Forbidden Trilogy – Catherine BC

SINTESI DEL LIBRO:
Mya era appena arrivata alla Cascina, una fattoria che i suoi
avevano ristrutturato in pieno stile italiano anni prima assieme a altri
emigranti. Si trovava nella verdeggiante pianura che accompagnava
il
fiume Milk verso la città di Malta, nella contea di Phillips, in
Montana. Faceva un caldo inconsueto a Helena, dove Mya abitava,
e così si era rifugiata lì nella speranza di trovare un po’ di sollievo.
La temperatura, però, era alta quanto l’umidità. Eppure, quel posto le
piaceva: il fosso che le scorreva dietro, i terreni coltivati che si
ventagliavano intorno e il cortile, polveroso e bianco, in comune col
resto del caseggiato.
Si lasciò accarezzare dall’acqua fine della doccia per rinfrescarsi e
poi indossò un vestitino nero con dei piccoli fiorellini bianchi, corto e
leggero. Si arruffò i capelli con le mani per donar loro volume e
scese. Stette sulla soglia di casa a guardare verso il cortile, come
era sua abitudine. Non era cambiato quasi nulla.
Poi lo vide. Se ne stava appoggiato a una delle colonne del porticato
col volto alzato, quasi a cercare il tocco del sole che gli altri
fuggivano. Indossava dei jeans neri attillati e una t-shirt grigia e
scollata che ne metteva in evidenza il torace ampio e ben definito. I
suoi capelli risplendevano di tutte le sfumature che intercorrevano tra
il biondo e il ramato, mentre i suoi meravigliosi occhi azzurri erano
celati da un paio di occhiali da sole. Lo conosceva da moltissimo
tempo: l’aveva aiutato con la geometria durante l’estate qualche
anno prima. Ora però era cambiato: l’adolescente timido avevano
lasciato il posto a uomo bellissimo, dalla spiccata sensualità e sicuro
di sé stesso fino a sfiorare l’arroganza.
Con lentezza esasperata lui girò la testa, tolse gli occhiali e incatenò
gli occhi ai suoi. Mya ne sostenne lo sguardo: non era la prima volta
che quella muta battaglia aveva luogo e non sarebbe stata neppure
l’ultima. Per lui rappresentava il proibito, ma certo non immaginava
che per lei fosse lo stesso: era un succoso e dolce frutto del
peccato, un focolaio di lussuria che attentava alla sua parte
razionale. A quella parte si stava aggrappando anche in quel
momento, anche se già vacillava di fronte al richiamo del suo corpo,
ai brividi che le percorrevano la schiena quando l’accarezzava con lo
sguardo in modo voluttuoso, all’eccitazione che inesorabile la
colpiva.
Persa in quelle elucubrazioni non si era accorta che, nel frattempo,
se n’era andato. Ringraziando la buona sorte per aver superato
quell’attimo di debolezza, stava per chiudere la porta quando
qualcuno s’infilò, attraversando lo spicchio di luce che si rifletteva sul
pavimento. Lo sconosciuto l’avvolse con un braccio all’altezza delle
spalle, mentre con l’altra mano le artigliò la vita, premendole la
schiena contro il proprio torace. Un profumo familiare le invase le
narici. Girò la testa per avere ulteriore conferma e una voce roca la
accarezzò.
«Ciao Mya.»
Provò a sciogliersi da quell’abbraccio con un ultimo e flebile
tentativo, ma lui rafforzò la presa. Dalle sue labbra uscì solo un
debole suono, simile a un gemito:
«Stephen.»
«Sei sola?»
«No, cioè sì, ma non per molto.»
Il suo era un bluff plateale.
«Sei sola.»
Non era più una domanda, ma un’affermazione. Sul volto di Stephen
comparve un sorriso sornione e illegale, mentre i suoi occhi si
oscurarono di desiderio. Cominciò a baciarle il collo lasciando una
calda scia dall’orecchio fino alla clavicola, facendole perdere ogni
remora. Non c’erano convenzioni, non c’erano ruoli, non esisteva più
il giusto e il meno giusto.
Cominciò a accarezzarle la gamba, insinuandosi sotto la stoffa
leggera del vestito, mentre col bacino si strusciava contro le sue
natiche. Mya flesse la schiena e appoggiò arresa la testa sulla spalla
di Stephen, lasciandogli mordere quanto poteva, invocando il suo
nome come una cantilena.
«Senti quello che mi fai? Lo senti l’effetto che hai su di me?»
Soffiò spingendo ancor di più il bacino verso di lei. Improvvisamente,
quasi a volerle dare la possibilità di un’ultima via di fuga da quella
situazione irrazionale, la porta si spalancò.
Sulla soglia apparve un bambino con lo sguardo un po’ spaesato
che chiese gentilmente dell’acqua. Incamerando ossigeno il più
possibile, Mya si allontanò da Stephen e porse un bicchiere al
ragazzino, che la ingurgitò in un lampo. Si asciugò la bocca col
dorso della mano e si dileguò, tornando fuori a rincorrere un pallone
nella polvere del cortile.
Stephen l’afferrò per una mano e la trascinò al piano superiore. A
ogni gradino il suo cuore batteva in modo sempre più frenetico. Non
riusciva a controllare le sensazioni che provava in quel momento. La
destabilizzavano.
Lui si fermò sul ballatoio, che fungeva da
disimpegno e dava accesso alle camere e al piccolo bagno. La fece
appoggiare al muro con il volto, prendendole entrambi i polsi e
portandoglieli sopra la testa. Mya era bloccata fra Stephen e la
superficie ruvida del pannello, tra la ragione e il suo corpo che
pretendeva soddisfazione. I loro respiri si stavano facendo sempre
più corti e nell’aria si percepiva la tensione, l’attrazione e la volontà
di godere del momento senza ulteriori tentennamenti.
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