I testamenti – Margaret Atwood

SINTESI DEL LIBRO:
Solo chi è morto ha diritto a una statua; a me, invece, ne è stata dedicata una
in vita. Sono già di pietra.
La statua era un piccolo segno di stima per i miei tanti contributi, diceva la
motivazione letta da Zia Vidala. L’incarico le era stato dato dai nostri
superiori e le risultava tutt’altro che gradito. La ringraziai facendo appello a
tutta la mia umiltà, poi tirai bruscamente la fune e sciolsi il drappeggio che
mi avvolgeva; svolazzò fino a terra, ed eccomi lì. Non siamo facili
all’entusiasmo, qui ad Ardua Hall, tuttavia si levò un applauso discreto. Feci
un cenno col capo.
La mia statua è più grande del naturale, come tendono a essere le statue, e
mi rappresenta più giovane, più magra e più in forma di quanto non sia da
tempo. Me ne sto eretta, spingo indietro le spalle, piego le labbra in un sorriso
fermo ma benevolo. Fisso lo sguardo su un punto del cosmo che vorrebbe
rappresentare il mio idealismo, la mia incrollabile dedizione al dovere, la mia
determinazione a proseguire a dispetto di ogni ostacolo. Non che la mia
statua possa vedere qualcosa del cielo, collocata com’è nel cupo gruppetto di
alberi e arbusti che fiancheggia il sentiero davanti ad Ardua Hall. Noi Zie non
dobbiamo essere troppo superbe, nemmeno quando siamo di pietra.
Mi stringe la mano sinistra una bambina di sette o otto anni, che alza su di
me lo sguardo fiducioso. La mia destra si posa sulla testa velata di una donna
accovacciata al mio fianco, i capelli coperti, gli occhi volti verso di me in
un’espressione che potrebbe essere pavida o grata – è una delle nostre
Ancelle; dietro c’è una delle nostre Ragazze Perla, pronta per partire
missionaria. Appeso alla cintura porto il taser. Quest’arma mi ricorda le mie
mancanze: se avessi agito con più efficacia non sarebbe servito un arnese
simile. Sarebbe bastato un tono di voce convinto.
Come gruppo scultoreo non vale molto: è troppo gremito. Avrei preferito
una maggiore enfasi sulla mia figura. Ma quanto meno appaio sana di mente.
Poteva andare diversamente, perché l’anziana scultrice – una seguace
convinta, poi deceduta – di solito dotava i suoi soggetti di occhi sporgenti, a
prova della loro fervida devozione. Il suo busto di Zia Helena sembra furente,
quello di Zia Vidala ipertiroideo, e quello di Zia Elizabeth in procinto di
esplodere.
Allo scoprimento la scultrice era nervosa. La resa era abbastanza
lusinghiera? L’avrei apprezzata? Avrei manifestato la mia approvazione?
Accarezzai l’idea di accigliarmi quando il lenzuolo fosse caduto, ma poi ci
ripensai: non sono priva di pietà. «Molto somigliante» dissi.
Questo è stato nove anni fa. Da allora la mia statua ha assunto la patina del
tempo: i piccioni mi hanno decorata, nelle mie fessure più umide è spuntata la
muffa. Le sostenitrici hanno cominciato a lasciare offerte ai miei piedi: uova
per la fertilità, arance per suggerire la pienezza della gestazione, croissant in
riferimento alla luna. Ignoro gli articoli di panetteria – di solito hanno preso
la pioggia – ma intasco le arance. Sono così tonificanti, le arance.
Scrivo queste parole nel mio sancta sanctorum presso la biblioteca di Ardua
Hall – una delle poche rimaste dopo gli entusiastici roghi di libri che si sono
avvicendati nella nostra terra. Le impronte corrotte e insanguinate del passato
devono essere cancellate, creando uno spazio puro per la generazione
moralmente immacolata che senz’altro emergerà. Questa è la teoria.
Fra quelle impronte, però, ci sono le nostre, e cancellarle non è così facile.
Nel corso degli anni ho nascosto sotto terra molti ossi, e ora sono incline a
riesumarli – a tua edificazione, quanto meno, mio ignoto lettore. Se leggi,
vuol dire che questo manoscritto sarà sopravvissuto. Ma forse è una
fantasticheria: forse non avrò mai un lettore. Forse parlerò soltanto al muro,
in molti sensi.
Per oggi ho scritto abbastanza. Ho male alla mano, ho male alla schiena, e
la mia tazza di latte della sera mi aspetta. Riporrò questo sproloquio nel suo
nascondiglio, evitando le telecamere di controllo – so dove si trovano,
avendole piazzate io stessa. Malgrado tali precauzioni, sono consapevole del
rischio che corro: scrivere può essere pericoloso. Quali tradimenti, quali
condanne potrebbero aspettarmi? Diverse persone, qui ad Ardua Hall,
sarebbero ben liete di mettere le mani su queste pagine.
Aspettate, è il mio sommesso consiglio: diventerà peggio.
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