Ricordi rubati – Lexi Ryan

SINTESI DEL LIBRO:
Una storia non dovrebbe iniziare con la protagonista che si sveglia. È una
regola. L’ho imparata al corso di scrittura creativa, al college. Perché si rischia di
annoiare subito il lettore, perché è un cliché e… onestamente non mi ricordo
cos’altro.
Ma se si trattasse di un sogno? Molti dei miei sogni iniziano con me che mi
sveglio, e questa situazione è così surreale da non poter essere altro che un
sogno. Apro gli occhi e mi ritrovo in ospedale, senza sapere né come né perché,
e l’infermiera mi informa che sono qui da più di ventiquattr’ore.
«Cognome da nubile della madre?» mi sta chiedendo adesso. È un po’ che mi
fa domande. Come mi chiamo, la data di nascita, chi è il presidente degli Stati
Uniti.
Riesco a malapena a tenere gli occhi aperti nella luce abbagliante che piove
dall’alto e dico: «Crossen». Mi fa male la testa, come se un’orda di clown sbronzi
ci stesse ballando sopra. Con le scarpe da calcio ai piedi.
«Sai che giorno è oggi?».
Mi sistemo con una smorfia sul materasso dell’ospedale, e il minimo
movimento scatena un dolore che pervade muscoli di cui ignoravo l’esistenza.
Sono sicura che avrà le sue buone ragioni per farmi queste domande, ma vorrei
fargliene alcune io, tipo Perché sono all’ospedale? e Chi mi ha massacrato di botte?
«Il… dodici… settembre? Tredici?». Mi sembra di avere una grattugia in gola.
«Agosto» interviene una voce squillante. «Voleva dire agosto. Vero, Hanna?».
Lizzy fa capolino nel mio campo visivo. I boccoli biondi rimbalzano come
molle. Mi guarda annuendo, come se fosse di vitale importanza che mi mostri
d’accordo con lei. Si sbaglia di grosso. Non è agosto. È settembre. È l’inizio del
primo semestre del nostro ultimo anno alla Sinclair.
Provo ad aggrottare la fronte, ma mi fa male. Mi porto d’istinto la mano al
viso, dove il dolore si irradia come una microesplosione. Sfioro con cautela la
guancia e ci rinuncio subito.
Sento il bip dei macchinari tutto intorno e, anche se so di essermi appena
svegliata, non vorrei far altro che prendere qualcosa per il mal di testa e farmi un
sonnellino. «Perché sono qui? Cosa mi è successo?».
«Lei la riconosci, Hanna?». L’infermiera fa un cenno alla sua destra.
Giro la testa per mettere meglio a fuoco mia sorella. I riccioli d’oro che le
incorniciano il viso hanno una piega strana, come se si fosse addormentata sulla
panchina di un parco o qualcosa del genere.
Sto cercando di non farmi prendere dal panico, d’altronde mi sono svegliata
in un ospedale, non ho idea di come ci sia arrivata, mi hanno detto che sono qui
da un giorno e ora mi fanno domande assurde. La mia faccia sembra uscita da
uno scontro con un tirapugni e la testa minaccia di esplodermi. Nessuna
speranza di una dormitina tranquilla.
Lizzy ha gli occhi rossi. Ha pianto. Continua a tornarmi in mente la seconda
caraffa di birra che abbiamo ordinato al Brady’s. Abbiamo guidato, dopo? Lizzy
sta bene, mi pare, solo un tantino scossa. Si è fatto male qualcuno?
«Lizzy,» chiedo «cos’è successo?».
«Mi riconosce, visto?» dice Lizzy. «Sta bene».
«Mi sai dire che grado di parentela c’è tra voi due?» mi domanda l’infermiera.
«È la mia gemella».
«Bene» commenta in tono rassicurante. «Molto bene. E puoi dirmi qual è
l’ultima cosa che ti ricordi?».
Non faccio in tempo a pensarci su che mi ritrovo la sua faccia a un palmo dal
naso, lo sguardo fisso sui miei occhi. Per caso le è cascato qualcosa dentro e sta
cercando di recuperarlo?
«Eravamo al Brady’s. Una serata tra ragazze. Cos’è successo?». Sembro un
disco rotto.
«Hai avuto un incidente» mi spiega lei, guardando mia sorella che scuote la
testa mentre una lacrima le attraversa la guancia. «Una brutta caduta dalle scale.
Qual è l’ultima cosa che ti ricordi prima della serata al Brady’s?».
«Stavo terminando una tesina. I giorni si somigliano tutti durante il semestre.
Non… non so».
«Il semestre?» prorompe disperata Lizzy. «Che stai dicendo, Hanna?». Si
rivolge all’infermiera. «Mi pareva di aver capito che sarebbe stata meglio, una
volta ripresa conoscenza».
«Stai calma» la rassicura lei. «Così la spaventi».
«Cos’è successo al Brady’s?» mi chiede Lizzy. «Cosa ricordi?».
«Chiacchieravamo con Cally e c’erano anche i ragazzi, volevano unirsi a noi».
«Di che cosa parlavamo?» insiste Lizzy.
Sembra sotto pressione, così le sorrido. Dopotutto è il mio compito. Sono io
quella che sistema le cose. «Cercavamo di convincere Cally ad andare a letto con
William».
«Questo è successo lo scorso settembre» mormora Lizzy.
L’infermiera è perplessa. «La dottoressa Reid sta facendo il giro di visite ora.
La aggiornerò e sarà subito da voi».
Lizzy la guarda andare via e poi si gira verso di me. «Non preoccuparti. Nix
sistemerà tutto».
