Un caffè con Raffaello – Marilena Boccola

SINTESI DEL LIBRO:
Circa sette mesi prima...
È come se mi fossi tolta un peso dal petto mentre, seduta sull'erba, la
Fortezza Albornoz alle spalle, osservo estasiata l'intrico di vie precipitare
sotto di me e le colline ancora verdi, tutto intorno, digradare dolcemente fino
a confondersi con l'azzurro del cielo, in infiniti strati di velo trasparente.
Sembra lo sfondo di un dipinto rinascimentale.
Finalmente, ho il titolo della tesi; il professor Storti ha accettato di farmi
da relatore. Non sto più nella pelle. Se tutto andrà bene, durante quest'anno
accademico terminerò gli esami ed entro la prossima estate sarò laureata.
Resto, per un tempo che mi appare infinito, a fissare l'orizzonte,
percepisco il sole ancora caldo di fine settembre sul viso, l'aria profumata di
vendemmia nelle narici. Mi sento appagata e soddisfatta. Soprattutto, non
vedo l'ora di incominciare.
Estraggo il cellulare e scrivo un messaggio sul gruppo WhatsApp che io,
Edo e Melissa abbiamo creato.
Storti mi ha dato il titolo: "I misteri di Raffaello, principe dell'arte".
Aggiungo una faccina con gli occhi a cuore e attendo le risposte, che però
non arrivano. Ogni tanto sbircio il display, ma niente. All'improvviso, ricordo
che i miei amici sono in biblioteca a studiare; le lezioni inizieranno fra una
settimana. Probabilmente, hanno tolto la suoneria ai loro telefonini. Pazienza!
Rimango ancora per un po' seduta sulla collina con le ginocchia strette al
petto, la borsa con i libri abbandonata al mio fianco, il vento tiepido nei
capelli e, sicuramente, l'aria sognante. Mi incanto a fissare le nuvole solcare il
cielo,
come gonfi batuffoli di zucchero filato, che cambiano
impercettibilmente forma, fino a sfaldarsi.
Mi riscuoto al suonare incessante delle campane di una chiesa sottostante.
Già mezzogiorno! Mi alzo di scatto, afferro le mie cose e corro via, giù per le
strade in vertiginosa discesa. Ho voglia di raggiungere gli amici, di
condividere con loro la mia gioia. I miei passi risuonano lievi
sull'acciottolato, mentre percorro le vie a perdifiato. Mi fermo soltanto
quando sono davanti alla casa di Raffaello. Freno di colpo, come un cavallo
lanciato al galoppo al quale abbiano improvvisamente tirato le briglie.
Ansante, la gola arsa e una mano premuta sul fianco dove la milza punge
in maniera insopportabile, sbircio dalle finestre rispecchiandomi nei vetri.
Intravedo la mia immagine: una smorfia di dolore mi deforma il viso, ma
cerco di guardare oltre. È come se una calamita mi attirasse al di là della
soglia; eppure, quante volte ho visitato il luogo in cui è nato il mio
beniamino? Infinite.
Niente da fare, mi tocca entrare. Esibisco la mia tessera di studentessa
universitaria, affondo le mani nelle tasche della giacchetta che indosso,
estraggo una banconota stropicciata e la porgo al signore alla cassa. Afferro
le poche monete di resto che mi posa sul palmo della mano e mi lascio
trascinare tra le stanze di un bianco abbagliante, in contrasto con i dettagli di
legno marrone scuro.
L'atmosfera che regna qui dentro è magica, mi riporta indietro nel tempo,
all'aria quattrocentesca che è possibile respirare anche visitando il Palazzo
Ducale di Urbino. Ah, come avrei voluto vivere ai tempi di quel grandissimo
mecenate che è stato Federico da Montefeltro! Ho sbagliato epoca, ne sono
sempre più convinta.
