Il sepolcro di Encelado -Michele Giannone

SINTESI DEL LIBRO:
Il sangue sul muro si era raggrumato da un pezzo. Disegnava una I e una
V: tratti spigolosi schizzati in fretta con grafia infantile.
Greco portò l’indice alla bocca. Non ebbe bisogno di chiedere al
maresciallo Marangolo dove avessero rinvenuto il corpo. C’era una
macchia per terra davanti a loro, un litro buono o poco più di rosso
dell’Etna sul grigio fitto della moquette. Iniziò a mordersi l’unghia.
Era stata Teresa Barresi a trovare il fratello. La donna aveva le chiavi di
casa e secondo il rapporto andava a fargli visita almeno un paio di volte la
settimana. Faceva le pulizie, gli preparava qualcosa da mangiare. Roba
buona, non quelle porcherie della rosticceria sotto casa. Ma ora Luca
Barresi non avrebbe più gustato gli arancini della sorella; per lui niente più
sugo e salsiccia il prossimo novembre, piuttosto garofani e lumini davanti a
una foto sulla lapide.
Greco smise di tormentare l’unghia.
«Un delitto di mafia, sostiene. Come mai in procura non ci risulta?» In
caso contrario, il fascicolo non sarebbe toccato a lui.
«Dottore, parliamo di Luca Barresi.»
«E con ciò?»
Il maresciallo fece un cenno col capo in direzione della scrivania,
all’altra estremità del soggiorno. Sopra c’era soltanto il monitor di un
computer. Tutto il resto era stato portato via. «Lui era il contabile dei
Gulino.»
«Ne eravate certi?»
«Praticamente sì.»
«E come mai allora non era indagato?» La Procura Distrettuale
Antimafia, a quanto ne sapeva, non aveva avanzato pretese sul caso.
«Dottore, le chiacchiere della gente non possono essere portate in
tribunale. E di prove concrete non ne avevamo.» Il maresciallo si strinse
nelle spalle. «Sa com’è, no?»
Greco annuì. Lo sapeva. A Rocca Etnea certe cose non cambiavano mai.
Marangolo gli riferì sul caso. Non aggiunse nulla che non si potesse
leggere sul rapporto. L’omicida aveva tramortito la vittima prima di
trascinarla dalla scrivania attraverso il soggiorno per circa tre metri. Poi
aveva completato l’opera. Non avevano rilevato impronte diverse da quelle
di Luca Barresi. Ipotizzavano che l’assassino avesse usato guanti di lattice.
Nessuno dei vicini aveva sentito o visto nulla – «Sa com’è, no?»
Nessun segno di effrazione alla porta o alle finestre. Nessun oggetto di
valore sottratto. A giudicare dalla testimonianza della sorella, Barresi
teneva pochi contanti in casa. Tra le carte e i file nel pc messi sotto
sequestro, solo documenti di lavoro: fatture e ricevute bancarie del negozio
di ferramenta. A parte la sorella, nessuna donna da interrogare. L’ipotesi del
delitto passionale pareva da escludere.
Era un fascicolo da archiviare in mezzo a tanti altri sotto una dicitura
abituale all’ombra dell’Etna. Con due domande.
Greco tornò a dedicarsi all’unghia. «Maresciallo, se l’omicida era uno del
clan rivale, perché mai Barresi lo avrebbe fatto entrare in casa?»
«Mica è detto, dottore. Potrebbe anche essere stato uno dei Gulino.»
Greco gli rivolse un’occhiata interrogativa.
«Dottore, l’umore di gente simile cambia come quello del vulcano. Fino
a martedì tu fai comodo e ti proteggono. Mercoledì magari non è più così.
Apri la porta, a un amico tu pensi, ed è l’ultima cosa che fai.»
«Ammettiamo pure che la sua tesi sia fondata. Quale sarebbe stato in tal
caso il movente?»
Il maresciallo allargò le braccia. «Magari il nostro uomo aveva la mano
bucata oppure la lingua lunga. Si spiegherebbe quello che gli hanno fatto.»
«E le lettere sul muro? La I e la V? Cosa crede che rappresentino?»
«E chi può dirlo? Una scritta di avvertimento magari, roba del genere.
Hanno un modo strano, loro, di spedire messaggi. Io a capirli ho rinunciato.
La gente poi non ti aiuta. È dura, sa?» Esitò un istante. Poi aggiunse:
«Dottore, posso dire una cosa in tutta franchezza?»
Greco annuì.
«Non doveva prendersi questo fastidio. Insomma, è un caso come tanti.
Faceva meglio a starsene a Catania.»
Greco non replicò. Cui prodest? S’era subito chiesto anch’egli quando il
procuratore capo gli aveva assegnato l’incarico. Forma diversa, identica
sostanza. Lui avrebbe anche potuto astenersi. Gli sarebbe bastato addurre
ragioni di convenienza e Albani avrebbe girato il fascicolo a un altro
sostituto: era un tipo comprensivo, il suo superiore.
Il maresciallo adesso gli stava fornendo un’altra possibilità: Barresi era il
contabile dei Gulino. Quelli della Procura Antimafia non si sarebbero fatti
alcun problema a subentrargli.
Diede un morso deciso all’unghia. La sentì cedere. Non la sputò subito.
Attraversò il soggiorno fino alla finestra, la aprì e si sporse fuori.
La strada, tre piani sotto, era una striscia a senso unico tra palazzi che
non ricordava. Le lenzuola stese ad asciugare, però, erano le stesse di anni
prima: fantasmi svolazzanti, immacolati solo quando la bocca del cratere
non soffiava cenere sul paese.
Prese l’unghia tra pollice e indice e la strofinò via. Il sole era basso tra i
castagni. All’orizzonte volteggiava un elicottero della Protezione Civile.
Greco richiuse la finestra e si voltò verso il maresciallo.
«Dottore?»
Greco avrebbe potuto chiedergli di vedere le stanze rimanenti. Avrebbe
potuto esaminare gli ingressi dell’appartamento, rovistare nei cassetti o
visionare i file del computer. Avrebbe potuto fare tante cose. Cose a cui di
sicuro i Carabinieri erano già arrivati prima di lui. Cose che, a dirla tutta,
non avrebbero portato alla luce nuovi indizi.
Cui prodest?
Del caso non gliene era mai davvero importato niente. Per lui l’omicidio
Barresi era stato solo un pretesto per tornare indietro.
Quella era la realtà. L’aveva capito sin dall’apertura del fascicolo. In
procura aveva preferito bendarsi gli occhi, ma adesso non poteva più farlo.
Lì al centro del soggiorno colmo della luce del tramonto, tra pareti senza
storie da raccontare, con la moquette arrossata che avrebbe reso difficile
affittare l’appartamento a un prezzo decente, dovette ammetterlo a se stesso.
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