Il mio favoloso viaggio in Francia – Caroline Roberts

SINTESI DEL LIBRO:
«Un water? Ne è proprio sicuro?».
Sono al telefono con un tizio e sto parlando della torta per la festa
di pensionamento di suo padre. Indosso ancora il mio pigiama a
scacchi rossi, ho i riccioli castani raccolti in una coda disordinata e
mi sono appena resa conto di avere un gocciolone di marmellata sul
petto. Fortuna che non abbiamo optato per una videochiamata.
«È una richiesta un po’ insolita. Sicuro che gli piacerebbe?»
«Eccome. Faceva l’idraulico. Viveva per il suo lavoro. Anzi, a dirla
tutta, non riesco ancora a credere che abbia deciso di andare in
pensione. No, davvero, una torta a forma di water sarebbe perfetta».
In teoria il cliente ha sempre ragione, ma decido comunque di
proporgli un’alternativa.
«E che ne direbbe di una vasca da bagno? Ha una forma più
semplice da realizzare».
«Ah, in effetti non ci avevo pensato. Una vasca da bagno, dice?
Mmm, perché no? Mio padre parla talmente tanto di cassette di
scarico e galleggianti che una torta a forma di water è la prima cosa
che mi è venuta in mente».
«Ovviamente faccio quello che preferisce lei, ma una vasca da
bagno sarebbe più carina. Potrei aggiungere anche una miniatura di
suo padre seduto sul bordo e circondato dalle bolle, magari con una
birra in mano o una cosa così».
«Mio padre non beve birra».
«Un bicchiere di vino?»
«Non beve proprio alcolici. E non credo si sia mai fatto il bagno in
una vasca in vita sua. Soffre di eczema, sa com’è».
La trattativa si sta rivelando più complicata del previsto.
«Okay, lasciamo perdere la birra. E anche le bolle. Perché non
facciamo una bella torta rettangolare decorata con una miniatura di
suo padre con una cassetta degli attrezzi e un furgoncino bianco da
idraulico… una cosa così?»
«Geniale. Andata. Va bene se vengo a ritirarla venerdì
pomeriggio?».
È mercoledì mattina.
«Questo venerdì?»
«Ehm… sì».
«È un po’ last minute. Di solito, per le torte di questo tipo chiedo
un preavviso di una settimana. Tra l’altro, al momento sono davvero
molto impegnata».
C’è un lungo silenzio all’altro capo della linea.
«Oh, porca miseria. Mia mamma mi ucciderà. Mi ha chiesto di
ordinare la torta un mese fa, ma me n’ero completamente
dimenticato. Ne comprerò una al supermercato».
Espiro lentamente. Non è certo la prima volta che mi capita una
cosa del genere, e dire di no a un cliente sarebbe un suicidio
professionale. A volte, per non deludere nessuno, mi tocca stare in
piedi fino alle tre di notte.
«Okay, d’accordo. Spero che un pan di Spagna alla marmellata
vada bene», dico in fretta, per scongiurare la possibilità che gli
venga in mente di pretendere una torta alla frutta.
«Benissimo. Grazie, mi ha salvato la vita».
«Si figuri. Potrebbe mandarmi un’email in cui mi conferma quello
che desidera? Tipo: “Torta pan di Spagna rettangolare con la
miniatura di un idraulico per una festa di pensionamento”».
«Sì, certo, come vuole. Grazie ancora».
C’è un motivo più che valido se ho cominciato a chiedere la
conferma scritta. All’inizio accettavo le ordinazioni telefoniche, ma
con il tempo ho imparato che la conferma via email o SMS è l’unico
modo per ridurre al minimo il rischio di fraintendimenti o
incomprensioni. Una volta consegnai a un cliente una torta a forma
di vitello (dal mio punto di vista aveva perfettamente senso, dato che
si trattava della torta per la festa di pensionamento di un agricoltore).
Invece venne fuori che la moglie mi aveva chiesto un dolce a forma
di battello, perché lei e il marito avevano intenzione di vendere tutto
per comprare un bungalow sulla spiaggia e godersi qualche bella
uscita in barca in mare aperto.
Appena chiudiamo la telefonata, mi rendo conto che questa è la
prima volta che qualcuno mi chiede una torta a forma di water. E sì
che di richieste strane ne ho avute parecchie. Ho realizzato busti
femminili in corsetto, bare e vampiri. Ho confezionato torte davvero
di tutti i tipi, credetemi. Persino una a forma di pene. Non voglio
nemmeno pensare al momento in cui, davanti a una tazza di tè
caldo, qualcuno ha infilato un coltello affilato in quella parte del corpo
maschile.