Mi aggiro nei vari ambienti, dando involontarie spallate ai turisti,
consapevole di apparire posseduta da una smania inspiegabile, che mi fa
prudere le mani e respirare velocemente, senza che l'aria scenda oltre il petto,
tanto che sento il cuore scoppiare. Altre persone volteggiano attorno a me,
impedendomi di proseguire speditamente, come le mie gambe impazienti
vorrebbero fare.
Infine, giungo al cospetto della Madonna di Casa Santi, attribuita a
Raffaello ancora ragazzino, e il tumulto che mi ha spinta fin qui sembra
placarsi. Mi lascio rapire dal velo impalpabile che racchiude i capelli della
Vergine, raccolti sulla nuca, indizio che mi riporta a lui, così come il libro
che regge in mano – Questa è la prima delle sue Madonne del libro,
considero – ma niente è paragonabile alla dolcezza dei suoi visi, alla soavità
celestiale delle scene che il maestro ha saputo dipingere con i suoi pennelli
divini e che questo piccolo affresco giovanile già racchiude.
D'un tratto sono io quel bimbetto paffuto che dorme beato in grembo a
sua madre, una mamma serena, moderna, che senza sensi di colpa dà spazio a
tutte le dimensioni del suo essere.
Davvero, la pittura di Raffaello ha qualcosa di trascendentale, quasi di
ipnotico per me; e mentre l'atmosfera mi appare irreale, io mi sento leggera e
fluttuante.
«Ti piace, eh?»
Ripiombo di colpo nella realtà. Accanto a me un uomo mi fissa, cercando
di decifrare l'espressione del mio viso.
Lo guardo, alzando e abbassando la testa ripetutamente, come i muli,
sicura di apparire una povera scema, ma sono senza parole sia per il dipinto
sia per il tizio al mio fianco. Forse sto ancora sognando, ma lui è troppo
bello! I capelli gli ricadono lunghi sulle spalle, ha una specie di pizzetto
appena accennato e gli occhi scuri e penetranti. Assomiglia a qualcuno, ma
non saprei dire a chi. Sicuramente, la raffinata bellezza dei suoi tratti, quasi
femminea, mi turba.
«Pensi davvero che lo abbia dipinto...» Esita. «Ehm, lui?»
«Cosa?» Mi ha parlato di nuovo, ma sono ancora frastornata e non ho
capito cosa mi ha chiesto.
«Ci credi all'attribuzione che è stata data a questo affresco?» continua.
Mi costringo ad attivare il cervello, in un misto di stupore, attrazione e
fastidio. «Sì, perché dovrei dubitarne?» rispondo. In fin dei conti, mi appresto
o non mi appresto a scrivere una tesi su Raffaello?
«Cosa ti rende così sicura?»
Ribatto prontamente, come se mi stesse interrogando il mio relatore: «Il
profilo di Maria assomiglia a quello dell'ancella raffigurata nella Natività
della Vergine, sulla predella della Pala di Fano, opera del Perugino e della
sua bottega, perciò...».
«Vedo che hai studiato, ma non fidarti troppo di quello che leggi sui
libri!»
Continua a fissarmi con un sopracciglio sollevato, l'espressione beffarda
in contrasto con quel suo viso angelico che, sinceramente, mi fa ribollire il
sangue nelle vene.
«Sono laureata in Storia dell'Arte e sto prendendo la specializzazione» lo
sfido, alzando il mento.
Scoppia a ridere, divertito, ma non so se per il mio improvviso moto
d'orgoglio o per qualcos'altro. In ogni caso, la sua ilarità mi irrita. D'accordo,
è un tipo affascinante, ma cosa vuole da me?
Lo guardo seria, mentre lui continua a ridacchiare, cercando inutilmente
di reprimere un sorrisetto fastidioso. Quando ci riesce, si scusa, poi aggiunge:
«Hai detto di essere in procinto di specializzarti in Storia dell'Arte con una
tale convinzione! Come se questo ti potesse salvare da tutte le sciocchezze
del mondo». Lo coglie un altro singulto, ma prosegue: «E ti assicuro che gli
storici dell'arte ne hanno dette tante nei secoli!».
