Sabbia Bianca – Pitti Duchamp

SINTESI DEL LIBRO:
“Ha l’ultimo appuntamento, Avvocato” lo avvertì la segretaria
al telefono.
Alle otto di sera Leopoldo era ancora lì, in quell’ufficio che
ogni giorno si ingoiava le ore della sua vita, ordinato ed elegante,
con il pavimento lucido e gli scaffali in legno naturale pieni zeppi di
faldoni etichettati in maniera quasi maniacale. “Lo annulli” disse.
“La persona è già qui”.
Leo imprecò tra sé. Non aveva nessuna voglia di ascoltare
l’ennesimo truffatore pronto a far fallire l’attività di famiglia,
mandando a casa più di una ventina di operai. Gente priva di
scrupoli, lontana dalla sua etica professionale, che creava danni a
fornitori non pagandoli, per poi riaprire una nuova attività con i soldi
di cui, nemmeno a dirlo, aveva piene le tasche.
“Faccia passare” ordinò invece perentorio. Si allentò la
cravatta chiedendosi perché dovesse essere ancora così caldo a
novembre.
Il presunto truffatore bussò.
Leo dette le spalle alla porta e si girò verso la finestra con
l’insistente necessità di aprirla e respirare l’aria fresca sulla
balconata. Notò fuori che il parcheggio nel viale si era svuotato, gli
impiegati degli uffici della zona erano già tutti a casa, il cinema
Principe sfoggiava le locandine degli ultimi film. Da quanto non vado
al cinema?
“Buonasera, Avvocato”.
Era la voce di una prostituta di alto bordo, sì, una di quelle
creature mitiche di cui molti amici di suo padre avevano favoleggiato
negli anni. Di sicuro, fantasticò un attimo, una geisha moderna,
strapagata per compiacere il proprio accompagnatore. Una escort,
ecco, o forse una speaker di radio dalla voce divina. In un attimo
l’aria fu piena di profumo, dolce e morbido con qualche nota
speziata. Vaniglia, sì di sicuro, e poi qualcosa che non riuscì a
definire.
Leo si voltò e l’appuntamento assunse un altro significato.
“Buonasera a lei, signora?”.
“Signorina, signorina Olimpia Borromini”.
“Si accomodi, Olimpia”.
La ragazza avrà avuto meno di trent’anni, una lunghissima
chioma sciolta nera come pece, liscia come il mare di notte,
splendente alla luce artificiale del lampadario del suo ufficio.
Attraversò lo studio con passi aggraziati sui tacchi alti, le gambe
chilometriche avvolte nelle calze di nylon, un vestito bianco
elasticizzato con la gonna al ginocchio, maniche lunghe, collo alto.
Quante donne di sua conoscenza avrebbero potuto portare un abito
del genere con quella disinvoltura? Si sedette sulla sedia dallo
schienale alto di cuoio antico, accavallò le cosce strusciando il
ginocchio con la mano dalle unghie smaltate bianco perla e gli puntò
addosso gli occhi più stupefacenti che avesse mai visto, un azzurro
così intenso e penetrante da essere imbarazzante. O forse è la sua
disperazione a essere imbarazzante?
“Sono in un enorme guaio, Avvocato” disse lei con una voce
così intrigante, appena appena nasale.
“Mi racconti senza tralasciare nessun dettaglio” rispose lui
ancora in piedi, assumendo la faccia seria del navigato
professionista. Perché questo i suoi clienti cercavano: un
professionista gelido, efficiente ed efficace nel risolvere bene e
presto le beghe in cui si trovavano.
“Tutto è cominciato alla morte di mio padre, Giuliano
Borromini, poco meno di un mese fa”.
i
“Molte condoglianze” disse Leo mentre sedendosi appoggiava
gomiti sui braccioli della poltrona cominciando a tormentarsi il
labbro inferiore tra l’indice e il pollice. Cercava di mantenere più
possibile la sua faccia da instancabile avvocato, ma le mani gli
pizzicavano per la voglia di appoggiargliele sui fianchi e la sua
scrivania dal piano di resina coperto di una lastra di vetro, così
organizzata e vuota non gli dava nessun appiglio per tenerle
occupate. Sul computer in stand by un giglio della Fiorentina viola su
campo nero che sfumava in un loop continuo, il blocco degli appunti
aperto a una pagina nuova, la sua Montblanc appoggiata sulla
pagina a quadretti, il set da tavolo in cuoio antico lucido che
profumava di cera. Gli piaceva l’ordine geometrico delle cose, gli
dava la sensazione di avere tutto sotto controllo. In quel momento
però avrebbe voluto qualche foglio da accartocciare per non
fantasticare sulla morbidezza del seno che aveva davanti.
