Dopo la solitudine – Antonella Frontani

SINTESI DEL LIBRO:
Boom!
Un tonfo secco.
Anche questa mattina il servizio di nettezza urbana è venuto a
ritirare il suo carico. La barriera dei vetri insonorizzati non è
sufficiente ad attutire l’esplosione quotidiana. Gli occhi aperti
all’improvviso dopo una notte inquieta. “È un incubo questo camion
dei rifiuti, il modo peggiore per svegliarsi…” Lorenzo è già stanco
ancora prima di alzarsi dal letto a una piazza e mezza.
“Che giorno è oggi?” pensa tra sé cercando un riferimento con gli
occhi, come se perlustrare la piccola stanza potesse aiutarlo a
individuare il giorno della settimana. “Martedì, mercoledì? Boh…”
Le campane del santuario della Consolata suonano inesorabili.
Non c’è più scampo, è proprio l’inizio di un nuovo giorno. Come
vorrebbe che un maggiordomo invisibile gli servisse la colazione a
letto. Gli basterebbe una tazza di acqua calda, a cui ormai non
saprebbe più rinunciare, seguita da un buon caffè e una brioche
fragrante, leggera, senza burro e con un velo di marmellata alle
arance al suo interno. Cosa chiede, in fondo? È un piccolo desiderio.
Più forte, però, è la necessità di non incontrare anima viva fino
all’arrivo in piazzetta; dunque, è impossibile esaudire il desiderio di
un impeccabile servizio a letto. Nessuno supererebbe l’esame e
potrebbe circolare per casa senza provocare un grave fastidio,
soprattutto subito dopo il risveglio.
Il silenzio del mattino è un raro istante di perfezione, che si riempie
di dolci suoni, come lo scricchiolio del parquet che crepita sotto i suoi
passi mentre, scalzo, raggiunge il bagno; il gorgoglio della
macchinetta del caffè che sbuffa sul gas, oggetto che non esiste più
in nessun luogo, soprattutto negli uffici dove troneggiano ingombranti
macchine a cialde. Modaiole, brutte e inefficienti. Lui, invece, adora
le pause tra il tintinnare del cucchiaino nella tazzina di porcellana
Wedgwood e il frusciare degli abiti che accuratamente sceglie,
seppur tutti uguali. Come se fosse la fase di un rito, si avvicina alla
finestra chiusa: che meraviglioso affresco la vista su piazza della
Consolata alle sette del mattino. Muta, sempre per effetto dei vetri
insonorizzati, e armoniosa, per volontà del Maestro Guarini che, nel
XVII secolo, progettò la chiesa di Santa Maria della Consolazione, il
santuario appunto, che domina questo scorcio incomparabile di
Torino. Lorenzo ha bisogno di quel silenzio forzato per ammirarne
ogni mattina la cupola e la facciata. “Un capolavoro del barocco
piemontese”, pensa, mentre sorseggia il caffè. Torna ai suoi dolci
suoni, come la doccia che fa scrosciare, quasi simulando i temporali
improvvisi dell’estate. Poi, di nuovo il silenzio. Assoluto, rassicurante
e profondo mentre, avvolto nel suo accappatoio di spugna blu,
s’immerge nei primi pensieri del giorno, seduto sulla piccola poltrona
di alcantara, perla indiscussa della sua saletta da bagno.
“Ah, sì, oggi è mercoledì, dunque inizio alle undici. Meno male, ho
il tempo di rilassarmi.” Ecco, in giornate come questa, quando ha più
tempo da dedicare a sé stesso, per Lorenzo il risveglio è un
momento in cui prendere le distanze da un lavoro che adora, ma di
cui non sopporta molti aspetti: la ripetitività, l’assenza di precisione,
le aspettative disattese. È come un paradiso costellato di gironi
dell’inferno e, per lui, rilassarsi la mattina vuol dire costellare il
percorso a piedi fino al lavoro di deliziose tappe nei luoghi che gli
sono più familiari.
“Dunque, devo ricordarmi di prendere il materiale che ho lasciato
in aula 1. Laboratorio per iniziare, esercitazione a seguire.”
La toilette continua con flemmatica cura. Il taglio della barba è
affidato al rasoio in acciaio inox e manico di legno, mentre
l’idratazione e il nutrimento della pelle del viso sono garantiti dalla
prestigiosa crema che usa da anni e che non cambierebbe per nulla
al mondo. Una sforbiciata ai peli delle narici con le forbicine in
acciaio lucido dalla lama affilata e la punta arrotondata; una lunga
pulizia dei denti con lo spazzolino elettrico a pulsazione, oscillazione
e rotazione; un’accurata ispezione alle orecchie con un bastoncino di
cotone e un buon deodorante. Inizia il rituale della vestizione, mentre
i
capelli folti, che lava ogni mattina, vengono abbandonati a
un’asciugatura naturale, tanto il ciuffo, che scende sugli occhi e di
cui va tanto fiero, trova la sua piega da solo.
