Che nome dare al tuo bambino – Origine, significato, carattere, fortuna, simbologia e magia di oltre 500 nomi – Laura Tuan

SINTESI DEL LIBRO:
Ogni neonato egizio riceveva, cinque o seimila anni fa, un nome
segreto da custodire con cura. Solo maneggiando le sillabe arcane
che costituivano l’essenza stessa della sua personalità, del suo
spirito, gli operatori magici, padroni di occulte forze negative,
sarebbero stati in grado di attaccarlo, coercirlo e perfino ucciderlo. È
tuttora usanza comune, presso le iniziazioni tribali così come quelle
esoteriche, imporre al neofita, divenuto attraverso il rituale parte
integrante della nuova comunità, un nome nuovo a sottolinearne la
mutata condizione e personalità.
Gli Ebrei che dall’Egitto, sia per la forzata permanenza sia per i
rapporti di vicinato, molto hanno ricevuto in eredità, proibiscono a
tutt’oggi di pronunciare il nome di Dio che scrivono Jahvé e leggono
Adonai.
La Quabbalah ebraica, scienza esoterica che ricerca nelle Scritture i
nomi segreti della divinità, degli angeli e di tutti gli elementi del
creato, si fonda sulla padronanza assoluta della parola, sinonimo di
potenza, sul suo valore numerico e sulle sue possibili trasformazioni.
Ciò che il pensiero formula, la parola estrinseca. Il suono
rappresenta dunque lo strumento creativo per eccellenza perché Dio
pronunciò il nome delle cose e le cose ebbero realtà.
Le scritture indiane considerano il suono seme (bija) di tutti gli
elementi ed è attraverso la sua manipolazione e ripetizione (mantra),
che i saggi pervengono a fenomeni quasi inconcepibili come
l’incorruttibilità al fuoco, il volo, la materializzazione di oggetti.
Nel suono, nella parola è racchiuso il principio della magia operativa:
ce lo conferma la fiabesca strega, intenta, mentre va rimescolando
amari intrugli, a borbottare incantesimi, sillabe potenti e solo
apparentemente insensate. Il mago Merlino dei cartoni animati che,
pronunciando una formula rituale, fabbrica meraviglie non è così
distante dal reale come vorrebbe sembrare. La magia, oltre che di
pensiero, volontà, gesti e riti è fatta anche di parole, di suoni. Una
stranezza per noi, così abituati a parlare e a udire parlare, per
strada, al cinema, in televisione, e talvolta a sproposito, che abbiamo
perduto il magico senso del suono, ancora pregnante, determinante
alle orecchie di chi sia avvezzo a lunghi, meditativi silenzi. Qualcuno,
e alcuni rabbini fra questi, giunge perfino a ritenere che siano le
parole del profeta, dell’indovino a determinare quella realtà che egli,
effettivo creatore e non semplice interprete, crede soltanto di
prevedere. I suoni, le parole, i nomi delle persone e delle cose che
normalmente pensiamo di utilizzare con l’unico fine di distinguere,
che scegliamo essenzialmente in base a criteri estetici di assonanza
e musicalità, vengono così a rivelare un loro segreto potere creativo,
evocativo. Roberto o Carlo allora? Emanuela o Tiziana? Nomina
sunt omina, sentenziavano i latini; vale a dire i nomi divengono, sono
presagi. E il suono, magia.
Il nome come evocazione di un grande personaggio, un
mito, un familiare
“Oggi, 24 ottobre, martedì, è nata Beatrice Rossi. Lo annunciano con
gioia i fratelli Matteo e Gabriele insieme a mamma e papà”. Beatrice.
La vostra Beatrice. La Beatrice degli amici e dei compagni di scuola;
una delle innumerevoli Beatrici della Terra. Il nome della vostra
bambina è legato, presumibilmente, a una piccola storia, a un
episodio della vostra vita. L’avete chiamata così per ricordare nonna
Bea, o perché la protagonista di quel romanzo che vi è tanto piaciuto
anni or sono era una giovane, graziosa Beatrice. Lo sapete voi,
domani lo saprà anche lei, la piccola proprietaria del nome. Il mondo,
invece, lo ignora. Ma quando qualcuno vi udirà chiamare vostra figlia
non potrà evitare di rievocare per un attimo la dantesca divina
fanciulla datrice, per chi conosca l’etimologia, di beatitudine. Ogni filo
ha all’estremità il suo aquilone, ogni coda il suo gatto. Ogni nome
una storia, un mito. Un piccolo o un grande personaggio, un eroe da
film o una vecchia zia. E ogni volta che voi pronunciate quel nome,
che tirate quel filo, tutto questo impalpabile bagaglio di ricordi,
nozioni, idee che lo accompagna ridiventa attuale, vivo. Il linguaggio
occultistico usa definire simili processi “forme di pensiero”,
riconoscendo loro una notevole intrinseca forza. E quanto più un
nome è comune, abusato perché legato a un mito universalmente
presente, a un personaggio celebre, a un archetipo, quanto più è
capace di evocare nella mente di una pluralità di persone lo stesso
pensiero, ricordo, immagine, tanto più diviene forte, condizionante,
coercitivo per chi lo porta. Beatrice, vuoi per effetto dell’azione sottile
e insinuante di questo addensato di forme di pensiero, vuoi per un
inconsapevole e continuo bombardamento psicologico (Beatrice, tu
sei Beatrice, tu sei Beatrice) tenterà inconsciamente di conformarsi
alla sua celebre omonima oppure di contrapporvisi manifestando
una personalità per così dire inversa rispetto a quanto il nome
sembrerebbe suggerire.
