Caccia all’uomo – Robert Crais

SINTESI DEL LIBRO:
James Tyson Connor uscì da casa in una fredda ma inata d’autunno,
salì su una vecchia Volvo e con un’ora di ritardo partì per andare a
scuola. Tyson aveva diciasse e anni e frequentava il terzo anno delle
superiori presso una scuola alternativa della San Fernando Valley.
Era un ragazzo magro, nervoso, e per sua disgrazia aveva lineamenti
delicati che lo facevano sembrare ancora un bambino. A vederlo,
niente poteva suggerire che fosse uno dei criminali più ricercati di
Los Angeles.
Tyson abitava con la madre in una modesta casa a un piano in
stile ranch non lontana dall’istituto che frequentava. Io mi trovavo a
un isolato di distanza, in a esa che lui se ne andasse. Sua madre mi
aveva avvertito che sarebbe stato in ritardo. Tyson soffriva di
a acchi d’ansia e odiava andare a scuola. Era già stato espulso da
due istituti per le troppe assenze e le gravi insufficienze, e così la
madre l’aveva iscri o alla scuola alternativa per evitare che
abbandonasse gli studi. Una decisione di cui si era pentita.
La madre chiamò mentre lui si allontanava.
«Signor Cole? È qui?»
«Sono qui da quasi due ore, signora Connor. L’alba era una
meraviglia.»
«Se n’è andato. Ora può venire.»
La madre di Tyson era la segretaria di uno studio legale a Encino.
Quando aprì la porta mi trovai di fronte una bella donna dall’aspe o
curato, pronta per andare al lavoro, ma i suoi movimenti erano così
rigidi che pareva immobilizzata dal nastro adesivo.
Risalii il viale o e le tesi la mano.
«Elvis Cole.»
«Devon Connor. Grazie per essere venuto, signor Cole. Mi
dispiace che lui ci abbia messo così tanto.»
Entrai nel soggiorno e rimasi a guardarla mentre chiudeva a
chiave la porta. La casa odorava di pancake e pesce, e di qualcosa
che non riuscii a individuare. Accanto a un divano c’era un acquario
illuminato.
«Nella nuova scuola non danno importanza al fa o che arrivi così
in ritardo?»
«Con quello che si fanno pagare, dovrebbero mandare una
limousine a prenderlo.»
Si interruppe e chiuse gli occhi.
«Scusi. Sto parlando proprio come una stronza.»
«È suo figlio. E lei è preoccupata.»
«Più che preoccupata. Ho mosso mari e monti per farlo entrare in
quella scuola, e ora mi sento come se l’avessi dato in pasto a degli
animali.»
Devon aveva trovato del denaro e degli ogge i di valore nella
camera di Tyson. Era convinta che il figlio fosse entrato in un giro di
spacciatori e delinquenti, e voleva che scoprissi cosa stava
combinando. Non ero certo di volere quell’incarico.
Mi sforzai di assumere un tono rassicurante.
«Probabilmente non è così grave come pensa, signora Connor. Di
solito queste cose sembrano peggio di quanto siano in realtà.»
Mi guardò come se fossi un idiota, poi si girò di sca o.
«Mi segua. Le mostro quanto è grave.»
La camera di Tyson era piccola e aveva l’aspe o della tipica
camera da le o di un adolescente della classe media. Un casse one
di fronte all’armadio a muro, un le o sfa o nell’angolo, un comodino
invaso da la ine di bibite, sacche i di patatine e briciole. Uomini
delle Forze Speciali con occhi verdi e luminosi ci fissavano da un
manifesto di reclutamento appeso sopra il le o. La scrivania so o la
f
inestra era interamente occupata da un computer fisso, un laptop,
tre monitor e un impressionante groviglio di game controller.
«Dev’essere un giocatore serio» osservai.
«A scuola non riesce a stare fermo, ma davanti a quelli rimane
seduto per ore.»
p
Devon andò alla scrivania, aprì il casse o di mezzo e prese
qualcosa dal fondo.
«Ecco quanto è grave la faccenda.»
Mi porse un orologio con un quadrante bianco brillante, tre
contatori e tre pulsanti sulla cassa. L’inconfondibile corona Rolex
saltava agli occhi.
«Un Rolex?»
«Un Rolex Cosmograph Daytona, in oro bianco dicio o carati. Un
orologio così nuovo costa quarantamila dollari. E, anche usato, passa
i venti. Ce l’aveva al polso quando è rientrato a casa. Ma questo è un
Rolex, gli ho de o, dove l’hai preso?»
Sulla cassa e sul cristallo c’erano dei piccoli graffi, ma per il resto
l’orologio sembrava perfe o.
«E lui cos’ha risposto?»
Lei alzò gli occhi al cielo con aria disgustata.
«In un mercatino delle pulci, se lo immagina? Ha de o che era un
falso, ma io non ci credo. A lei sembra un’imitazione?»
Spinse l’orologio verso di me e io lo presi in mano. Era pesante,
massiccio. Le lance e segnavano l’ora giusta, e la lance a dei
secondi girava con silenziosa precisione, ma non ero un esperto.
«Potrebbe essere un regalo e lui non vuole che lei lo sappia?»
«Chi mai potrebbe fargli un regalo del genere?»
«Suo padre? Un nonno?»
Devon aggro ò la fronte e mi guardò di nuovo con
quell’espressione che mi faceva sentire uno stupido.
«Suo padre se n’è andato prima che Tyson nascesse, e tu i gli altri
parenti sono morti. Mio figlio non dovrebbe avere questo orologio.
Non dovrebbe avere niente di così costoso, e noi dobbiamo fermarlo
prima che si faccia ammazzare o arrestare.»
Noi.
Cercai di alleggerire un po’ la tensione.
«Forse stiamo correndo troppo. Se l’orologio è autentico, non
dovrebbe averlo, ma questo è il genere di ogge o che un ragazzo
potrebbe rubare a casa di un amico. Se Tyson ha le mani lunghe non
le serve un investigatore.»
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