Segreti Virals – Kathy Reichs

SINTESI DEL LIBRO:
SNAP.
È stata una scossa elettrica, come attaccarsi al filo dell’alta
tensione.
Il mio sangue si è messo a correre, piombo fuso che sfrecciava in
vene riarse.
Dolore.
Disorientamento.
Poi potenza, potenza illimitata. Potenza viscerale.
Il sudore stillava da ogni poro.
Le mie iridi scintillavano e baluginavano, dorate: i loro ardenti
dischi gialli circondavano pupille insondabili, nere come la pece. Il
mondo si è ridefinito con una precisione al laser. I miei occhi lo
penetravano come lame.
Le orecchie hanno preso a ronzarmi, e il mio udito si è affinato fino
a percepire gli ultrasuoni. Il rumore bianco mi ha riempito la testa.
Silenzio, poi la dissonanza si è fusa in una chiara sinfonia di rumori
dell’oceano.
Il mio naso si è svegliato, è andato in cerca di tracce nella leggera
brezza estiva, ha letto con abilità gli odori costieri. Sale. Sabbia.
Mare. Le narici hanno setacciato le sfumature più delicate.
Braccia e gambe si sono messe a fremere, cariche di energia
trattenuta che smaniava di liberarsi. D’istinto ho digrignato i denti, in
preda a un piacere animalesco.
Era una sensazione così incredibile, così potente, che mi levava il
fiato: avrei voluto vivere quel momento per sempre, non smettere
mai. Non tornare mai più indietro.
Mi sono accesa.
Accanto a me Ben ha fatto una smorfia, strizzando gli occhi.
Aveva i muscoli contratti, il corpo robusto scosso dai tremiti. Cercava
di accendersi solo con la forza di volontà. E non ci riusciva.
Non è così che funziona.
Ho tenuto la bocca chiusa. Chi ero io per dispensare consigli? In
fin dei conti, non capivo i nostri nuovi poteri meglio di Ben né riuscivo
a controllarmi più di lui.
Non quando liberavo il lupo.
Immagino che vi chiederete cosa diavolo sto blaterando. O forse
avete deciso che sono fuori di testa e vi siete già allontanati pian
piano da questo libro. Come darvi torto? Qualche mese fa avrei fatto
esattamente come voi.
Questo prima che cambiassi, prima che un microscopico invasore
alterasse il mio software biologico e mi evolvessi, trasformandomi in
qualcosa di più, in qualcosa di nuovo. Qualcosa di primitivo.
Ecco la storia in breve.
Alcuni mesi fa un orrido supervirus ha infettato me e i miei amici. Il
microrganismo non era naturale: usciva dritto dritto da un laboratorio
segreto, dove era stato creato con un esperimento illegale. E aveva
un debole per i portatori umani.
Perché sono stata proprio io la fortunata?
A sfornare il germe era stato uno scienziato senza scrupoli, il
dottor Marcus Karsten, capo di mio padre al Loggerhead Island
Research Institute. Spinto dalla sete di denaro, Karsten aveva
incrociato due tipi di parvovirus, creando accidentalmente un nuovo
ceppo trasmissibile all’uomo. E noi ragazzi, purtroppo, ce lo siamo
presi dalla cavia del dottore, un cane lupo di nome Cooper.
Non mi ci fate pensare.
Siamo stati male per giorni. Tutti noi. Poi le cose hanno preso una
strana piega.
Il mio cervello scattava come un elastico, i miei sensi impazzivano.
A volte perdevo il controllo, e non riuscivo a reprimere improvvisi
impulsi animaleschi. Tipo divorare etti di macinato crudo o braccare
un gerbillo addomesticato. Per i miei amici era lo stesso.
Quando le cose si sono più o meno normalizzate, abbiamo
scoperto di essere cambiati in profondità. L’agente patogeno aveva
incasinato le nostre cellule, riscritto il nostro codice genetico. Alcune
sequenze di DNA canino si erano imboscate nei miei cromosomi. E
ci si trovavano a proprio agio.
La vita non è facile quando hai gli istinti di un lupo sepolti da
qualche parte dentro la tua doppia elica.
Eppure la nostra condizione non è priva di… vantaggi.
Lo dirò senza girarci intorno: i miei amici e io abbiamo dei poteri
speciali. Sì, avete capito bene, delle capacità sovrumane, nascoste,
ma molto reali.
Siamo dei fenomeni. O lo saremmo se potessimo dire in giro quel
che ci è successo. Il che è altamente sconsigliabile, se vogliamo
evitare di approfondire il tema della vivisezione umana.
“Accendersi”: così chiamiamo ciò che ci succede. È il modo
migliore che ho trovato per descrivere quella sensazione. Mi sento
bruciare dentro, la mia mente cambia, scatta e poi bum!, i poteri si
sprigionano.
E sto imparando a controllare queste capacità. O almeno credo.
Okay, lo spero.
E va bene, diciamo che ho solo cominciato a conoscerli.
A capirne le basi. Quando mi “accendo”, i miei sensi accelerano.
Vista, olfatto, udito, gusto. Persino il tatto.
Divento più veloce. Più forte.
Più viva.