Il nome, uno dei componenti del destino
Bisogna ammettere che gli antichi, certi dell’identificazione nome
essenza, tendevano un pochino a esagerare. La loro concezione,
giustificabile in un’epoca che offriva molti nomi e poche persone,
permettendo così un’onomanzia completamente individuale,
personalizzata, comincia già a perdere valore verso il Cinquecento
quando, con la costituzione dello stato civile e la trasmissione
ereditaria dei soprannomi familiari (divenuti oggi cognomi) anche il
nome, prima unico, inizia a tendere alla pluralità. Ai nostri giorni, di
fronte a una schiera di Carli, Marie, Rose, dall’identico nome e dalle
sorti più disparate risulta piuttosto semplicistico, abbinare nomi e
destini in una rigida e inscindibile identità.
Innanzitutto, il cognome, adottato un tempo unicamente dai Romani
e risorto dal soprannome di famiglia solo nel tardo Medioevo, rientra
oggi, come entità sconosciuta agli antichi, nell’insieme della
personalità a definirla, segnarla ed eventualmente, come vedremo,
influenzarla. E non è tutto. Se nome e cognome intervengono a
particolarizzare l’individuo conferendogli il suo personale quid, il suo
sapore speciale, altri fattori, misconosciuti dalla scienza e dalla
logica comune, partecipano alla costituzione della identità: dagli astri
affacciati in cielo nel preciso istante della nascita alle linee della
mano, dal bioritmo alla conformazione del volto e della fronte,
dall’educazione impartita alle esperienze che si vengono
accumulando nel vivere, dalle origini all’ambiente, ai rapporti,
all’istruzione. Ma a differenza della mano e del viso, delle stelle e dei
ritmi cosmici che non ci è dato scegliere, il nome rappresenta uno di
quegli angoli di libero arbitrio in cui possiamo muoverci. Varrà allora
la
pena di regalare al proprio figlio un nome cercato
consapevolmente e non affidato al caso o alle mode, felice, fortunato
e gradevole: un minimo ma non inutile strumento di intervento sul
destino.
La scelta del nome
Provate a convincere il vostro figlioletto appena seienne, che avete
battezzato Antenore, del vostro amore. Provateci nel momento
cruciale dell’impatto con 29 nuovi compagni di classe pronti a
sbranare, come giovani belve affamate di humour, questo cimelio
onomastico. Il piccolo Antenore trarrà presto da sé le proprie tristi
quanto logiche conclusioni: bisogna ben odiare un bambino per
potergli infliggere una simile tortura. Il buon zio Antenore, che ci è
passato attraverso, non potrà che inviarvi cenni di approvazione
dall’aldilà se vi sarete trattenuti dall’intristire con simile eredità un
neonato tanto grazioso.
Procurate innanzitutto di scegliere per vostro figlio un nome
armonioso, piacevole. Curate che suoni bene. Ma non fermatevi qui.
La moda, gli eventi, la storia stessa tendono a imporci dei vincoli, dei
cliché: nomi di massa, nomi standardizzati. Agli inizi degli anni
Sessanta, quando una cantante di fama nazionale scovò per il
figlioletto un nome allora poco comune, Massimiliano, un esercito di
Massimiliani, oggi più o meno cinquantenni, gli fece seguito. Fu poi
la volta delle Ylenie, delle Monye, delle Katie. La vittoria della vela
italiana di un’estate di ormai parecchi anni fa ci ha regalato una
notevole quantità di Azzurre, come l’Alice “che guardava i gatti” si è
moltiplicata in un numero imprecisato di sognanti consorelle. Se
alcuni anni fa, grazie alle prodezze calcistiche, furoreggiavano i
Dieghi i “divertimenti” imperialistici del ventennio hanno portato al
trionfo Benito, Libia, Vittoria, Edda.
