Non è detto che mi manchi – Bianca Marconero

SINTESI DEL LIBRO:
Crescere significa rassegnarsi a fare cose che non ci piacciono.
Ed ecco perché sto per forzare la mia natura e mi accingo a prendere una
decisione totalmente fuori dalle mie corde.
Io, Pietro Foscarini, venticinque anni tra venticinque giorni, chiederò di
essere considerato per il posto di caporedattore.
Lo farò.
È tempo di crescere.
Vivo in una società in cui accontentarsi è inaccettabile e vengo da una
famiglia in cui tutti hanno avuto successo.
La mia mancanza di ambizione va curata, quindi eccomi qui, con la
maglietta di Super Mario sotto la felpa aperta, i muscoli ancora in tensione
per la sessione di parkour a Parco Sempione, i capelli che odorano di vaniglia
e una lettera con cui mi candido al posto di caporedattore.
E questo rende necessario chiarire almeno un paio di cose. La prima è per
quale motivo un ragazzo di quasi venticinque anni dovrebbe usare un
nauseante shampoo alla vaniglia.
Lo faccio perché Gaia, la mia compagna, odia gli sprechi, adora la
convenienza, e ha un debole per la vaniglia. E poiché ha recentemente
approfittato di una promozione “tre per due” ci siamo ritrovati in casa tre
flaconi di questo shampoo e io sono stato esortato a usarlo.
La seconda cosa da mettere in chiaro è dove precisamente si trova il “qui”.
Sono sul pianeta Terra, nel continente europeo, nello Stato italiano. Regione
Lombardia, città di Milano, via ***, Palazzo Francalanza Visconti, decimo
piano.
Palazzo Francalanza Visconti è un esempio di architettura neorinascimentale
con qualche concessione napoleonica, nei cornicioni opulenti e nelle finestre
gigantesche ed è, come si evince dal nome, di proprietà della famiglia
Francalanza Visconti.
La signora Lucrezia Francalanza Visconti è l’amministratore delegato del
terzo gruppo editoriale italiano. Nel palazzo ci sono le redazioni di molti
periodici del gruppo, tra cui riviste specializzate e rotocalchi. Ragion per cui
il prestigioso complesso è noto a chi lo frequenta con il nome, in verità
piuttosto stupido, di Palazzo Edicola.
Gli appassionati di moda e tendenze troveranno pane per i loro denti al terzo
piano, dove c’è l’elegante redazione di «Aplomb». Gli amanti dei cani e degli
animali domestici hanno il loro paradiso al quinto piano, dove vediamo
all’opera i redattori di «Qua la zampa». Se avete sedici anni e desiderate i
poster dei vostri coetanei famosi, così da tappezzarci la cameretta, al nono
piano c’è quello che fa per voi: la redazione del settimanale «Lollipop», che
tutti i teenager fissati con gli acronimi chiamano, confidenzialmente, “Lol”.
Al settimo piano ci sono quelli di «TeenTele», la guida TV destinata agli
adolescenti, che dividono lo spazio con la redazione di «Webstar», mensile
dedicato a Youtuber e blogger vari. All’ottavo ci sono invece gli studi della
nuovissima Lol TV, il canale in streaming.
Io lavoro al sesto piano. Qui si trova la redazione di «Power Player»,
quindicinale di informazione videoludica. La rivista è, secondo quelli del
marketing, nella stessa fascia di pubblico di «Lollipop», di «TeenTele» e di
«Webstar», infatti abbiamo lo stesso coordinatore editoriale, il dottor
Alessandro Francalanza Visconti. Lui oltre ad essere il mio capo è anche mio
cugino di secondo grado, per parte di madre, nonché migliore amico.
Alessandro è la persona che tre anni fa mi ha assunto come redattore.
Avevo appena preso la triennale al Politecnico, e benché avessi vinto un
semestre a Boston, perché ero risultato il migliore del mio corso, e benché
desiderassi iscrivermi alla specialistica di ingegneria informatica, ho scelto di
sospendere gli studi, cercare l’indipendenza economica e andarmene dalla
casa dei miei genitori. L’ho fatto per due buone ragioni.
La prima è che vengo da una famiglia dalla quale si può solo scappare. Se
resti, ti fa venire i complessi.
Mio padre, Priamo Arturo Foscarini, è una leggenda del giornalismo
d’inchiesta, autore di alcuni reportage che hanno cambiato la storia del Paese.
Citato nelle scuole di giornalismo, venerato come un dio, ha finito per
considerarsi tale e tratta il resto del mondo come se non fosse degno di lui.
Mia sorella Cassandra è una formidabile reporter inviata nelle zone di guerra.
Mio fratello Ettore è pediatra ed è alla sua terza missione umanitaria con
Medici Senza Frontiere. Ora sta nell’Africa equatoriale, per un programma di
vaccinazione infantile.
Mamma ha antenati nobili, a cui finge di non dare importanza, e trascorre i
suoi giorni sorridendo, patrocinando eventi e raccogliendo fondi.
Questa è la mia famiglia, votata all’impegno, al sociale e alla cultura. Io
invece sono una persona portata per l’informatica a cui, semplicemente,
piacciono i videogiochi. Li recensisco per lavoro, e li programmo nel tempo
libero. Insomma non corro neppure nella stessa categoria dei miei fratelli o
dei miei genitori. Si capisce quindi che, pur amandoli con tutto me stesso, io
sentissi il bisogno di prendere le distanze da loro.
Il secondo motivo per cui ho cercato l’indipendenza economica, e ho trovato
lavoro alla redazione di «Power Player», è l’amore.
Ero e sono innamorato perso di Gaia, la mia bellissima ragazza. Gaia ora va
per i ventisette e ha un buon posto di lavoro, ma tre anni fa rischiava di dover
tornare in Sicilia. Si era appena laureata all’Accademia di Brera, con una tesi
in scenografia e le si prospettava uno stage di un anno al teatro alla Scala.
Un’occasione fichissima, certo, ma come succede in Italia per molte cose
belle, non era pagata abbastanza. Quindi io mi sono preso una pausa dal
Politecnico e mi sono trovato un lavoro.
Secondo i piani, il mio doveva essere un anno sabbatico, ma sono passati
mille e novantacinque giorni, avremmo sforato l’anno perfino se fossimo su
Marte. In compenso, a Gaia le cose vanno bene. Lavora nell’ufficio
dirigenziale del Teatro e ha interessanti prospettive di carriera nella direzione
marketing e fundraising. Il suo stipendio ora supera il mio.
Gaia vuole cambiare casa, dice che ai Navigli si sta bene, ma l’appartamento
è minuscolo. Dice che se dedicassi meno tempo al mio hobby e più ore a un
lavoro pagato, ci potremmo trasferire.
Nel tempo libero programmo giochi, a volte sono applicazioni che rilascio
gratuitamente, altre volte rompicapi più strutturati, ma la maggior parte delle
ore la dedico a finire il mio progetto più ambizioso e complesso: A Knight
Tale di cui ho creato ogni dettaglio dalla storia al character design, dal
sistema di combattimento alle musiche. Era questo che sognavo di fare “da
grande”, ma il tempo passa, e ho scoperto che ciò che diventi da grande non è
un risultato dei proclami che fai da ragazzino, ma piuttosto una conseguenza
di dettagli apparentemente irrilevanti che si accumulano sulla tua strada.
Sorridi a una ragazza in un bar e tre anni dopo quella stessa ragazza si aspetta
un gesto maturo da parte tua. E visto che la maturità delle persone si misura
dalla considerazione che danno al potere d’acquisto del proprio stipendio,
devo chiedere il posto di caporedattore.
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