“Grazie. Dunque, io e mio fratello Lanfranco siamo i suoi
eredi, ma Lanco non si trova! Non ho sue notizie da tre mesi, non so
dove possa essere né so come fare a rintracciarlo. La tenuta di mio
padre è ipotecata, ma non posso toccare i soldi senza di lui, e non
so come fare a pagare il mutuo. Ho le mani legate e il mio stipendio
non basta certo a coprire tutto. Insomma, ecco mi deve aiutare! Non
so come fare a sbloccare il denaro” raccontò la ragazza troppo
veloce perché potesse farsi comprendere e troppo confusa perché
Leo potesse rimanere concentrato.
Rimase un istante in silenzio, poi rispose pacato: “Le cose
sono due: o lei è troppo agitata per spiegarmi in modo razionale il
suo problema o io sono troppo affamato per capire. Vogliamo
parlarne a cena? Non ci intenderemo se non calmiamo io la mia
fame e lei i suoi nervi”.
“Oh, sì, credo sia una buona idea” rispose Olimpia con la
voce sofisticata, così squisitamente femminile.
Leo sorrise tra sé in risposta a quella voce che era un misto
tra Catherine Spaak e Monica Bellucci. Chi può resistere? Sei già
mia, Venere bruna. La parte del suo cervello che non era costretta
nei completi imbalsamati dell’avvocato affermato emerse fuori con
tutto il suo carico di testosterone. Non che non fosse serio nel lavoro
o che ci provasse sempre con le clienti - in verità non succedeva mai- ma non era uno che si faceva fermare dall’etica professionale se
aveva davanti una meraviglia come Olimpia Borromini, anche se
nelle vesti di cliente. I sentimenti però non avevano mai avuto molto
spazio nella sua vita e negli ultimi anni li aveva relegati con
noncuranza sotto la terra che calpestava. Non aveva avuto di certo
traumi o delusioni, non era il tipo da rimanere scottato. La questione
piuttosto era che non aveva tempo né voglia di investire energie sui
sentimentalismi sdolcinati di una storiella squallida avvocato-cliente,
e neanche su altri tipi di storie. Ne era pieno il cinema di serie B di
trame così!
Leo prese il giaccone dall’attaccapanni, afferrò il portafogli e il
cellulare e uscì entrando nella sala d’attesa dove era sistemata la
scrivania della segretaria.
“Ha chiamato il capitano, Avvocato, avverte di presentarsi al
solito posto alla solita ora lunedì sera”.
“Benissimo, a domattina, Clara” disse Leo pronto ad
andarsene. Poi si fermò un secondo e aggiunse: “Clara, ce la fa a
indossare un foulard che non mi faccia venire la gastrite?”.
Era brava Clara, pensò Leo, nonostante indossasse ogni
giorno dei foulard demodé dai colori più strambi. Non poteva più
farne a meno. Composta, pacata, mai intemperante con i clienti,
paziente con lui e soprattutto una gran lavoratrice. Dopo la
separazione dal marito i due figli che facevano l’università la
dissanguavano, e lo stipendio e gli straordinari regolarmente pagati
le facevano troppo comodo per lamentarsi. Leo le poteva dare molte
responsabilità e lei se le assumeva con orgoglio. Era davvero una
brava persona.
“Il fatto che se ne accorga solo adesso vuol dire che non era
poi così tanto fastidioso. Buonanotte, Avvocato. Signorina” rispose la
donna con un sorriso tranquillo, abituata alle esternazioni fin troppo
sincere dell’Avvocato.
“La seguo con la mia macchina?” chiese Olimpia.
“Pensavo di trovare un posto qui vicino a piazza della Libertà.
Conosce il Perseus? Qui in viale Don Minzoni” disse Leo indicando il
largo viale che partiva dall’angolo opposto al suo.
“Certamente, chi non lo conosce”.
“Possiamo attraversare la piazza a piedi. Se la sente con quei
trampoli?”.
Olimpia sorrise e scoprì due file perfette di denti bianchissimi.
“Oh, questi? Sono attrezzi del mestiere, è come la mia
uniforme, potrei correre i cento metri con le decolleté”.
“Bene, andiamo allora”.