Pulisce le scarpe primaverili di camoscio, rigorosamente nere, con
la spazzola di setola di cui adora il fruscio.
La liturgia, condotta in religioso silenzio, volge al termine. Uno
sbuffo di profumo all’ambra nera di Ortigia e Lorenzo è pronto: si
sente un quarantenne di tutto rispetto, così tirato a lucido. Può
finalmente uscire.
I due piani di scale che lo preparano all’incontro con il mondo sono
per lui uno spazio vuoto in cui si avvita la curva elicoidale dei gradini,
il
cunicolo di congiungimento con il resto del pianeta. La lenta
discesa gli lascia il privilegio di sentire i rumori molesti arrivare piano
piano. Quasi gradino per gradino. Giunto al portone del palazzo, di
solito, è pronto per affrontarli, ma oggi il mondo sembra impazzito.
Un insostenibile accavallarsi di suoni lo stordisce paralizzandolo per
un istante. Come convincere l’intero universo che è nel silenzio che
si creano le grandi opere? È nel silenzio che le note si affastellano
per costruire una sinfonia; ed è sempre nel silenzio che le mani
plasmano un blocco di marmo per dar vita a una scultura. Non solo:
è nel silenzio che affiorano i ricordi ed è in esso che trovano pace. O
almeno così è per lui.
La spazzatrice stradale percorre impazzita la piazza a caccia di
ogni piccolo rifiuto. Sarebbe silenziosa, perché elettrica, se non
fosse per le due spazzole giganti che ruotano vorticosamente
lustrando il pavé a dovere. Sul fianco della vettura lo slogan: «Zero
emissioni, zero difficoltà di manovra, zero limiti, zero rischi». “E il
rumore?” pensa Lorenzo visibilmente infastidito. “Al rumore non ci
pensa mai nessuno?”
Il camion di piccola taglia che entra nella piazzetta diretto verso
l’«Osteria del Bacaro» per il rifornimento quotidiano sembra un
oltraggio alla bellezza e rumoreggia a lungo per ultimare la manovra
che gli consente lo scarico della merce.
Due amiche passeggiano con il cane parlando tra loro con un
timbro di voce che perfora il timpano di Lorenzo, mentre un ragazzo
con lo skate sottobraccio invita il suo compagno, che si trova in via
della Consolata, a raggiungerlo sulla pista da skateboard del Teatro
Regio. Urlando, ovviamente.
Un incubo. Lorenzo vorrebbe possedere un unico superpotere: la
selezione automatica dei rumori; invece, è condannato a sentire
tutto, ma proprio tutto.
“Che meravigliosa giornata di sole, però”, pensa per consolarsi,
mentre attraversa la piazza verso la prima tappa obbligata lungo il
percorso per il lavoro. Venti metri ed ecco il dehors del «Caffè al
Bicerin», lo storico locale che prende il nome dalla bevanda calda
che l’ha reso famoso. A Lorenzo piace quel luogo carico di
tradizione, a due passi da casa sua, che, nel Settecento, proponeva
ai cittadini la famosa bavarèisa, un raffinato mix di caffè, cioccolato e
crema di latte dolcificata con sciroppo, servita in un grande bicchiere
tondeggiante. Nell’era dell’omologazione alle mode internazionali,
vuole restare legato alle proprie radici, alla memoria. Lo esalta
pensare che quello è il luogo di Torino dove sorseggiavano il loro
bicerin Cavour, Picasso, Dumas, Hemingway. Perché non lui
dunque? Quale modo migliore per iniziare la giornata? Quando
raggiunge i tradizionali tavolini in ferro battuto, si ripete sempre la
stessa scena. Ogni giorno. Si guarda attorno come se stesse
soppesando un posto tra quelli a disposizione anche se sa
perfettamente che sceglierà sempre lo stesso, quello nell’angolo più
vicino alla vetrina del locale, a fianco della grande pianta di potos
che cresce in vaso in omaggio alla natura bandita dal centro città.
Quella è la posizione ideale per godere della vista migliore della
chiesa e per gustare il primo caffè fuori casa della mattina.
Una coppia si siede accanto a lui che è intento a contemplare la
facciata della Consolata. Uno stridore fastidioso lo desta dai suoi
pensieri. I due, che hanno appena trascinato le pesanti sedie di ferro
battuto sul pavé, si scusano con Lorenzo che risponde solo con un
lieve cenno del capo. È svanita la possibilità di smarrirsi in quello
splendore e il caffè ha già perso il suo fascino. La sua attenzione si
sposta sulla coppia che gli sta accanto e che ha appena ordinato
proprio il bicerin. Li guarda e intuisce che sono turisti perché stanno
per mescolare gli ingredienti con il cucchiaino. Non resiste alla
tentazione di intervenire: «Buongiorno. Chiedo perdono… Posso
essere così invadente da offrire un suggerimento?».
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