Jail Guard Storia di un uomo e del suo destino – Christie Lacetti

SINTESI DEL LIBRO:
Era iniziato tutto sulla 40esima in una notte fredda, umida, di
quelle che ti entrano nelle ossa, tolgono il sonno e restano incise
dentro. Eravamo in due a camminare su quei marciapiedi: un
sergente e un detective. Avevamo risposto a una chiamata, proprio
come ogni volta, lanciandoci per primi sulla scena come formiche a
un picnic.
Il problema era che tutto sembrava tranquillo, quella notte. Molto,
troppo.
Fin troppo.
I
Il detective si era guardato attorno con le mani nelle tasche.
suoi occhi studiavano i teppisti nella tipica aria intenta di chi
cercava qualcosa o, meglio, qualcuno. Una serie di nomi
lampeggianti nelle sfumature del verde, del viola e del giallo
scandiva il nostro peregrinare: Sky Room, Capizzi, Arby's. Bordelli a
poco per notti da sogno.
Mentre attraversavamo un incrocio, l'aria si era fatta pesante e
satura d'adrenalina, tesa come la corda di uno Stradivari. Era stato
allora che aveva avuto inizio la discesa all'inferno. Un branco di
teppisti, appostati fuori da una bisca, aveva attratto l’attenzione del
sergente.
Erano in cinque: li aveva contati uno alla volta, lentamente,
staccandosi da me e fissando torvo uno di loro, l’unico con una
bandana rossa sul capo.
A quel punto, mi ero fermato anch'io con le mani nelle tasche e un
nodo allo stomaco.
White l’aveva riconosciuto: davanti aveva un nero. Uno di quelli
che ad Harlem aveva massacrato di botte. Realizzando di aver
davanti il poliziotto, un sorriso da stronzo si era allargato sulle labbra
carnose dell’altro prima di una domanda beffarda. «Che hai da
guardare, uomo?»
Lo sbirro, in risposta a quel tono, si era irrigidito serrando le dita
attorno allo sfollagente. Il respiro si andava condensando, intanto, in
fredde nuvole bianche, risalendo fino ai lampioni. In un gesto deciso,
avevo afferrato la spalla del mio collega, scuotendo la testa quando
si era voltato a guardarmi in cagnesco.
«White, no» gli avevo ordinato brusco, tirandolo indietro.
«Lascialo stare. Non abbiamo tempo per queste cose. Andiamo.»
«Cosa c'è, finocchio? Papino non vuole che ti rovini le unghie?»
Cercava rogne, il bastardo. Lo avevo capito dall'istante stesso in cui
si era staccato dal muro, allontanandosi dal gruppetto che lo
circondava. Il nero avanzava verso di noi con un sorriso arrogante
stampato in faccia, le braccia aperte e un coltellino a serramanico
stretto in pugno.
«Allora, cagasotto? Dove hai nascosto la faccia tosta, sotto il
cappello?»
Il detective non aveva emesso un fiato, scrutandolo con le labbra
contratte, livido in volto.
«White. No» avevo ripetuto in tono più aspro, prima di sbraitare
contro l'altro: «Fatti un giro, testa di cazzo!»
Avevo sentito la rabbia del grosso detective dall'aria cattiva
esplodere mentre tentava di liberarsi di me, aggrappandosi al
manganello con tenacia. Per un istante, il tempo attorno a noi si era
dilatato fin quasi a fermarsi.
Un secondo, due.
Satura di tensione e cattiveria, l'aria era diventata soffocante; la
sentivo insinuarsi in gola e nelle narici, decisa a togliermi il respiro.
Un rumore mi aveva riportato alla realtà di botto, spingendomi a
mollare la presa per un istante.
Ed era accaduto tutto: improvviso come un infarto e più rapido di
una pallottola. Il detective era scattato in avanti, sguainando lo
sfollagente e lanciando un grido. Un battito di ciglia più tardi c'erano
state urla, scricchiolii e randellate poderose.
al
Nell’impeto dell’azione, il poliziotto aveva perso il cappello, il
controllo e ogni freno inibitorio. Quanto a me, ogni attenzione era
rivolta
marciapiede opposto, lì dove i passi affrettati
rimbombavano sul selciato. Mi ero accorto solo allora di lui: pallido
come la morte e più veloce di un fulmine.
La fuga, accompagnata da scivoloni, era tipica di chi aveva il
diavolo alle calcagna. Dovevo fermarlo. Ovunque fosse diretto.
Chiunque fosse. Una falcata e mi ero gettato all'inseguimento.
«Polizia di New York! Fermati subito!» Addosso aveva una maglia
imbrattata di sangue.
Al mio grido si era voltato e alzato il passo, deciso a seminarmi.
Nella testa avevo provato a identificarlo: vent'anni, capelli castani,
larghe spalle, altezza oltre il metro e novanta, abiti inadatti a un
freddo giorno invernale come quello. Slittando sui marciapiedi umidi,
il ragazzone aveva sbandato per un fugace istante.
Non appena si era accorto che l’avevo raggiunto mi aveva trafitto
con i glaciali occhi castani e disteso le labbra in un ghigno. Quando
avevo spiccato un balzo per braccarlo, la sua reazione non si era
fatta attendere. Rifilandomi una gomitata dritta nello stomaco si era
guadagnato una via di fuga.
Aggressione a pubblico ufficiale. Bel modo di cominciare la tua
carriera, ragazzo. Fossi in te, ora correrei fino a non avere più
respiro, avevo pensato rimettendomi in piedi.
«Fermati, pezzo di merda! Polizia!» gli avevo urlato ancora
contro, tornando a inseguirlo.
Tenace e testardo, aveva tenuto duro fino a imboccare un vicolo
cieco. Lì, però, la sua fuga aveva trovato una brusca battuta
d'arresto. Impugnando la pistola gliel'avevo puntata contro senza
preamboli, deciso a fargli il culo.
«Mani ben in vista! Non provare a fare lo stronzo o sei morto! Che
cazzo sei, un rapinatore? Un ladro d'appartamento?» avevo rigettato
quelle domande con il fiato grosso, avanzando di un paio di passi
nella sua direzione.
Lui era indietreggiato, studiando con lo sguardo una possibile
scappatoia in quel mare di nulla assoluto, prima di tornare a
concentrarsi su di me. In un gesto lento, aveva infilato una mano in
tasca. Un brivido mi aveva attraversato la schiena.
«In ginocchio! Adesso!» avevo sbraitato furioso, abbassando il
cane della pistola.
Invece d’obbedire, il tenace bastardo era rimasto lì, immobile.
Sfidandomi con quei penetranti occhi scuri.
«Tu sei JJ, vero? Quello del Decimo Dipartimento?» aveva
domandato con voce profonda e rauca, dandomi un brivido. «Era da
tempo che speravo di incontrarti da solo...
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