Mistero in fondo al lago – Volker Klüpfel

SINTESI DEL LIBRO:
L’inglese di Kluftinger non era niente di che, ma gli bastò per capire
la frase urlata dall’anziana signora in tenuta d’ordinanza: macchina
fotografica al collo, cappellino da baseball e occhiali da sole.
“Hai sentito? È come essere a Disneyland. Optimus! Prima autobus
pieni zeppi di giapponesi sorridenti che scattano una foto dopo l’altra
e adesso questo. Vieni, Erika, andiamocene!”
Erano le undici e mezzo e Kluftinger si trovava con la moglie a
Füssen, alla biglietteria dei castelli reali di Hohenschwangau e
Neuschwanstein. Il suo umore lasciava parecchio a desiderare, e
non soltanto perché dei castelli bavaresi da favola non gliene poteva
importare di meno. Anche la sua simpatia per le orde di turisti
schiamazzanti che da tutto il mondo si riversavano in Algovia in
torrenti irrefrenabili aveva dei limiti. Ma d’altro canto aveva
acconsentito ad andare a prendere il figlio Markus e la sua nuova
ragazza lì a Füssen. I due giovani erano in arrivo per le vacanze di
Natale dopo una tappa da amici. Venivano per trascorrere la vigilia
con i Kluftinger, e la cosa aveva messo Erika in fibrillazione. Era
chiaro che con quella ragazza Markus faceva sul serio, altrimenti
non l’avrebbe presentata ai suoi dopo soli tre mesi. La maggior parte
di quelle che l’avevano preceduta, un numero notevole, non le aveva
neppure mai viste!
“Adesso non metterti a brontolare come al solito! Per essere inverno,
oggi è una giornata davvero spettacolare. Per una volta che mio
figlio viene a casa… E sono così ansiosa di conoscere Miki!”
“Chi?”
“Miki, la nuova ragazza di Markus!”
“Com’è che si chiama? Mickey? Come Mickey Mouse? Con
Disneyland calza a pennello! Ma il nome vero quale sarebbe?”
“Markus la chiama sempre soltanto Miki. Sarà Michaela… So solo
che studia anche lei all’università, a Erlangen, e che ha ventidue
anni. E c’è anche una sorpresa che non mi ha voluto dire per
telefono.”
“Oh, davvero? E che cosa può essere, forse verrà con il suo cane
Pluto?”
“Dai, adesso smettila, altrimenti quella riparte con il primo treno!”
“Ah, sì? C’è un diretto Füssen-Topolinia?”
A quel punto Erika decise di ignorarlo. Sapeva per esperienza che
quella era la tattica migliore per evitare che il marito andasse avanti
per tutto il giorno a ripetere la stessa battuta fiacca in diverse
varianti. Vedendo che le sue frecciatine non ricevevano più risposta,
il commissario finì per mettere il broncio.
“E allora, ci vogliamo dare una mossa?”
Kluftinger si voltò. Dall’alto della cassetta di una carrozza tirata da
due pony con il campanello al collo, un uomo lo guardava seccato
indicandogli con la mano di togliersi dai piedi. Il commissario della
polizia criminale di Kempten si scostò di lato facendogli teatralmente
segno di passare. Il gruppo di turisti giapponesi seduto all’interno,
scambiando quel gesto ironico per un’espressione dell’ospitalità
algoviana, si sbracciò estatico.
A Kluftinger sarebbe piaciuto sapere quanto costava un giro del
genere. Dieci euro, o magari addirittura venti? Da buon poliziotto, si
chiese se non si potesse ipotizzare un reato di usura e
strozzinaggio, ma fu distratto dalla vista di un cavallo che mollava un
bel regalino proprio davanti a un negozio di souvenir. Di norma non
nutriva un particolare interesse per gli equini, ma in quel momento
provò una certa affinità spirituale con l’animale.
Perplesso, vide poi decine di giapponesi scattarsi a vicenda
fotografie davanti a un banalissimo cartello su cui erano raffigurati
semplicemente lo stemma di Neuschwanstein e l’indicazione per la
camminata di mezz’ora che portava al castello. Per lui quel popolo
era e sarebbe rimasto per sempre un mistero.