Sto ancora sorridendo al ricordo della torta a forma di vitello
quando in cucina arriva Sam, la mia assistente.
«’Giorno, Liv», dice sfilandosi il berretto di feltro verde e scuotendo
la chioma rosso chiaro, che a lei piace definire “biondo ramato”.
Sulla testa di Sam un copricapo non manca mai. Berretti, cuffie di
lana e trilby la accompagnano in qualsiasi stagione dell’anno, e devo
ammettere che le donano moltissimo. In genere, li abbina a un
cappotto alla moda e a un filo di rossetto rosso che le dà un piglio
glamour molto hollywoodiano… e ha solo ventisei anni. Oggi indossa
un abito color senape, un paio di leggings neri e delle polacchine
nere scamosciate. Sua mamma ha un negozietto di vestiti vintage,
ed è da lì che arrivano molti dei capi che sfoggia.
«’Giorno, Sam. Ho appena accettato un’ordinazione last minute
per un pan di Spagna… per venerdì pomeriggio, ti rendi conto?».
Scrollo via dalla maglia del pigiama le briciole di pane tostato e i
residui di marmellata.
«Vuoi che me ne occupi io?»
«Lo faresti davvero? Domani volevo dedicarmi alla glassa per
quella torta nuziale. Poi dovrei preparare un paio di torte di
compleanno e dei cupcake per una scuola elementare entro
venerdì».
«Nessun problema. Adesso però forse sarebbe il caso che ti
vestissi, non credi?»
«Sì, subito. Prima, però, bevo il carburante». Finisco il
cremosissimo caffè che è appena sgocciolato fuori dalla mia vecchia
macchinetta. È una delle prime macchine per il caffè che immisero
sul mercato e non la cambierò finché non si disintegrerà
completamente.
Baked to Perfection è il negozio di dolci online che gestisco dalla
mia cucina, situata nell’ampliamento realizzato due anni fa per
allargare il mio trilocale. In occasione del mio trentaseiesimo
compleanno i miei genitori mi hanno sorpresa con un libretto di
risparmio appena giunto a maturazione. Quando avevo sedici anni
papà aveva aperto una sorta di piano d’accumulo ventennale,
effettuando alcuni investimenti piuttosto azzeccati. Papà è fatto
così… e la sua oculatezza è stata quanto mai provvidenziale.
I soldi mi hanno consentito di ampliare la cucina e acquistare un
forno enorme e un sacco di nuovissime teglie scintillanti. Ho preso
anche l’ampia dispensa in cui adesso tengo le confezioni delle torte
pronte per la consegna.
Tutti tentavano di dissuadermi dall’entrare nel business delle torte;
Internet sembrava già saturo di blog e profili social a tema culinario,
e i prezzi erano sempre più competitivi. Insomma, non c’era più
trippa per gatti. Le amiche mi davano della pazza quando accennavo
all’intenzione di lasciare il lavoro da insegnante in una scuola
primaria, e se avessi un penny per ogni volta che mi sono sentita
dire “È folle rinunciare a tutte quelle ferie” a quest’ora sarei
milionaria.
Ma nemmeno le lunghissime vacanze scolastiche riuscivano ad
alleviare lo stress derivante dal lavorare in una scuola praticamente
priva di finanziamenti e piena di bambini con seri problemi
comportamentali. Molti dei quali erano finiti nella mia classe. Se a
questo aggiungiamo le migliaia di compiti da correggere, le
scartoffie, le interminabili riunioni e le lezioni da preparare, si può
ben capire come mai fossi sempre spossata ed esausta. È stato
dopo aver passato un’intera serata a progettare una lezione
particolarmente stimolante sul commercio equo e solidale (o almeno
così credevo: avremmo disegnato e preparato delle barrette di
cioccolato) e aver sbattuto il muso sulle espressioni annoiate dei
bambini che mi sono resa conto che, forse, quel lavoro non faceva
per me. Le amiche mi dicevano che magari ero solo finita nella
scuola sbagliata. In effetti insegnavo in un istituto situato in una zona
particolarmente povera, dove i genitori non erano in grado di offrire
pressoché alcun sostegno, ma se fossi stata un’insegnante davvero
dotata non avrei dovuto essere capace di catturare l’attenzione dei
bambini? Trascorrevo le serate a bere vino e piagnucolare, dicendo
alle amiche che non l’avevo scelta io, quella vita: ero un’insegnante,
non un’assistente sociale.
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