Divento Viral.
Ci chiamiamo così: i Virals. Ci è sembrato giusto darci un nome,
ora che siamo una banda di mutanti genetici: fa bene al morale.
In tutto, siamo cinque. Io, Ben, Hi e Shelton, più il mio cane lupo,
Cooper, naturalmente. Lui è stato il paziente numero zero, dopotutto.
Conclusione: noi Virals possiamo avere le qualità fisiche dei lupi.
Ma non sempre quando lo vogliamo. A volte il cambiamento è del
tutto inaspettato.
A essere sinceri, non abbiamo idea di cosa ci sia successo
esattamente o di come potremmo rimediare. Né di ciò che accadrà
domani.
Però una cosa è certa: siamo diversi. Fenomeni. Eccezioni.
E siamo soli.
La frustrazione di Ben cresceva di minuto in minuto. Furioso, si è
strappato via la T-shirt nera e l’ha gettata sulla sabbia, come se
fosse quella a vanificare i suoi sforzi. La sua pelle abbronzata era
imperlata di sudore.
Ho distolto lo sguardo da lui perché non vedesse i miei occhi, già
splendenti: non volevo accrescere la sua irritazione. Ben Blue con
l’umore di traverso non è per niente divertente.
Hi gli si è accovacciato accanto. Cicciottello, con i capelli castani
mossi, portava una camicia hawaiana rosso vivo e calzoncini verdi.
Non esattamente elegante – anzi, un vero pugno nell’occhio – ma
era un tipico abbinamento alla Hiram Stolowitski.
Guardava la riva: lui si era già acceso da tempo. Di tutti i Virals,
era quello che attingeva ai poteri con più facilità.
«Ti ho visto, Signor Coniglio» ha mormorato tra sé. «Non puoi
sfuggire all’Uomo lupo Hi.»
«Bravo» ho detto, asciutta. Con i poteri attivati, il suo bisbiglio mi
era giunto forte e chiaro. «Tormentare un povero coniglio indifeso.
Davvero un uso intelligente del tempo in cui siamo accesi.»
«È stato lui a provocarmi.» Lo sguardo di Hi era incollato al suo
bersaglio. «È così carino! Vero? Vero che sei carino, piccolo
batuffolo peloso?»
Ho alzato gli occhi dorati al cielo. «Dovremmo esercitarci.»
«E allora cosa aspetti: allena la vista, Signorina Guastafeste.» Ha
puntato il dito. «A cinquanta metri. Terza duna dalla fila di alberi,
quella con tutte le tife. Typha latifolia. Pelliccia bruna, maculata. Baffi
neri. È un silvilago orientale. Sylvilagus floridanus.»
A Hi piaceva sfoggiare le sue enciclopediche conoscenze di storia
naturale quasi quanto gli piaceva compiere esperimenti scientifici.
Aveva ereditato entrambe le passioni dal padre, capo ingegnere
meccanico del LIRI.
Ha simulato un gridolino, le guance gli sono diventate rosse. «Oh!
E ora ha anche un’amichetta-coniglietta!»
Eravamo nei pressi dell’estremità nord di Turtle Beach, sulla costa
ovest di Loggerhead Island. La foresta dell’interno incombeva alla
mia destra; a sinistra si stendeva l’Atlantico: una distesa d’acqua
ininterrotta fino in Africa.
Mi sono concentrata sul punto indicato da Hi, una macchia di tife
al limitare del bosco. Ho calato lo sguardo, ho messo a fuoco.
La scena mi ha colpito l’occhio con una nitidezza strabiliante,
impensabile per la vista umana. Riuscivo a distinguere ogni foglia,
ogni stelo. E, in effetti, tra il fogliame c’erano due conigli dai musetti
frementi.
A un mezzo campo di football di distanza.
«La tua vista è eccezionale» ho detto. «Migliore della mia. Io, da
qui, non riesco a distinguere i baffi.»
Si è stretto nelle spalle. «Meno male che vi batto almeno in
qualcosa. Il mio udito non è buono quanto quello di Shelton. E non
ho il tuo fiuto.»
Accanto a me Ben ringhiava, grugniva, si dimenava. Non riusciva
ad accendersi. I suoi occhi restavano chiusi, ma il borbottio indistinto
ora era diventato una parola di cinque lettere. Una brutta parola.
Hi l’ha osservato grattandosi il mento, e mi ha lanciato
un’occhiata. Poi si è spostato quatto quatto alle spalle di Ben.
E senza tante cerimonie gli ha sferrato un calcio nel sedere. Un
calcio bello forte.
L’altro è ruzzolato in avanti nella sabbia.
«Che diavolo…?» Si è alzato di scatto, e si è avvicinato a Hi con i
pugni serrati. I suoi occhi ardevano di un fuoco giallo.
«Calma, lumaca!» Hi è arretrato con le mani alzate. «Ti ho solo
fatto arrabbiare quanto bastava per accenderti. Ci voleva.»
Per il momento Ben riusciva a evocare i suoi poteri solo se
perdeva le staffe. Come in quel momento: sembrava sul punto di
voler staccare la testa a Hiram.
