Nell’inferno dei narcos – Miriam Marcazzan

SINTESI DEL LIBRO:

Dove la nasconderai?», mi chiede Davide.
«La infilerò nella vagina», rispondo «faccio un tubo morbido che la
mantiene tutta unita. Lì dentro i cani e i raggi non la vedranno, a
meno che non mi facciano uno scanner».
«Dai, stai tranquilla vedrai che andrà tutto bene».
Davide cerca di tranquillizzarmi. Passiamo una notte magica,
abbracciati, e lui che continua a dirmi: «Se vuoi ci fermiamo ora».
Non posso più fermarmi, so che devo partire. Devo tornare in
Italia. A casa.
Al mattino vado con calma in bagno con un barattolino di vaselina.
È fredda e orribilmente viscida, troppo grande per il mio corpo. Mi
prende il panico: il tubo sembra non starci tutto. Mando Davide a
prendermi un caffè per potermi stendere sul letto e tentare di rilassare
i muscoli interni. Fa male, accidenti, ma sono così corta dentro? Alla
fine riesco a spingere il tubo in profondità, ma quando mi siedo
sporge ancora un centimetro, provocandomi un dolore atroce. Mi
stendo ancora e sollevando le natiche a ponte, riesco a farlo entrare
completamente. Spingo fino a dargli una piegatura per essere sicura di
non sentirlo uscire tra le gambe in aereo o, peggio, in aeroporto.
Davide ritorna nella stanza e si accorge subito che sono pallida.
«Non ho niente, solo che il mio corpo deve abituarsi a camminare con
un paletto dentro». Ci scambiamo un bacio intenso, usciamo dall’hotel
e ci dirigiamo verso un taxi. Lui è più nervoso di me.
«Miriam non sai quanto mi faccio schifo, ma è più forte di me.
Perdo sempre tutto per questa merda, non vedo più nulla, aiutami se
puoi». Mi si stringe il cuore, piango con lui. «Non ti lascerò mai».
L’importante per me è che Mickey non resti solo, almeno uno dei due
deve tornare a casa.
Entriamo e consegniamo le valigie. Davide si rivolge all’operatore
dietro il banco della consegna: «Finalmente! Non vedo l’ora di
rientrare in Italia». «Sì certo», gli risponde quello «ma non siete ancora
partiti». Ha gli occhi di ghiaccio, non li stacca da Davide.
Ci dirigiamo alle porte passeggeri per passare il metal detector, io
comincio a raccontare una barzelletta per esorcizzare la paura. Ci
avviciniamo sorridendo a due poliziotte: sul badge di una delle due
leggo il nome: Esmeralda Silva Rincon. Finché avrò vita non lo
dimenticherò. Mi passano il metal, tutto a posto. Poi lo passano su
Davide. «Prego, buon viaggio». Guardo Davide che sorride a
trentadue denti. «Non ridere scemo, sorridi normalmente che magari
cambiano idea».
Chiamo Verona dalla cabina del duty free. Mi risponde Mickey, che
felicità! «Amore, sto arrivando». Poi mi passa la nonna che è
preoccupatissima e me ne dice di tutti i colori: erano giorni che non
chiamavamo più. «Dai, muoviti a tornare».
Al gate una hostess e il comandante controllano i passaporti. Ci
chiedono di attendere un momento. «C’è stata una piccola confusione
per i posti prenotati con volo aperto, nessun problema». Davide
sbianca. Mai sentita una scusa più banale. Mi giro verso il corridoio e
capisco che è finita.
Arrivano quattro poliziotti, due sono donne. Ci prendono
sottobraccio. Merda, che succede?
È proprio Esmeralda a chiedermi: «La valigia è tua?».
Guardo Davide che tiene lo sguardo fisso in basso. Si prende la
testa tra le mani.
«Mi dispiace», mormora.
«Ti dispiace?! Che cazzo hai fatto? Perché nella mia?».
Abbassa ancora la testa. Ora capisco. Mi ha tradito proprio lui, con
cui ho pianto fino a poche ore fa, colui che amavo fino in fondo,
nonostante tutto. Lo chiamano per effettuare un’ulteriore
perquisizione. Siamo nudi, l’una di fronte all’altro, mi fanno flettere le
ginocchia tre volte. Dalla vagina non esce nulla. Ma ecco la mazzata
finale.
Davide sussurra: «Dagli anche quella che hai dentro».
Scoppio a piangere, non capisco che cosa voglia fare di me, questo
pezzo di merda.
«Tranquilla, cercherò di non fare un rapporto troppo duro su di te,
ho capito che l’hai fatto anche per lui, vero?», mi dice Esmeralda.
Poi si gira verso di lui. «Bello, bastardi come te non ne ho visti mai.
Qui ci resti anche tu».
«Ma perché? Io non ho niente».
«Già, ma sapevi che lei la portava, tre mesi non te li toglie
nessuno».
Davide continua a chiedermi perdono. Provo a reagire. «Avete le
prove che sia mia? Avete controllato le impronte? Voglio subito
qualcuno dell’ambasciata».
«Hai il passaporto diplomatico?».
Ma quale diplomatico! Non apro più bocca finché due ore dopo
non arriva un carabiniere italiano. L’aereo deve ripartire, mi chiede se
Davide è con me. Con me? Lo avrei ucciso, lo avrei distrutto in volo.
Lui se la cava, partirà presto e io invece, per colpa sua, dovrò rimanere
chissà per quanto tempo

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