Faccio per voltargli le spalle e andarmene. Direi che ne ho avuto
abbastanza di questo presuntuoso. Peccato, si presentava meglio di quanto sia
veramente! Butto un'occhiata all'orologio: quasi l'una. Fra poco chiuderanno
la Casa Museo, invece Edo e Melissa staranno sicuramente uscendo dalla
biblioteca per mangiare un boccone. Se mi do una mossa, riesco a
raggiungerli in centro.
«Ehi, aspetta!» Mi afferra per un braccio e mi fa girare di nuovo verso di
lui.
«Devo andare...»
«Prendiamo qualcosa insieme...»
«No, grazie» ribatto, il tono monocorde, anche se lo sguardo implorante
che mi rivolge inizia a far vacillare la mia determinazione.
«Dai...» insiste.
Altro che angelo, questo è un diavolo, penso. E poi gli dico: «Non ci
siamo nemmeno presentati».
«Si fa presto a rimediare: piacere, Raf!» Mi allunga una mano.
«Raf? Come il cantante?» chiedo con una smorfia. Faccio la sostenuta
ignorando la sua mano tesa, fino a quando lui la ritira.
«Come chi?» domanda, senza aspettare la risposta. «Raf, come
Raphael...» spiega, passandosi una mano tra i capelli e scoprendo la fronte
ampia. Sembra quasi imbarazzato quando aggiunge, sornione: «Raphael
Urbinas, no?».
«Come no?» Adesso sono io a ridere di gusto, mentre lui si limita a
guardarmi strizzando un po' gli occhi, come per mettermi meglio a fuoco.
«Va be', io sono Caterina.»
«Piacere di conoscerti, Caterina» calca volutamente sulla pronuncia del
mio nome e mi afferra la mano senza lasciarmi più vie di scampo.
La sua stretta mi dà i brividi, forse perché ha le dita gelate o più
probabilmente perché il suo sguardo penetrante entra prepotente nel mio,
cancellando l'ultima ombra di sorriso che mi era rimasta sulla faccia.
Non so come, mi ritrovo seduta a un tavolino all'aperto in piazza della
Repubblica assieme a questo tipo che mi attrae e mi irrita al contempo.
Attorno a noi c'è un gran via vai di studenti universitari tornati a Urbino per
la sessione autunnale degli esami, di impiegati usciti dall'ufficio per la pausa
pranzo e di qualche turista. Infatti, non arriva nessuno a prendere le
ordinazioni. Guardo l'orologio furtivamente; ho fretta di ritrovare i miei
amici. Mi alzo in piedi di scatto, Raf segue con gli occhi il mio viso piegando
la testa all'indietro e i capelli gli ricadono lucidi sul bavero del lungo
spolverino che indossa.
«Cosa prendi?» gli chiedo. «Io avrei un po' fame a questo punto...»
Liquida la mia domanda con un gesto della mano e un'espressione
indecisa sul viso.
«Mi hai quasi costretto a venire al bar con te e adesso non prendi niente?»
«Boh... Un caffè?» replica.
«Se non lo sai tu...»
«Vada per un caffè!»
«Okay.»
Mi allontano verso il bancone e appena fuori dalla sua visuale chiamo
Melissa: «Meli, dove siete?».
«Io e Edo stiamo andando alla mensa, ci raggiungi?»
«Avrei tanto voluto, ma...» cerco di spiegare con fare circospetto, mentre
tengo d'occhio Raf ancora seduto laggiù. Sembra guardarsi attorno
incuriosito.
«Ma...? Cate, come sei misteriosa!»
«È che ho incontrato un uomo...»
«Wow! E com'è? Carino?»
«Sì, decisamente, però un po' saccente. Mi ha praticamente trascinata a
bere qualcosa e adesso sono qui con lui.»
«Qui dove?»
«All'imbocco di via Vittorio Veneto.»
«Mangiamo velocemente, poi ti raggiungiamo nel caso tu abbia bisogno
di essere salvata. Ehi, ma non mi dici niente del professor Storti?» mi
domanda infine entusiasta.
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