Brucio – Christian Frascella

SINTESI DEL LIBRO:
Il fuoco.
La stanza, enorme, invasa dalle
fiamme, le grida, la paura. Ogni
rumore mi crepita nelle orecchie,
come legna spezzata da un calcio. Il
fumo mi annebbia la vista, le narici
invase, il respiro sempre più corto,
disperato.
Non riesco a gridare, ci provo,
ma non riesco. È terribile, è la
morte.
Cerco mia madre, cerco mio
padre, cerco Anna.
I mobili della stanza sono un
ammasso di fiamme e fumo, come
se venissero scossi da mani invisibili
e anziché polvere sputassero il giallo
ocra del fuoco, il grigio nebbia delle
fetide esalazioni. Il tavolo divampa,
e quasi esplode. Individuo un’ombra
sul muro, il muro che goccia lapilli
di lava: è la mia, che resta immobile,
non può fare niente.
Qualcosa mi sbatte a terra.
È crollata una trave, mi pesa
addosso, è un macigno arroventato,
un’entità di fiamma che non dà
scampo.
Brucio.
Brucio, la fiamma mi erompe in
petto, prendo fuoco. Con tutta la
forza che mi rimane, spingo la trave,
la spingo, ma le mani e le braccia
prendono fuoco. Qualcosa guizza
sulla mia faccia, è uno schizzo
incandescente, come un chiodo, un
sostegno che è scoppiato verso il
mio viso.
Il chiodo mi taglia la faccia con
la sua strisciata ardente.
«Mamma!» grido, riesco a
gridare in tutto quel dolore, in quella
paura bollente che mi graffia la
guancia, lo zigomo, la fronte, quasi
mi apre in due la testa. «Papà!
Anna!»
Vorrei
aggiungere:
“Aiutatemi, aiutatemi, sono qui…”.
La testa si apre come un melone
marcio, e adesso con un occhio
guardo verso il divano che ribolle di
fuoco all’angolo destro, con l’altro
vedo solo un mondo nero con
scariche gialle e ocra – la testa è
segata in due verticalmente, sto per
morire, forse sono già morto.
Le mani, le braccia, il torace
bruciano,
sento
il
puzzo
nauseabondo della mia carne che
arrostisce. “Aiuto”, ma la mia bocca
è divisa, e così i miei denti, il mento,
tutto.
Le fiamme attaccano le ossa, che
sembrano cigolare, come se la mano
del fuoco le stesse grattando,
arpionando,
stringendo
spezzarle.
per
Grido con tutto ciò che mi resta
di sano in corpo, grido di sconforto e
terrore. Grido con quello che rimane
della
mia
voce,
dell’aria
carbonizzata nei miei polmoni.
La morte mi prende, mi scuote.
Mi schiaffeggia con foga.
E poi una voce, una voce che
risale dal nulla in cui stavo
precipitando, una voce di uomo, non
quella di mio padre.
Dice:
«Oh,
Tommaso,
Tommaso!».
Altri scossoni, altri schiaffi.
«Svegliati!»
Apro gli occhi. Mi aspetto di
rivedere la stanza enorme, i soffitti
esplosi, le pareti devastate dall’urlo
delle fiamme, il tavolo in cenere, il
fumo che sale alto nel cielo scuro.
Ma no.
Ciò che vedo è il faccione sudato
di un uomo chino su di me, gli occhi
sgranati
di
preoccupazione
e
inquietudine, la mascella contratta.
La testa pelata, e un paio di baffi
incolti sotto il naso irregolare.
Parla ancora, la voce un misto di
apprensione e panico: «Sei sveglio,
adesso?».
«Sì» farfuglio, la bocca una
cloaca di fumo.
«Stavi sognando, hai strillato
peggio di mia moglie quando ha i
suoi giorni del cavolo.»
«Mi scusi.»
Si rilassa, decontrae le spalle. Il
mio cuore, invece, pulsa come un
pistone, me lo sento nelle orecchie, è
come se fossi fatto solo dei miei
battiti.
«E meno male che ti abbiamo
sistemato in questa stanza!»
Non è proprio una stanza, è una
baracca, indipendente rispetto alla
loro casetta su due piani. Qui ci sono
gli arnesi da lavoro del tizio – seghe,
martelli, chiavi, chiodi appesi alla
parete di legno sul bancone, dove
c’è una cassetta degli attrezzi, una
tanica di olio per ingranaggi. La luce
proviene da un’unica lampadina
appesa a un filo, che oscilla come
indecisa sul da farsi. L’aria sa di
muffa.
Quando ho visto questa baracca,
però, questo garage staccato dalla
casa, ho subito chiesto di poter stare
qui invece che dentro, a condividere
la stanza con mobili tristi e
impersonali.
La donna ha protestato, ma il
marito le ha detto di farmi fare
quello che volevo, almeno all’inizio.
Per ambientarmi.
Così abbiamo sistemato la
brandina su cui sto sdraiato, che
anche adesso strilla cigolii.
«Ma appena ti sei ambientato» ha
concesso la donna, calcando le
sillabe dell’ultima parola, come
provenisse dal linguaggio di un altro
pianeta, «vai a sistemarti nella tua
stanza al piano di sopra. Altrimenti
l’assistente sociale penserà che ti
trattiamo come un cane. E di cani
non ne ho mai voluti.»
Mi metto seduto sulla branda,
allontano la coperta.
L’uomo mi guarda come se
aspettasse una spiegazione, i suoi
acquosi occhi azzurri sembrano
dondolare col filo della lampadina
del soffitto.
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo