Il buio ha il suo odore – Cinzia La Commare

SINTESI DEL LIBRO:
Durante l’interminabile viaggio, seduta su una scomoda e usurata
poltrona del pullman, non avevo fatto altro che pensare
continuamente a mia madre. Al modo in cui l’avevo salutata
frettolosamente, per impedire alle lacrime di smentire l’aria da adulta
che avevo deciso di avere. Al modo in cui mi aveva stretta a sé,
talmente forte da permettermi di sentire il suo cuore batterle forte nel
petto.
Il pensiero di averla lasciata da sola, a vivere da invisibile in quella
città messa a lustro dal volere dei potenti ma che mal cela
l’esistenza dei poveri privati della dignità, mi aveva occupato la
mente per tutto il tempo. Più volte avevo pensato di fermare il
pullman e tornare indietro da lei, ma poi era sempre tornata la
consapevolezza di quanto avessimo bisogno di quel sacrificio, di
quel cambiamento: io e mia madre avevamo sempre fatto parte di
quel vasto gruppo di gente lasciata alla disperazione, a vivere in
case fatiscenti senza possibilità di riscatto se non quello di praticare
l’accattonaggio pur di mettere qualcosa nello stomaco, qualsiasi
cosa, anche solo un pezzo di pane raffermo troppo misero per poter
essere condiviso; troppo spesso mia madre aveva preferito lasciare
mangiare me, mentre lei continuava a smagrirsi fino all’eccesso ogni
giorno un po’ di più.
Costel mi stava finalmente offrendo l’occasione di lasciare Bucarest
per una nuova vita in Italia, e io sapevo che era il mio unico modo
per sperare di poter risollevare non solo le mie sorti, ma anche
quelle di mia madre: la mia unica famiglia. Mio padre non l’ho mai
conosciuto, ma so che è vivo da qualche parte. Mia madre non ha
mai parlato volentieri di lui, l’unica cosa che so è che si tratta di un
bastardo incapace di prendersi le sue responsabilità, lo stesso che
l’aveva licenziata appena aveva appreso la notizia della gravidanza.
Poco gli era importato se quel figlio che mia madre stava attendendo
fosse anche suo. Chiaramente mia madre non riuscì a trovare un
altro straccio di lavoro, prima perché incinta e in secondo luogo
perché con una figlia a carico. Ecco come finimmo nella Bucarest
segreta al turismo, quella della disperazione. Quella dei ragazzi che
passano il tempo a drogarsi per strada senza sentire nemmeno il
bisogno di nascondersi. La Bucarest dove sembra impossibile
riuscire a sognare un futuro migliore, eppure io lo avevo fatto per
tutto il tempo. Per questo avevo trovato il coraggio di chiedere aiuto
a Costel, il bambino che aveva giocato con me per anni fino a che
non era partito alla volta dell’Italia a caccia del suo riscatto e, a
giudicare da com’era tornato qualche anno dopo, pieno di doni e
vestito da signore, quel cambiamento l’aveva trovato davvero.
Quando finalmente fui di nuovo in posizione eretta, libera da quel
sedile su cui ero stata a sedere per venti interminabili ore, le paure
per il futuro e la nostalgia di mia madre mi abbandonarono
completamente per qualche minuto. Roma era un immenso libro di
storia a cielo aperto. Da quel suolo che stavo calpestando per la
prima volta, erano partite le idee per grandi conquiste che l’hanno
resa famosa in ogni angolo del mondo. L’avevo letto sui libri che mia
madre era riuscita a farmi avere con immensi sacrifici, perché a volte
il nostro stomaco aveva brontolato per giorni ma lei non aveva mai
permesso che rischiassi di non ricevere un’adeguata istruzione,
anche se non ci saremmo mai potute permettere di aspirare al
conseguimento di una laurea.
Mi piaceva studiare, la geografia era la mia materia preferita:
rappresentava un modo per sognare la vita oltre a quella baracca
dove avevo sempre vissuto.
Costel portò sul marciapiedi anche la mia valigia – solo una, del
resto non avevo molti effetti personali né vestiti da portare con me
e poi mi strinse la mano nella sua. Era fredda nonostante le
temperature qui fossero ben più calde che nel profondo Est dal
quale arrivavamo, ma lui viveva in Italia già da parecchi anni e mi
dissi che, evidentemente, il suo corpo si era abituato al
cambiamento dimenticando gli stenti degli inverni passati in
Romania, attorniati a un fuoco improvvisato che condividevamo con
altri poveri disgraziati come noi; i nostri vicini di baracca.
Improvvisamente mi ricordai del colloquio di lavoro di cui mi aveva
parlato prima di partire – era tornato per me, per venire a prendermi
come aveva promesso mesi prima in una delle sue visite precedenti– così smisi di guardare estasiata il Colosseo alle nostre spalle e
volsi lo sguardo verso di lui. «Quando ci sarà il colloquio di cui mi hai
parlato?», domandai a bruciapelo.
Costel sorrise con quel suo sorriso rassicurante che aveva sempre
avuto. «Dovrai pazientare fino a domani mattina. Intanto perché non
provi a rilassarti, adesso? Sei a Roma, hai desiderato di poter
giungere qui per così tanto tempo che dovresti almeno concederti un
pomeriggio per visitarla in totale serenità».
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