Attesa di Dio – Simone Weil

SINTESI DEL LIBRO:
Caro Padre,
mi decido a scrivervi… per chiudere, almeno fino a nuovo
ordine, i nostri colloqui sul mio caso. Sono stanca di parlarvi
di me perché sono un argomento miserevole; ma vi sono
costretta dall'interessamento che mi dimostrate con la
vostra carità.
In questi giorni mi sono interrogata sulla volontà di Dio:
in che cosa consiste e in quale maniera possiamo riuscire a
conformarci ad essa completamente. Vi dirò ora che cosa ne
penso.
Bisogna distinguere tre campi. Il primo è costituito da ciò
che non dipende in nessun modo da noi, e cioè tutto ciò che
avviene nell'universo in questo momento e tutto ciò che sta
per compiersi o si compirà in seguito, al di fuori della nostra
portata. Quanto avviene in questo campo è, senza
eccezione, volontà di Dio, e qui bisogna dunque amare
assolutamente tutto, nel suo insieme e nei particolari,
compreso il male sotto ogni forma: specialmente i nostri
peccati trascorsi, in quanto sono trascorsi (bisogna invece
odiarli, se per caso la loro radice è ancora presente), le
nostre sofferenze passate, presenti e future, e, ciò che di
gran lunga è più difficile, le sofferenze degli altri nella
misura in cui non siamo chiamati ad alleviarle. In altre
parole, dobbiamo sentire la realtà e la presenza di Dio
attraverso tutte le cose esteriori, senza eccezioni, con la
stessa chiarezza con cui la mano sente la consistenza della
carta attraverso la penna e il pennino.
Il
secondo campo è quello sottoposto al dominio della
volontà. Esso comprende le cose puramente naturali, vicine,
facilmente rappresentabili per mezzo dell'intelligenza e
dell'immaginazione, tra le quali possiamo scegliere, disporre
e combinare dall'esterno alcuni mezzi determinati in vista di
scopi determinati e definiti. In questo campo si deve
eseguire senza debolezze e senza indugi tutto quanto ci
appare chiaramente come un dovere. Quando nessun
dovere ci appare con evidenza, bisogna seguire talvolta
regole scelte più o meno arbitrariamente, ma fisse; e
talvolta seguire l'inclinazione, ma in misura limitata. Infatti
una delle forme più pericolose del peccato, o forse la più
pericolosa, consiste nel situare l'illimitato in un ambito
essenzialmente limitato.
Il
terzo campo è quello delle cose che, senza essere
poste sotto il dominio della volontà e senza essere connesse
con doveri naturali, non sono però del tutto indipendenti da
noi. E' il campo in cui noi subiamo una costrizione da parte
di Dio, a condizione che meritiamo di subirla e nella esatta
misura in cui la meritiamo. Dio ricompensa l'anima che
pensa a lui con attenzione e con amore, e la ricompensa
esercitando su di lei una costrizione rigorosamente,
matematicamente proporzionale a quell'attenzione e a
quell'amore. Dobbiamo abbandonarci a questa spinta,
correre sino al punto preciso cui ci conduce, e non fare un
solo passo in più, nemmeno verso il bene. Nello stesso
tempo dobbiamo continuare a pensare a Dio con amore e
attenzione sempre maggiori per ottenere con questo mezzo
di essere spinti sempre più avanti, di essere oggetto di una
costrizione che si impadronisca di una parte perpetuamente
crescente dell'anima. Quando la costrizione si è impadronita
di tutta l'anima, si è nello stato di perfezione. Ma a
qualunque grado ci si trovi, non dobbiamo fare nulla più di
ciò a cui siamo irresistibilmente spinti, nemmeno in vista del
bene.
Mi sono interrogata anche sulla natura dei sacramenti e
vi dirò a che conclusioni sono giunta.
I sacramenti hanno un valore specifico che costituisce un
mistero, in quanto implicano una certa specie di contatto
con Dio, contatto misterioso ma reale. Nello stesso tempo,
hanno un valore umano in quanto simboli e cerimonie. Sotto
questo aspetto non differiscono essenzialmente dai canti,
gesti e parole d'ordine di certi partiti politici; perlomeno, non
se ne differenziano essenzialmente di per se stessi; se ne
differenziano invece infinitamente per la dottrina a cui si
riferiscono. Credo che la maggior parte dei fedeli (compresi
anche alcuni che sono convinti del contrario) abbiano
contatto con i sacramenti solamente in quanto simboli e
cerimonie. Per quanto stupida sia la dottrina di Durkheim,
che confonde il religioso con il sociale, essa racchiude
tuttavia una verità, e cioè che il sentimento sociale somiglia
a tal punto al sentimento religioso da trarre in inganno. Gli
somiglia come un diamante falso somiglia a un diamante
vero, in maniera da trarre effettivamente in inganno chi non
possiede il discernimento soprannaturale. Del resto, la
partecipazione sociale e umana ai sacramenti, in quanto
cerimonie e simboli, è cosa eccellente e salutare, come
prima tappa per chi si è avviato su questo cammino.
Tuttavia essa non è una partecipazione ai sacramenti in
quanto tali. Credo che soltanto coloro che sono al di sopra di
un certo livello spirituale possano partecipare ai sacramenti
come tali. Chi invece è al di sotto di questo livello, fino a
quando non l'abbia raggiunto non apparterrà mai, per
quanto faccia, alla Chiesa propriamente detta.
Per quanto mi riguarda, penso di essere al di sotto di quel
livello. Per questo motivo l'altro giorno vi ho detto che mi
credo indegna dei sacramenti. Non è un pensiero che
proviene da un eccesso di scrupolo, come avete creduto voi.
Si basa invece, da una parte, sulla coscienza di colpe ben
precise nell'ordine dell'azione e dei rapporti con gli esseri
umani, colpe che sarebbero gravi e vergognose anche
secondo il vostro giudizio, e per di più frequenti; dall'altra
parte, e in misura maggiore, si basa su un diffuso
sentimento di insufficienza. Non mi esprimo così per umiltà.
Se possedessi la virtù dell'umiltà, la più bella delle virtù,
forse non mi troverei in questa miserabile condizione di
insufficienza.
Per concludere con quanto mi riguarda, penso che questa
specie di inibizione che mi trattiene fuori della Chiesa derivi
sia
dallo stato d'imperfezione in cui mi trovo, sia
dall'opposizione che nasce dalla mia vocazione e dalla
volontà di Dio.
Nel primo caso non posso porre rimedio direttamente a
questa inibizione, bensì soltanto indirettamente, diventando
meno imperfetta, se la grazia mi aiuta. A questo scopo devo
soltanto sforzarmi di evitare le colpe nell'ambito delle cose
naturali e allo stesso tempo dedicare un'attenzione e un
amore sempre maggiori al pensiero di Dio. Se la volontà di
Dio è che io entri nella Chiesa, egli mi imporrà questa
volontà nel momento stesso in cui meriterò quanto mi
impone. Nel secondo caso, se la sua volontà è che io non vi
entri, come potrei entrarvi? So bene quanto mi avete spesso
ripetuto, che il battesimo è la via comune della salvezza,
almeno nei paesi cristiani, e che non vi è alcuna ragione
perché io debba seguire una via eccezionale. E' evidente.
Del resto, qualora non mi toccasse passare per questa via,
che cosa potrei fare? Se fosse concepibile che ci si possa
dannare obbedendo a Dio e salvarsi disobbedendogli, anche
in questo caso sceglierei l'obbedienza.
Mi sembra che Dio non voglia che io entri nella Chiesa in
questo momento. Infatti, come vi ho già detto, l'inibizione
che mi trattiene si fa sentire con altrettanta forza nei
momenti di attenzione, di amore e di preghiera. Eppure ho
provato una grandissima gioia sentendovi dire che i miei
pensieri, come ve li ho esposti, non sono incompatibili con
l'appartenenza alla Chiesa e che quindi, nello spirito, non le
sono estranea.
Non posso fare a meno di continuare a domandarmi se,
in questi tempi in cui gran parte dell'umanità è sommersa
dal materialismo, Dio non voglia che vi siano uomini e
donne che, pur essendosi votati a lui e a Cristo, rimangano
fuori della Chiesa.
In ogni caso, quando mi rappresento concretamente, e
come evento che potrebbe essere prossimo, l'atto che mi
introdurrebbe nella Chiesa, nulla mi rattrista più del
pensiero di separarmi dalla massa immensa e sventurata
dei non credenti. Ho un fondamentale bisogno - credo di
poter parlare di «vocazione» - di passare fra gli uomini e i
diversi
ambienti
umani confondendomi con essi,
assumendone lo stesso colore, fin là dove, almeno, la mia
coscienza non vi si oppone, scomparendo fra loro, per far sì
che si mostrino quali sono, senza mutare volto per me.
Desidero conoscerli come sono, per amarli così come sono.
Diversamente, infatti, non sarà loro che io amerò, e il mio
amore non potrà essere vero. Non parlo di aiutarli, poiché
disgraziatamente me ne sento ancora del tutto incapace.
Penso che in nessun caso entrerei in un ordine religioso,
perché non voglio che un abito mi separi dal resto degli
uomini. Vi sono esseri per i quali questa separazione non è
un inconveniente, poiché la stessa naturale purezza della
loro anima li separa dalla maggior parte degli uomini. Io
invece, come credo di avervi detto, porto in me il germe di
ogni crimine, o quasi. Me ne sono accorta specialmente
durante un viaggio, nelle circostanze che vi ho raccontate. I
delitti mi facevano orrore, ma non mi sorprendevano; ne
sentivo in me stessa la possibilità; anzi, mi facevano orrore
proprio perché ne sentivo in me questa possibilità. E' una
predisposizione naturale pericolosa e penosissima, la quale
però, come ogni disposizione naturale, può servire al bene
se con l'aiuto della grazia sappiamo utilizzarla come
conviene. Essa implica la vocazione a rimanere in certo qual
modo anonimi, pronti a mescolarci in qualsiasi momento
con l'umanità comune. Ai nostri giorni l'atteggiamento degli
spiriti è tale che esiste una barriera più netta, una
separazione più grande fra un cattolico praticante e un non
credente, che fra un religioso e un laico.
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