Era divertente notare la vanità delle donne: la maggior parte
delle sue conoscenti indossava scarpe anche più alte di quelle della
sua bella accompagnatrice, ma poi stentava a camminare. Ogni
passo diventava una fatica insopportabile e l’andatura femminile
assumeva le connotazioni dell’incedere di un cammello. Olimpia
sembrava invece aver detto la verità: procedeva diritta e disinvolta
come se camminasse su una passerella mentale. I pochi uomini che
incrociavano sotto i portici di piazza della Libertà erano attratti da lei.
Leo cercava di squadrarla con la coda dell’occhio: gli stava a fianco
come se fosse stata modellata per lui. Era più bassa ma non di
molto. Beh, con quei tacchi! Che bella camminata e che stile! Chiuso
il cappotto e infilati i guanti di pelle rosa pallido, teneva stretta una
borsetta anch’essa rosa cipria in tinta con le scarpe. Era truccata
pochissimo, giudicò. Quel trucco leggero che invece che coprire
esalta dei lineamenti già belli.
Fuori dal ristorante una piccola folla aspettava che si
liberasse qualche tavolo. Leo entrò al caldo della sala e subito lo
accolse un cameriere.
“Buonasera, Avvocato. Per due?”.
“Sì, al solito posto”.
L’uomo sulla cinquantina, vestito con una camicia bianca e un
gilet nero, li accompagnò in una saletta attigua a quella principale e li
fece accomodare in un tavolino intimo. L’arredamento non aveva
nulla di particolare, le solite foto di personaggi famosi con il
personale, le solite stampe di Firenze. Era un posto famoso perché
ci si mangiava in modo superbo.
“Vi porto del vino?”.
Olimpia rispose subito: “Non per me, grazie”.
“Avvocato?”.
“Acqua minerale stasera”.
Poi il cameriere sciorinò i piatti più freschi del menù tra cui la
bistecca e la tagliata preparata in vari modi. Olimpia sembrava sulle
spine e non pareva prestare attenzione alla lista delle pietanze.
“Le dispiace ordinare per me?” chiese lei impaziente.
“Le devo ispirare una gran fiducia”. Poi rivolgendosi al
cameriere con fare sbrigativo: “Ci porti due taglieri completi e due
tagliate con i porcini. Le piacciono i funghi?”.
Olimpia annuì, il cameriere segnò, ringraziò e si allontanò.
“Adesso a noi, mi racconti tutto con calma. Prima della morte
di suo padre, direi da quando è nata senza tralasciare i primi
batticuori, il primo bacio, il primo rapporto” disse Leo con
disinvoltura, con il volto inespressivo mentre srotolava il tovagliolo,
come se avesse detto cose attinenti a una noiosa pratica di lavoro.
Olimpia rimase con la bocca socchiusa, le labbra carnose
aperte per metà e gli occhi spalancati piantati nel suo sguardo. Per
un attimo valutò di alzarsi, offesa. Un professionista serio non ci
avrebbe provato dopo i primi dieci minuti di conoscenza, eppure
quell’uomo così sicuro le ispirava fiducia. Certo, nel suo
ordinatissimo e lussuoso ufficio, imbalsamato nella giacca pesante
aveva tutto un altro aplomb, ma anche adesso che si era messo a
fare il piacione la sua spavalderia denotava la sicurezza di uno che
sa quello che sta facendo.
Decise di afferrare lo scherzo, rispondere con ironia e
compiacere la vanità dell’Avvocato.
“Primo batticuore a quattordici anni, primo bacio anche, primo
rapporto a venti, adesso ne ho ventisette. Vuole i dettagli? Scadente
e rapidissimo, non era per niente dotato, anche se si sentiva un latin
lover. Io mi ero innamorata, lui no”.
“Continui”.
“Cambierei argomento, giusto così perché siamo a tavola”
fece lei fingendo irritazione. Per essere affascinante, lo era
senz’altro. Si era levato la giacca e la cravatta, ma non il gilet del
completo blu navy chiuso sulla camicia. I primi tre bottoni aperti
mostravano la fossa tra i pettorali e lasciavano intravedere una
catenina. Aveva arrotolato le maniche per stare comodo, ma
continuava a essere elegantissimo nell’impeccabile completo dalla
stiratura perfetta. La ascoltava attento torturando il labbro inferiore,
tra il pollice e l’indice. Doveva passare molto tempo in palestra, il
gilet sartoriale gli aderiva in modo studiato ai pettorali e metteva in
risalto le spalle larghe e piene. Sarà stato uno di quei maniaci del
fitness che vanno nel club più esclusivo di Firenze nella pausa
pranzo per non rubare tempo al lavoro. Se lo immaginava fare il
cascamorto con tutte le sciacquette in perizoma e leggings mentre
gonfiava i bicipiti al vogatore.
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