Qualche pennellata di rosso postsessantottesco con alcuni Emiliani
(Zapata), qualche Fidel e persino qualche “Che”; profumo di spazio
invece con Jury, Selene (Luna), mentre il film “Via col Vento” ci ha
regalato Melania. Forse già domani, quando la meteora dell’attualità
sarà declinata, nessuno ricorderà più il perché di quel nome,
nessuno relazionerà più Tizio al figlio di un’attrice caduta nel
dimenticatoio o Caio al titolo di una canzonetta che nessuno ascolta
più. Giocate pure con i nomi attuali, ma attenzione a non inciampare
nella caramellata banalità dei rotocalchi rosa. Provate a tuffare una
mano nel passato, nei miti classici, nei romanzi cavallereschi, nel
fiabesco teatro shakespeariano e ne trarrete autentici gioiellini di
onomastica, discreti, originali, capaci di conferire al nativo quell’aura
di cultura e raffinatezza sempre ben accetta in qualsiasi ambiente.
Quanto ai nomi stranieri per quanto affascinanti non concedete loro
maggior spazio di quanto non si faccia abitualmente con l’angostura
nel cocktail. Due gocce e non di più. Se infatti lo svedese Axel suona
decisamente più argentino del tremendo Assalonne o se
l’impossibile Genoveffa sa trasformarsi graziosamente in Geneviève,
non si può esimersi dal rabbrividire (pur senza fare dell’antidiluviano
nazionalismo) di fronte alla pacchiana leziosaggine di un John Rossi
o di una Daiana Bianchi (scritto proprio così, onde evitare una
pronuncia disdicevolmente nostrana!). Per chi è credente e desideri
far accompagnare il proprio bambino da un protettore invisibile, un
santo che, anche mediante l’omonimia, possa mostrargli il cammino,
l’agiografia, tra le tante soluzioni veramente impensabili, offre non
pochi nomi belli, armoniosi e attuali.
La tradizione esoterica raccomanda per i maschietti: Gabriele,
Raffaele, Ariele, Samuele, nomi fortunati perché tutti contenenti
l’appellativo divino (in ebraico El). Nel significato del nome è infatti
spesso celato il segreto della maggiore o minore fortuna del
portatore. Allegra, Gioia, Letizia, sicuramente più serene di Dolores
scivoleranno con facilità grazie alla loro gioiosa disponibilità fra gli
ostacoli della vita. Dolores invece per quanto piacevole all’orecchio,
non sarà mai una donna fortunata. Similmente sarebbe bene evitare
Claudio (lo zoppo), Livio (il bluastro), Andreina (la virile).
Il problema del nome ereditato
Dalla Svezia al Giappone, dai regnanti ai semplici pescatori di
corallo, al tempo di Giulio Cesare come alle soglie delle guerre
stellari, l’usanza di tramandare i nomi non si è ancora spenta; in certi
luoghi risulta addirittura tanto fiorente da costituire più che un
affettuoso tentativo di non perdere mai fino in fondo una persona
cara, un vero e proprio obbligo sociale cui si è tenuti, pur
controvoglia, ad adeguarsi. Considerando del nome non solo
l’aspetto estetico o legale, ma soprattutto quello esoterico, si
comprende facilmente come l’appellativo tramandato venga a
costituire per chi lo riceva una cospicua eredità, nel bene e nel male.
Lega una nuova vita a una trascorsa, un futuro ancora tutto da
inventare a un passato solo da ricordare, condannando un essere
nuovo a un inconscio ricalco di antiche, e non sempre fortunate,
orme. Inconsapevolmente nel tentativo di far rivivere qualcuno si
finisce spesso nel ricercare nel giovane omonimo, gli stessi
atteggiamenti, le stesse virtù dell’estinto, condannandolo al
contempo agli stessi difetti, allo stesso destino. Un sentiero già
tracciato, un diritto alla scelta negato.
Un meccanismo che sarà sempre più forte se a sua volta l’estinto
aveva ereditato l’appellativo da un parente che lo precedette e così
via, sempre più giù nei meandri del passato. L’induzione sottile,
impalpabile forse presente nel significato etimologico di ogni nome
risulta in questo caso centuplicata, l’invito gentile a conformarsi a
una certa caratteristica, un certo atteggiamento suggerito dal suo
senso recondito diventano qui imperativo categorico. Cautela perciò
con i nomi ereditati, cautela, per quanto il trasmissore sia stato
felice, appagato, longevo. Ancor prima del significato del nome
dovrete qui tener presente il vissuto, la fortuna, la riuscita di chi,
probabilmente ignaro, offre ai posteri, insieme a poche sillabe un
bagaglio di caratteri, atteggiamenti, eventi che continuamente
peseranno sul futuro possessore.
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