«Fermati!» gli ho gridato, tentando di impedire un omicidio. «Ben!
Hai il lampo, ora. Ha funzionato!»
Lui si è fermato e si è guardato le mani, notando il cambiamento.
Con la faccia scura, ha rivolto un cenno a Hi, che gli ha mostrato il
pollice in su e un sorriso a trentadue denti.
«Dobbiamo trovare un altro sistema» ha detto, «o finirà che
picchio uno di voi. E Doppio Hamburger, qui, potrei menarlo
comunque» ha aggiunto, indicando Hi.
Hi gli ha dato una pacca sulla spalla. «Non c’è di che, amico!
Quando vuoi!»
Veloce come un lampo, Ben lo ha stretto in una presa da lottatore.
«Furbacchione!»
Hi ha borbottato, con il respiro corto: «Mollami! Non mi piaci
quando fai così.»
L’altro ha riso. Poi, senza sforzo apparente, si è issato Hiram
Stolowitski sulle spalle.
Sono rimasta a bocca aperta.
Ben lo ha fatto girare sopra la testa, come le pale di un elicottero.
Una, due volte. Il viso di Hi è diventato verde chiaro… Lime?
Trifoglio? Verdeazzurro?
«Sto per vomitare!» ha annunciato. «Allarme rosso!»
Ben si è avvicinato alla riva e lo ha lanciato in acqua.
Hi è volato come se fosse una bambola di pezza ed è atterrato a
faccia in giù in mezzo metro di risacca, imprecando e sputacchiando.
Ben ha sorriso malignamente.
«Ingrato!» Hi ha soffiato l’acqua dal naso, mentre si ispezionava
gli
abiti grondanti. «Ma ammetto che, in un certo senso, è
strabiliante. Hai una forza pazzesca.»
Ha cercato di bagnare il suo aggressore, ma Ben è scattato
indietro, schivando gli spruzzi, ballando e schiamazzando. Poi si è
lanciato di corsa lungo Turtle Beach, ha oltrepassato le dune, ed è
sparito alla vista.
«Wow» ho detto. «È anche veloce. Molto più di me, lampo o non
lampo.»
Hi si è trascinato sulla spiaggia. «L’ho lasciato vincere. Ha bisogno
di credere in se stesso.»
«Come no!»
«Ehi, sono un ragazzo generoso.»
«Già, un santo.»
Era bello, però, vedere Ben ridere di nuovo: i suoi sorrisi si erano
diradati dopo il caso Heaton. L’interesse dei media si era placato in
breve tempo, ma i nostri genitori non avevano mollato la presa
altrettanto facilmente. Quasi tutti eravamo finiti in punizione per
buona parte dell’estate.
E intendo proprio in punizione. Gli adulti erano stati così crudeli da
colpire là dove faceva male: niente visite, niente tivù o telefonino,
niente Internet. Una cosa brutale. Come vivere all’Età della pietra.
Non potendo incontrare gli amici o anche solo discutere delle
nostre nuove “doti”, avevo cominciato a dare di matto.
Il
virus era un intruso che imperversava nel nostro organismo.
Tutto era possibile.
La malattia se n’era andata per sempre? I nuovi poteri si erano
stabilizzati? Qualcun altro sapeva dell’esperimento segreto di
Karsten? Di Coop? Di noi?
Per settimane ero rimasta sola. Intrappolata con quelle domande.
E l’isolamento non aveva fatto molto bene ai miei nervi.
Ben era stato il primo a uscire: i Blue non badavano molto alla
disciplina.
Il mio rilascio era arrivato il primo di agosto, dopo quasi due mesi
di reclusione. Buona condotta? Più che altro un continuo gironzolare
come un’anima in pena: Kit non mi sopportava più.
Hi si era guadagnato la grazia da una prima, grazie al potere
stordente delle sue chiacchiere. La cosa mi aveva sorpreso:
conoscendo la signora Ruth Stolowitski, ero pronta a scommettere
che sarebbe stato l’ultimo a scamparla.
E invece era Shelton quello ancora sottochiave. A quanto pareva i
Devers propendevano per il pugno di ferro: tolleranza zero contro il
crimine, nessuna attenuante.
Io, comunque, non potevo permettermi un passo falso: ero ancora
in libertà vigilata. Strettamente vigilata. Kit mi stava addosso come
un falco. O per lo meno così credeva.
Quando anche Hi ha riacquistato la libertà, noi tre Virals abbiamo
cominciato a spingerci fino a Loggerhead ogni settimana, per
allenarci al riparo da occhi indiscreti. L’isolamento era l’ideale e,
proprio sotto il naso di mio padre, potevo aggirarmi per l’isola senza
destare alcun sospetto.
Loggerhead Island è affidata all’Università di Charleston.
Pochissimi sono autorizzati a visitarla. Per fortuna, il mio caro
vecchio babbo ci lavora, così come i genitori degli altri Virals.
Kit Howard è un biologo marino alle dipendenze del Loggerhead
Island Research Institute, la base scientifica dell’università sul posto.
Istituto veterinario tra i più avanzati del pianeta, il LIRI è costituito da
un complesso di circa tre acri, situato nella parte sud dell’isolotto.
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