A qualche metro dal cartello notò una giovane giapponesina che non
aveva macchina fotografica e neppure sembrava far parte di qualche
gruppo organizzato. Se ne stava in mezzo a quel flusso vorticoso di
turisti come un ciottolo nell’acqua di un torrente, e quando chiuse gli
occhi per godersi il sole del mattino, Kluftinger pensò che era
davvero molto attraente, per essere un’asiatica. Quando la ragazza
cominciò a rovistare nello zainetto di cuoio, gli occhiali da sole le
scivolarono dai capelli nerissimi e caddero a terra. Lei non sembrò
accorgersi di averli persi. Kluftinger esitò. Era il caso di
intromettersi? Considerato che quella giovane donna non si
comportava per niente da turista, tanto valeva che per una volta si
mostrasse cavaliere. Perciò si riscosse, andò verso di lei e le porse
gli occhiali con un inchino e un sorriso imbarazzato.
“Tenga, guardi. Caduti. Your occhiali for sun, Miss. Prego!”
Prima ancora che la donna avesse il tempo di rispondere, Kluftinger
udì una voce familiare alle sue spalle.
“Oh, papà, bene, vedo che avete già fatto conoscenza!”
Il commissario si voltò e scoccò al figlio un’occhiata interrogativa.
Era così confuso che dimenticò persino di salutarlo.
“E la mamma dov’è?” chiese Markus con un gran sorriso.
Kluftinger indicò Erika senza capire.
“In che senso ‘avete già fatto conoscenza’?” domandò perplesso, ma
il figlio era già tra le calorosissime braccia della madre. Mentre il
commissario rimuginava ancora sulle parole di Markus, dietro di lui
trillò una voce squillante.
“Sì, che coincidenza, vero? Posso presentarmi? Sono Yumiko. E
molte grazie per gli occhiali da sole, signor Kluftinger. Non mi ero
accorta di averli persi.”
La bella asiatica lo guardava con un sorriso luminoso, in attesa di
una reazione.
Solo allora, un po’ alla volta, nel commissario si fece strada la
consapevolezza che quella che aveva davanti doveva essere la
nuova ragazza di Markus. Parlava tedesco senza il minimo accento,
notò subito Kluftinger. Yumiko… Miki: ecco da dove veniva il
nomignolo! Ma perché diavolo Markus non li aveva avvertiti? Almeno
adesso non si sarebbe ritrovato a guardarla così a disagio.
La ragazza cominciò a mostrarsi un po’ incerta e lui comprese di
dover dire qualcosa. “Io… piacere, sì… sono il papà… signorina,”
gracchiò imbarazzato. Aveva le guance in fiamme. Si rendeva conto
che il suo gesto di prima sarebbe rimasto per sempre negli annali di
famiglia, uno di quegli aneddoti che si raccontano per ravvivare un
po’ una conversazione che langue facendosi due risate a spese del
solito babbeo.
“La prego, mi chiami Miki, lo fanno tutti.” Dopo l’approccio maldestro
del commissario, quel tedesco perfetto sembrava volerlo schernire.
Vedendo che il marito si era trasformato in una statua di sale, Erika
gli passò davanti e abbracciò la ragazza come se fosse stata la sua
migliore amica. Sua moglie era decisamente più aperta ed
espansiva di lui, e la maggior parte della gente l’avrebbe definita
anche più cordiale. Non sembrava minimamente a disagio per il fatto
che Miki fosse asiatica, e se anche lo era, non lo dava a vedere nel
modo più assoluto. O forse ne era già al corrente e aveva tenuto il
marito all’oscuro? Lui non aveva mica niente contro gli stranieri,
Cristo santo, proprio niente! Certo, davanti alle culture diverse dalla
sua era sempre un po’ restio, però trovava gli altri stili di vita
decisamente interessanti e ovviamente li rispettava, non c’era
bisogno di dirlo. Anzi, di tanto in tanto alla televisione guardava
persino i reportage sull’estero.
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