«Chi è Nix?» chiedo io sottovoce.
Le si riempiono gli occhi di lacrime. «Nix, la nostra amica. La dottoressa Reid.
Si è trasferita in città l’inverno scorso, no?».
«Non conosco nessuna dottoressa Nix, Liz».
Prima che possa spiegarmi, fa il suo ingresso una giovane donna molto
graziosa, con un abito nero e il camice bianco. Ha i capelli lunghi, di un bel
nocciola, morbidamente raccolti, e un sorriso pieno di calore. «Mi hanno detto
che te la stai cavando molto meglio dell’ultima volta».
Guardo Liz, sperando che venga in mio soccorso.
«Te la ricordi adesso?» mi fa lei.
Scruto questa donna che in teoria dovrei conoscere e scuoto la testa. «Mi
dispiace».
«Sono la dottoressa Reid. Phoenix Reid. Mi chiami Nix».
Torna l’infermiera e le consegna una cartellina, Nix dà una rapida occhiata e
annuisce.
«Perché non si ricorda di te?» chiede Liz alla dottoressa.
Nix la fulmina con lo sguardo. «Calmati. Hanna, ricordi qualcosa dopo la
serata al bar?».
Faccio cenno di no, mi sta prendendo il panico. «Mi state mandando fuori di
testa. Mi dite che è successo? Ho bevuto troppo?».
«Hai battuto la testa» spiega Nix «e in questi casi può subentrare un certo
grado di amnesia».
«Non ha l’amnesia, lei» obietta Lizzy.
«Ci sono diversi tipi di amnesia. Non è il caso di allarmarsi».
D’improvviso cala il gelo nella stanza e mi assale un senso di angoscia e di
claustrofobia. Mi succede quando mi sento impotente e priva del controllo.
«Cos’è, uno scherzo?».
«Si è svegliata? Parla?». Una voce profonda e familiare mi strappa alla
dottoressa Reid. Mi giro e vedo Max Hallowell varcare la soglia come una furia.
È preoccupatissimo e mi sta guardando in questa orribile tenuta da ospedale.
Non che stesse andando alla grande, finora, con i clown a ballarmi in testa, la
diagnosi di amnesia e compagnia bella, ma Max Hallowell che mi vede in queste
condizioni – con il camice, poi – fa precipitare immediatamente il livello della
giornata.
«Scusi, signore» dice l’infermiera. «Sono ammessi solo i familiari più stretti.
Devo chiederle di andarsene».
Max la ignora e si precipita al mio capezzale, posandomi delicatamente la
mano sul viso. Il tocco della sua pelle sulla guancia mi fa battere forte il cuore.
Max mi sta toccando.
Deve essere un sogno.
«Signore!» lo rimprovera l’infermiera.
«Io sono la sua famiglia» sbotta.
«Va tutto bene» dice Nix all’infermiera.
Max fissa la mia mano e dice: «Sono il suo fidanzato».
Mi manca il respiro e sento delle fitte alle costole. Adesso vedo che cosa sta
guardando. Dall’anulare un grosso diamante mi strizza l’occhio, come se
conoscesse tutti i miei segreti. Mi turbina tutto intorno. Dev’essere uno scherzo
molto ben congegnato, e non è affatto divertente.
«Tesoro» sussurra lui «te lo ricordi? Ti ricordi cos’è successo?».
«Non se lo ricorda» taglia corto Lizzy.
È come se tutti fossero un giro avanti. «Fidanzato?».
«Hanna presenta un caso di amnesia retrograda» spiega Nix a Max. «Può
succedere quando si riporta un trauma cranico».
«Non è come l’amnesia normale, però» commenta Lizzy. «Sa chi è. Sa chi
sono».
«A quanto pare il suo ricordo più recente risale a una sera di settembre»
continua la dottoressa. «L’amnesia retrograda è diversa da quella globale. Cioè, il
ricordo di tutto ciò che è accaduto prima di un dato momento è intatto. Per
questo riconosce te e Lizzy. Vi conosce da sempre, mentre non si ricorda di me,
perché ci siamo incontrate dopo, a dicembre».
«Ha perso la memoria solo in parte?» chiede Liz. «E tornerà?».
Sono troppo concentrata sull’anello. Max mi ha dato un anello. Come ho
potuto scordarmene?
«È molto probabile che recuperi una buona parte dei ricordi del periodo
trascorso tra quel momento e l’incidente. Potrebbero volerci poche ore, oppure
settimane, mesi».
Max sbianca e il suo pomo d’Adamo va su e giù. «È rimasta allo scorso
settembre?».
«Una buona parte?» domanda Liz. «Non tutti?».
Non posso far finta di riuscire a cogliere le emozioni che si susseguono sul
volto di Max. Non lo conosco poi così bene, in fin dei conti. Oppure sì? Scuoto
la testa, sforzandomi di focalizzarmi su Nix che spiega il mio caso. Amnesia
retrograda. Chissà se e quando la memoria tornerà. Probabile guarigione spontanea. Un po’
alla volta, non tutta insieme. La tempistica varia da paziente a paziente.
«Ti ricordi di Max, vero, Hanna?» mi sta chiedendo Liz. È accanto al mio
letto. Inizia a essere un tantino affollato, qui dentro. Un sacco di gente mi dice
cose che per me non hanno senso.
«Certo che mi ricordo di Max» mormoro. «Siamo cresciuti insieme, tutti
quanti».
«Te lo ricordi questo?». Max mi prende la mano e sfiora l’anello. «Ricordi
quando te l’ho dato?».
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