno dell’occasione, verde smeraldo. Dentro quell’abito non mi
sentivo più una sperduta giovinetta e il colore si abbinava bene ai
miei capelli castani. Mamma me l’aveva fatto cucire dalla sua sarta.
Avevamo pochi soldi e conducevamo una vita fatta di molte rinunce,
ma indossandolo mi sentivo ricca e padrona di me.
Infatti al Cabrini dovevamo sempre indossare una divisa nera un
po’ funerea.
Un amico di papà, forse il più bell’uomo che abbia mai visto, Dadi
Bergamo, campione di golf, mi voleva venire a prendere a scuola, e
ogni volta mi schermivo, dicendogli che non potevo mentire alle
suore, non era il caso di presentarlo come uno zio. In realtà mi
vergognavo che mi vedesse con quella divisa.
Pregavo molto, non ambivo a nulla, mi pareva di non avere
nessuna vera vocazione.
L’incontro fortuito fra mamma e Fellini all’uscita della Standa di via
Frattina, dalle parti del Corso, aveva prodotto un vero e proprio
prodigio: dopo quindici anni in cui era stata lontana dagli schermi,
per essere una moglie e madre altoborghese, la Boratto tornava a
recitare con il regista de La dolce vita, interpretando la Signora
Misteriosa in 8½, un personaggio inventato lì per lì dal regista, la
sera stessa che l’aveva rincontrata, rimanendone fulminato. Il
problema era che nostro padre non ne sapeva nulla ed era
gelosissimo.
Mamma e Fellini si erano incrociati fortunosamente per strada, lei
quarantaseienne, ancora molto bella e resa ancor più fascinosa da
un gran cappello, lui molto cambiato rispetto al ragazzo magrissimo,
alto e con una fluente chioma, che con Aldo Fabrizi aveva scritto la
sceneggiatura di Campo dei fiori (1944) di cui Caterina era stata
l’interprete principale insieme ad Anna Magnani.
«Bella signora, quanti pacchi, pacchetti, pacchettini! Posso
aiutarla?»
«Oh non è niente di che, ho comprato un bustino per mia madre,
un pentolino, una cerniera lampo…» Cominciò a elencare ogni cosa,
facendo sorridere il regista e al tempo stesso incantandolo.
«Ma, ma… non mi riconosce? Mi guardi meglio!»
«Sì, ecco, no… mi sembra… mi sembra di ricordare vagamente,
non vorrei sbagliare… lei… tu… forse… sei per caso… Federico
Fellini?»
Caterina era appena tornata a Roma dopo molti anni, sognava di
riprendere a recitare, e, come una ragazza, era ancora piena di
desideri e sogni irrealizzati. La sua carriera cinematografica, nata
alla fine degli anni Trenta, si era infatti interrotta dopo il romantico
matrimonio con un ingegnere torinese, intelligente e affascinante,
ma geloso come un siciliano.
Sospirava raccontando con ironia: «Sarà che mio marito
casualmente è nato ad Asmara, molto più a sud di Palermo!»
Prima o poi, però, doveva capitare questo evento propizio, grazie
a quell’aria dolcissima e malandrina che soffia solo a Roma. Notti
stellate trapunte di zaffiri e seta, la primavera si imperlava ed
esplodevano i fiori di ciliegi selvatici di via Ammannati dove
abitavamo dopo che papà e mamma si erano separati. Un grande
astrologo torinese, lo stesso di Adriano Olivetti, Segato, aveva
interrogato l’oracolo in tempi non sospetti: era scritto che Caterina,
malgrado due figli e un marito possessivo, avrebbe ripreso a
recitare. E tornando a Roma avrebbe riconquistato il proprio posto
nell’ordine misterioso che occupiamo nella Costellazione della Vita.
L’opportunità gliela garantiva l’ascendente Leone, lei era dei Pesci e,
parlando di se stessa, diceva sempre: «Sono solo una povera
pesciolina».
Ed ora sia gli astri dei Pesci che quelli del Leone parevano
sfavillare alti nel cielo come non mai, leggeva nel suo oroscopo
l’astrologa e amica carissima Lucia Alberti.
«Davvero avrò ancora un po’ di successo? Ma se nessuno pensa
a me e a Roma non conosco nessuno…» chiedeva mamma,
parafrasando un famoso libro di Giuseppe Berto.
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo