Addicted – Valentina Facchini

SINTESI DEL LIBRO:
Cambiare spesso è necessario, anche se non è né voluto né frutto
di una scelta consapevole. A volte ci si ritrova in quelle situazioni in
cui o si trasforma la propria vita o se ne subiscono le conseguenze.
Era esattamente ciò che stava succedendo a me, ed era arrivato il
momento di cambiare qualcosa.
Erano tre anni che lavoravo nell’azienda del padre di Jason, il mio
fidanzato. Anzi, ex fidanzato. Faticavo ancora a rendermene conto,
ma ormai non eravamo più una coppia da un mese. E per quanto
fossimo rimasti in buoni rapporti, non era più il caso che restassi lì.
Sentivo gli sguardi di pietà dei colleghi rivolti nei suoi confronti, e di
rabbia nei miei.
Tutto solo perché ero stata io a prendere la decisione di smettere,
di dire di no a una proposta di matrimonio per la quale non mi
sentivo pronta. Credo che a ventiquattro anni nessuno possa dirsi
convinto di passare il resto della vita con qualcuno. Per me il
matrimonio era qualcosa di serio; avevo passato gli ultimi quindici
anni della mia vita in una famiglia vera, con due persone che si
amavano.
Volevo altrettanto: quel desiderio negli occhi di mio padre quando
si posavano su mia madre.
Volevo bene a Jason, ma non era sufficiente; non era quell’amore
che mi costringeva a restare sveglia la notte a pensare a lui. E io
desideravo ardentemente provare una cosa del genere.
Era per quel motivo che avrei presto presentato le dimissioni al
mio capo. Non potevo rimanere in un posto in cui mi odiavano, e non
sopportavo più di vedere Jason ogni giorno, costringendomi a
comportami come se non fosse accaduto nulla. Sapevo che mi
amava ancora e temevo che se fossi rimasta lì, accanto a lui, non
sarebbe riuscito ad andare avanti.
E fu così che mi trovai in una sala ad aspettare che chiamassero il
mio nome per un colloquio. Ero seduta su una di quelle sedie
d’ufficio moderne, belle ma scomode. Quell’azienda avrebbe
rappresentato un avanzamento nella mia carriera: mi ero sempre
occupata del reparto vendite per piccole realtà, mentre lì avrei
gestito inserzioni pubblicitarie per i giornali più importanti.
Avevo i palmi delle mani sudati e la gamba destra non smetteva di
tremare. Fortunatamente ero da sola, perché i miei tacchi
producevano un rumore molto fastidioso contro il marmo del
pavimento.
Accarezzavo la mia borsa di pelle marrone, il mio porta fortuna.
Era appartenuta a mia madre e non me ne separavo da quando era
morta.
Finalmente dalla porta di vetro uscì la segreteria alla quale avevo
consegnato il mio curriculum, che mi chiamò.
«Signorina Brown, prego, mi segua», esordì, restando accanto
alla porta e aspettando che la raggiungessi.
La seguii lungo un corridoio bianco, pieno di quadri moderni, che
guardai solo di sfuggita. Ero occupata a tenere il passo della
ragazza davanti a me, che sembrava stesse correndo per una
maratona sui tacchi.
All’improvviso si fermò davanti a un ufficio, le cui vetrate erano
oscurate, e per poco non andai a sbattere contro la sua schiena.
«La sta aspettando». Mi scaricò lì davanti come fossi un sacco
della spazzatura e la vidi andare via.
Mi guardai intorno: per il corridoio non c’era nessuno e da dentro
non proveniva alcun rumore. Strinsi la maniglia con una mano,
bussai con l’altra ed entrai.
L’atmosfera formale che avevo respirato nell’ufficio fino a quel
momento cambiò improvvisamente. Davanti a me c’era una ragazza
dai capelli rossi corti e gli occhi curiosi. Poteva quasi sembrare un
folletto. Era seduta dietro alla scrivania, in attesa che dicessi
qualcosa.
«Salve, sono Noelle Brown». Mi porsi in avanti per stringerle la
mano. Mi ricordai il capitolo del libro Il colloquio perfetto che dava
molta importanza alla stretta: non doveva essere molle, ma
nemmeno rompere le dita al povero malcapitato.
Ero tesa, e quando mi trovo in quel particolare stato emotivo
rischio sempre di parlare più del dovuto. Mi sedetti su una delle
sedie di plastica trasparente poste davanti alla scrivania,
sicuramente di un designer costoso.
«Molto piacere, signorina Brown, sono Cecile DeLuca, mi occupo
di selezionare il personale per la Spot Publishing», mi comunicò lei
in modo formale, mentre si accomodava di nuovo. «Allora, leggo dal
suo curriculum che lavora nella sua azienda da quando si è laureata,
tre anni fa. Come mai vuole cambiare?», mi chiese, accompagnando
le sue parole con un sorriso di circostanza.
Le mani erano sempre più umide, ma non volevo fare una
figuraccia asciugandomele contro il tessuto di cotone nero della
gonna. Strinsi i palmi, cercando di non gesticolare troppo e di trovare
una risposta che non fosse la verità. A nessuno piace sapere che
una dipendente ha avuto una storia con il figlio del capo, soprattutto
in una società grande come quella, dove le denunce di molestie
sessuali solo l’incubo peggiore.
«Voglio crescere professionalmente, e so che non potrebbe
accadere se rimanessi ancora lì», risposi più sicura di me. In fondo
non stavo mentendo. Lì vendevo cancelleria per l’ufficio, mentre la
Spot Publishing era tutto a un altro livello: si occupava delle vendite
di spazi pubblicitari sulle riviste e sui giornali più importanti del
Paese.
Lei sembrò soddisfatta della risposta, abbassò lo sguardo solo per
scrivere qualche appunto sul suo blocco e poi iniziò a pormi delle
domande tecniche. Non tentennai mai e cercai di essere concisa ma
precisa, seguendo sempre i consigli del manuale che avevo letto
qualche settimana prima.
«Un’ultima cosa e poi la lascio andare. Si sente pronta a un
cambiamento del genere? Qui sarà tutto molto diverso, dovrà
mettersi in gioco, le sarà richiesto il massimo impegno e almeno
all’inizio molti straordinari», chiosò lei, puntandomi contro la sua
espressione più seria.
La bocca mi si seccò, cercai di inghiottire quella poca saliva che
ancora avevo e provai a nascondere il terrore che mi attanagliò lo
stomaco. Non potevo certo dirle che avevo una situazione a casa
talmente incasinata per cui mi trovavo a fare da madre ai miei due
fratelli minori, mentre mio padre si limitava a sopravvivere. Allo
stesso tempo non potevo continuare a rimanere a lavorare con
Jason.
«Assolutamente sì. Sento che per me è il momento giusto per
voltare pagina e dimostrare chi sono veramente», dissi decisa,
mostrando una sicurezza che non sapevo di possedere.
Ricacciai indietro per un attimo la paura di come mi sarei potuta
organizzare con i bambini, visto che avrei dovuto pensare
seriamente a una baby sitter per non fare più tanto affidamento su
Molly, la vicina di casa.
«Per il momento è tutto, non le nascondo che lei corrisponde ai
requisiti che stiamo cercando, ma devo vedere altre due persone
prima di prendere una decisione», mi fece sapere mentre si alzava e
mi porgeva la mano per congedarmi. La strinsi sperando che la mia
non fosse così sudata come immaginavo.
Sorrisi e dopo averla salutata mi chiusi la porta alle spalle,
ricominciando a respirare di nuovo. Ancora sorridevo. Per una volta
ero soddisfatta, il colloquio era andato benissimo, ero stata sicura di
me e non avevo lasciato che i miei problemi familiari mi
condizionassero il futuro, di nuovo.
Percorsi a ritroso il lungo corridoio, incrociando la segretaria che
mi aveva accompagnato prima insieme a un ragazzo che faticava a
starle dietro.
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